27.9.08

per il formicoso. contro i toni apocalittici

ho un serbatoio pieno di titoli per i miei post a venire. a volerla sintetizzare, la mia ultima produzione descrive o l’alienazione da travèt (con l’ispirazione che mi coglie tendenzialmente in metropolitana, linea b, fermata cavour). o gli effetti del ritorno in provincia (con l’ispirazione che mi coglie guardando la linea di montevergine che si staglia all’orizzonte… ché dietro c’è napoli e il mare!). sul resto, taccio per lo più. la scena politica nazionale mi dà un senso di nausea. non mi abituo alla ciarlataneria della maggior parte dei suoi rappresentanti e dell’’assoluta maggioranza dell’attuale classe di governo. apparirebbe dunque irragionevole ricercare le buone pratiche in periferia. ma intanto, siamo qui e i pensieri passano. ovviamente l’asfissia generale impatta negativamente sugli uomini e sulla blogosfera. l’entusiasmo iniziale su un certo, auspicato, contributo che essa avrebbe potuto fornire al dibattito pubblico sono via via svanite, in città, per il fallimento di diverse esperienze di blog collettivi fino ai semplici aggregatori (l’ultimo tentativo è di paolo pilone). la stessa, meritevole per certi versi, battaglia di arminio e della comunità provvisoria per il formicoso anima un’irpinia che orgogliosamente si definisce “altra”. che dunque interpreta la propria come una lotta contro il capoluogo, sia provinciale che di regione, i loro politici, i loro fallimenti. separare le microstorie, però, non sempre serve. l’attuale irrilevanza della politica irpina, anche quella che si riscopre la sua vocazione per il territorio, attivando una riserva intatta di mobilitazione culturale, è infettata dal risentimento. un risentimento che è montato in decenni di arretratezza, dopo un post terremoto di mala amministrazione, sprechi e devastante distribuzione di prebende clientelari. ma se si guarda al futuro, il risentimento e la separazione non servono come la paura e la chiusura. ci si difende legando le nostre storie a quelle simili e alle più diverse, intercettando flussi di creatività, immaginando nuovi spazi per la condivisione e l’accrescimento del bene comune. per dirla semplice, il contesto è assai complesso. essere apocalittici non aiuta.

25.9.08

le mani sul (piano del)la città

a sup (strategic urban planning) process is "the definition of a city project that unifies diagnoses, specifies public and private actions and establishes a coherent mobilization framework for the cooperation of urban social actors. borja, castells (1998), da qui


avellino rischia di distinguersi per essere l'unico posto al mondo in cui il pensiero strategico sulla città è in testa ad un nugolo di assessori... che se la cantano e se la suonano, come da programma (2000-2006).

22.9.08

pietralata in fiamme

un altro compagno di strada emigra
(costruire un'italia nuova per chi rimane o per chi se ne va?)
intanto sento scoppi regolari
corro fuori
una cortina di fumo e fiamme si spande sul quartiere
la banlieue si rivolta?
rimarrei a casa
ho un accenno di cervicale
(no, soltanto una sigaretta spenta male)

21.9.08

pedestrianism

ho una gran voglia di sentirti lontano
e do ai miei desideri una mano
perché io so che tu non vuoi ridere più

tu sei preziosa come una finestra
quando ti vuoi buttare giù
gentile come un orologio, svelta
a dire oggi non ci sono più
io mi perdo in un oceano di parole
te l’ho prometto che non bevo più
ma insegnami quel gioco nuovo, guardami
c’è un mazzo buono tutto per noi
almeno qui, fammi vincere
non m’importa la verità
almeno qui, fammi vincere
non m’importa ma…

per carità o per amore
spiegami come si fa
a fare di un bisogno solo un desiderio…

oceano - dente


via dei serpenti
quanti rimpianti
un giorno, qui o altrove, qualcuno mi spiegò la differenza con i rimorsi
ma io dimentico
dimentico tutto a velocità consistente
non fanno una strategia i miei giudizi taglienti
i marciapiedi di monti, contatto involontario di mani vicine
nella testa una canzone di non amore che non so
come una qualsiasi parola giusta nell’aria grigia
confronto la tua fronte, l’affronto, sì, sì, è giù in fondo
occhiali con la montatura spessa, nera
un’agendina giapponese senza marchio
giocare a fare gli indifferenti, che cosa stupida
galleria sordi col cerume nelle orecchie
un taschen sproporzionato schiaccia di peso una farfalla, la sua borsa
hanno smantellato il caffè fandango
un dente in meno sulla mia bussola
la mandibola che a furia di masticare amaro è il muscolo più in forma di cui dispongo
m’arruolo, basta interpretare più maschere, basta attraversare la strada
bussare al forte, passare le visite mediche, i test sui fiori
finire al caffè della libreria di mel brooks, l’attore
quando sarò demente del tutto, ricorderò questo particolare
girare cento volte una scena non verrebbe mai uguale
intensità, pathos e parole
eccetto i risultati
211- il dissapore fa 61

come uscire dalla crisi

vendere al neonato organismo federale u.s.a., al 65% del loro prezzo nominale, gli unici titoli tossici di cui disponiamo, le ecoballe, che impacchettano rifiuti rischiosi e meno rischiosi, come gli strumenti finanziari, pur di salvare il formicoso e un'ipotesi di sviluppo

17.9.08

al dopolavoro, laboratorio di scrittura

la mia esposizione a wikipedia.org, e al grosso dei network sociali cui sono iscritto, s’è ampiamente ridotta nell’ultima settimana. il motivo è che sto lavorando seriamente. in un file excel inserisco alcuni dati sul sistema sanitario nazionale. stamattina, su uno dei fogli del file, quello di sintesi, le colonne disponibili si sono esaurite per eccesso d’informazione. non credevo potesse accadere. d’altra parte le mie nozioni “da office” sono limitate. eppure basterebbero solo quelle per guadagnarmi il plauso dei superiori. ogn’altra conoscenza specifica, di settore, pare superflua, sotto i raggi del neon che aspirano la materia grigia. l’obiettivo è preparare un documento che, dopo aver superato una serrata serie di approvazioni intermedie, ottenga un assenso dal sottosegretario di turno. da quel minimo, impercettibile movimento della testa, e da come sarà interpretato dai presenti alla riunione decisiva, verrà sulla società per cui lavoro una pioggia di denaro o di merda. poi per la salute della gente, prendetevela con i medici. a quella riunione non ci potrò essere. se sono garbati, dopo un pezzo mi tradurranno quanto si è detto a mozzichi comprensibili per un junior imberbe. intanto per chiudere il compito, resto sotto il neon un’altra settimana. il vecchio capo mi dice che la cosa sarà utile per la mia carriera. non vorrei che, passata una settimana, cominceranno a decantarmi l’utilità di un’esperienza all’estero dopodiché mi mandano in libia su un progetto da scafista le cui criticità sono le condizioni atmosferiche e le ronde della guardia costiera. penso a cose di così scarso peso mentre faccio ingresso nella stazione della metro. la filodiffusione trasmette una canzone di luca carboni, questa. mio cugino gli somiglia: amava silvia e tifa ancora per il liverpool. nel vagone una sedicenne rumena canta una canzone di mina, questa. imita la sua voce perfettamente. un filippino in felpa la osserva imbambolato, attorcigliato al sostegno rosso. intanto io scrivo sul nokia, intanto io chiudo. 'notte!

15.9.08

i testi di vasco rossi

david foster wallace si è tolto la vita
non capivo molto dei suoi scritti
non capisco molto anche arbasino
molti non capiscono i miei
insieme ad arbasino non mi suiciderò
diversamente da lui nessuno se ne accorgerà

egotico
sei uno stupido
piove fuori
dentro muori

lehman brothers finalmente è fallita
tre miei conoscenti sono in mezzo alla strada
in europa sono seimila
inseguono i futures sul loro smartphone
ho perduto my futures, shock out

erratico
sei uno rapido
piove fuori
in fronte ai muri

oggi ho lavorato all’eur alla salute
in una strada che è urbanistica a venire
ho scoperto un mio stakanovismo che non sapevo
lontani gli occhi, lontani i pensieri
senza te vicino sarei stato fermo

ematico
il cuore si ricompone
piove fuori
come ieri

domani no
poropò po pon

14.9.08

il papà di giovanni

crescere significa tenere a bada la curiosità morbosa che cova dentro di noi

13.9.08

sabato di san sabino

il malanimo che serbo dentro è riposto contro il fastidio, indifferibile, di dover crescere. un chiodo fisso ficcato nella mia fronte che col tempo arrugginisce. potrei davvero lanciarmi nella scrittura. tendere alla direzione del corriere (dell'irpinia). in cui, ho scoperto da poco, un mio conoscente è diventato l'inviato di nera. d'altra parte giocare d'autoironia è un difetto perché la maggioranza si prende fin troppo sul serio. e persino quando non è, lo sembra. e persino quando parla di politica. mentre il paese scorre veloce verso la recessione, il sabato è in piena, impetuoso. all'altezza di via gramsci è a un metro dall'esondazione. trasporta con sé un masso dalla forma irregolare, che rimbalza, divertendo i curiosi, sul greto di cemento. magari mantenesse sempre la portata. come gli abitanti delle terre che bagna, capaci di imprevisti, ma rari, lampi di genio, il suo, dunque, è un problema di continuità. le piste ciclabili, allora, uniscano le rive dei fiumi in secca, dal fenestrelle al calore, prima che s'esaurisca pure il carburante. e siamo costretti ad attendere l'apparizione, magari un altro secolo e mezzo, di un'altra madonna di lourdes per puntare tutto sul turismo religioso e la vendita di immaginette sacre.

11.9.08

diario di uno stupido

sei come un purosangue
che non ha mai perso una corsa,
sei tu che vieni avanti,
sei rara come una sorpresa.
ma che buffa che sei,
ma che buffa che sei,
il denaro per te è un giornale di ieri.
ma che buffa che sei,
ma che buffa che sei,
ogni cosa che fai
ha troppi strani motivi,
tranne una, e la sai: l'amore…

ma che buffa che sei – piero ciampi

esalò l’ultimo respiro della sua vita numero quattro. non ricordava quante gliene rimanessero in questo ennesimo racconto di distopia, di regole sballate, utili a far ragionare la gente. si rianimò frustrato dalla gomitata di un vicino di metro, nella nebbiolina di vapore composta dai respiri affannosi. pensieri ossessivi già tormentavano la sua rinascita. come cambiare alloggio. dove trovare il danaro che ultimamente gli veniva a mancare. come individuare il lavoro che finalmente lo nobilitasse. negli ultimi giorni, preferiva scendere una fermata prima per incontrare sul viale del ritorno il sole che tramontava. non che fosse per lui un’esperienza insolita ma lo aiutava a rilassarsi, a riordinare. la periferia gli sembrava meno dolorosa e benché gli fosse costato molto abituarsi ai ritmi di quel quartiere, non escludeva potesse rimanerci ancora, abbandonandosi ad un destino di rinuncia. forse, e fu doloroso per lui ammetterlo, allora capì di essere stato, in passato, troppo ingenuo con le cose della vita perché aveva sopravvalutato la propria intelligenza.

9.9.08

8.9.08

la signora esse

la signora esse batte pietralata palmo a palmo e la sua andatura vacilla ai colpi dei pensieri bui che l’affliggono. i suoi capelli sono arruffati, bicolori. ha uno sguardo da ragazza e la pelle che gli anni la macchiano. indossa gonne sopra il ginocchio che mostrano gambe forti e sotto scarpe grosse. i suoi occhi sono nero petrolio e s’illuminano quando avvertono l’accenno del sorriso altrui. altrimenti restano ingabbiati in orbite cerchiate da un trucco che deturpa. la signora esse un giorno mi passò davanti e vomitò a più riprese null’altro che alcool rappreso, continuando, imperterrita, a camminare. ne rimasi turbato. la sua presenza è familiare a chiunque frequenti la zona. come accade in occasioni simili, c’è chi si scansa e chi solidarizza. avevo conosciuto una fotografa che apparteneva al secondo gruppo. mi raccontò che la signora esse, un tempo, era una pittrice affermata. poi qualcosa si ruppe e la sua vita si accartocciò. le aveva chiesto di posare per i suoi scatti e la signora esse, sulle prime, ne sembrò entusiasta. per poi dimenticarsene subito. una mattina la incontrammo a boulevard tiburtini, le dicemmo buongiorno, la signora esse ci rispose con un sorriso clamoroso. non ricordo se la ragazza le accennò del servizio fotografico. ricordo che la signora esse le chiese, precipitosa, è il tuo ragazzo?, evidentemente lontana da noi, soddisfatta di correre in uno dei suoi mondi paralleli. scrollammo le spalle, divertiti dalla cosa. e lei, ancora, è un bel ragazzo, scappando via, a modo suo, trotterellando. di notte solitario, attraverso lo stesso viale desertico, e sogno di osservare i suoi quadri di ragazza. che mi incantano. che raccontano la violenza di un amore.  

4.9.08

12:17

cosa è cambiato?
lampioni verdi 
luci arancioni abbagliano le crepe dei muri
spegnendo stelle di città
cosa è cambiato?
sulla mia fronte
una vena fa angolo
e pulsa al ritmo dei miei vaniloqui

strade periferiche
per gente che non si sa annusare
strade marginali
per chi vive nel domani

cosa è restato?
il numero degli autobus
che scorrono in spazi temporali impensabili
per la gente che li attende
cosa è restato?
l’angolo del tuo balcone
coperto da un cartellone
che mi nasconde, che mi confonde

strade deserte
pompe di benzina e sfasciacarrozze
strade chiuse
e chi spera di oltrepassarle

contiamo i cassonetti della differenziata
costruiamo rovine con gli scheletri delle automobili
giochiamo a nascondino aprendo i cancelli
riempiamo di pagine autobiografiche le palizzate
ascoltiamo i lamenti dei vecchi
sorridiamo all’amore
persino quando fugge


correndo, corrodendo

2.9.08

oblivion

gli uomini – questa la mia ultima, strampalata teoria - si dividono in due sole categorie. i primi trovano gusto a distinguersi con i trucchi più esasperati, eppoi le vesti sgargianti, gli orpelli, finanche il timbro della voce, finendo per nascondersi persino a se stessi, dunque diventando inaccessibili, omologhi in buona sostanza di molti altri. poi c’è chi si crede del tutto assomigliante al prossimo suo, quale che sia la sua lingua, il colore della pelle, il cielo di provenienza e le sue stelle. quest'ultimi si concedono all’altro con fiducia cristallina, scovando mille diversità, rendendosi conto di quant’è fondo il mondo. in definitiva, una battaglia non sempre evidente tra gli alternativi che son eguali e gli egualitari che son alternativi.

mi torna difficile tornare, con insulsaggini come questa. eppure, lasciarla come incipit mi torna utile per il ragionamento che vado a incominciare. ho smesso perché mi sembrava di dismettere una buona parte di ciò che ero. poche ore fa un amico - anche lui sparito d’un tratto senza perché, improvvisamente, con la repentinità dell’azione che oggi va molto di moda, dopo che il postmoderno ha svuotato ogni tipo di ragione – mi ha scritto che la vita è piena di cesure. stupide, senza senso. gli ho risposto che le cesure servono eccome, spesso da esse origina una nuova vita. poi se no, pazienza. mi preoccupano di più le censure. il mondo d’oggi muore perché è soffocato dalla censura. per cui ignoro i sentimenti di chi mi è accanto, il suo reddito, la sua propensione ad assassinarmi.

una società la cui coesione è assoluta non è malata di questi germi. cooperare per estirparli richiederebbe un investimento sul prossimo che è suicida allo stesso modo della vita che conduco. i miei tarli mentali sono complicati da condividere. inestricabili con essi vi sono una serie di ragioni affettive, sentimentali, familiari, geografiche. un magnete i cui due poli sono l’insignificanza e la gloria: l’errore più nero della nostra generazione. credevo di leggere molto come estati fa, e invece ho osservato paesaggi senza nemmeno tormentarmi. ho vissuto in pace procrastinando i dubbi e mai ho scritto, nemmeno in brutta.

che basta poco cambiare lavoro, donna, paese, convinzioni. oppure semplicemente, come è capitato a me, confusamente abbozzare, e vivere di poco. ci sono romanzi che raccontano personaggi di dispersione indubbiamente più riusciti di quanto sia io. questo spazio privato rimane tale e probabilmente continuerò a inzepparlo di sbreghi linguistici fin quando reggo. però sappiate che il più è stato già detto, il meglio è già stato dato. infine, che il resto è sempre altrove. tra quelli che paiono uguali, eppure uguali non sono.

20.7.08

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16.7.08

tossine ritardo 211

scarabocchiare al buio sul balcone affacciato su un budello di strada che è un prisma asimmetrico di obbrobri edilizi. qui, dove ho imparato che per l’uomo di oggi il “cosa fare?” conta quanto il “dove vuoi farlo?” (ed eventualmente “con chi?”). avendo da un pezzo pressoché deciso cosa fare, tentare di individuare il luogo nel quale esercitare, è diventata la mia ossessione quotidiana. dopotutto non è tanto difficile leggere la scorza di un uomo. eppure così spesso si soprassiede. sull’edificio più alto del forte di pietralata, luccica una stella cometa. dei bambini fracassano al muro bottiglie di vetro. su un attico adibito a sala da pranzo, due coppie discutono animatamente delle prospettive economiche dei suoceri. mi sento una larva. soffro per questa prossimità che è distanza siderale. per il gap che esiste tra ciò che desidero (il cui impatto è soltanto collettivo) e ciò che al momento posso ottenere (per un tornaconto esclusivamente individuale). una larva sotto scacco perché ogni via d’azione intermedia mi ripugna. il danno della morte di dio è che poi tutti finiscono per sentirsi dio. tra questi, i peggiori, son quelli come me, che pretendono pure di avere i poteri.

13.7.08

scivolo lungo cupa dei muti

calato frettolosamente prima che smaltissi la mansione, con le suole delle scarpe che si disfacevano su quello strano tipo di asfalto di gomma che talvolta s’attacca ai miei passi, a casa m’accoglie l’ennesimo vuoto emotivo. quando capita, non sempre reagisco con tenacia. anzi spesso, mi trincero nell’ammutolimento più ostinato. finendo per girovagare in automobile come nei peggiori gialli che ritraggono killer seriali. l’alba successiva è ancora peggio. come se la tratta milano manocalzati, dopo aver schiuso possibilità, chiuda bruscamente le porte di domani. i miei pensieri non si tengono e non mi resta che fuggire di nuovo. un’ossessione recente mi porta a lauro, da un bosco che pare mai terminare, con un castello che è un intruglio di stili architettonici e poco fuori una cava, risucchiata la collina per disastri urbani delocalizzati. si capisce che non è più irpinia perché gli uomini non hanno timore di passeggiare a torso nudo. a sera, ritrovo affetto, comprensione e favella. ogni cosa m’appare migliore. il mondo è difficile a emendarsi. eppure, il culo che c’abbiamo, è che, nel peggiore dei casi, resta sempre qualcosa da cui ripartire.

10.7.08

haiku d'artigiano

senza tremare
esamini le labbra
ai tiburtini

9.7.08

storia di un normale preicaro

ho venticinque anni. lavoro da dieci mesi. ho iniziato in stage. sei mesi. dopo il secondo, mi hanno assicurato la loro intenzione di prendermi con un contratto a tempo indeterminato, da subito, con retribuzione adeguata. guadagnavo 740 € netti. il mio stage è durato sette mesi. il nuovo contratto di apprendistato è a due anni. la retribuzione netta ammonta a 1'020 €. per nove ore di lavoro medie giornaliere (lorde). gli straordinari non sono retribuiti (dunque non detassati). un’ora di pendolare all’andata, un’ora di pendolare al ritorno. 420 € di affitto mensile. 30 € di abbonamento ATAC. i restanti 570 € per mangiare, bere, viaggiare, credere. lavorare mi piace. tra l’altro non mi resta il tempo per pensare… che la mia collega si fotte il capo.

8.7.08

voglia di volgo

ieri sera sono uscito sudaticcio dall’ufficio e un amico mi ha prestato la sua stanza per cambiarmi d’abito. ne sono uscito con un pantaloncino corto, una t-shirt dell’irlanda e le scarpe sono rimaste le stesse, le classiche. ci siamo fiondati alle terme di caracalla, alla festa dell’unità, ciao, bella invece che bella ciao, il colore verde al posto del rosso, e i pini delle terme di caracalla come quinta quieta. vasco delle luci della centrale elettrica, accompagnato alla chitarra da giorgio canali, ha sputato i suoi crampi di dolore da anno zero. poi le mascherine da morto dei ragazzi allegri non riescono a scuotermi eppure fingo di sì. acquisto l’ultimo di bianciardi. il libraio dell’usato mi dice che sarebbe inutile comprare bianciardi in meridiano, sarebbe come ammazzarlo. gli dico, guarda che è un antimeridiano, e la casa editrice non è la mondadori ma la isbn, quella con le copertine bianche e il dorso delle pagine gialle. no, niente, non la conosce. le scarpe, intanto, sono tutte polvere. senza aprire dibattiti, rincasiamo su strade umide, punteggiate dai chioschi dei paninari obesi. domani non avrò più camicie da mettere. mi rassicura (?!?) gerardo marotta su youtube, un discorso contro la privatizzazione dell’acqua che finisce in requisitoria contro i professori carrieristi, i politici cretini e il volgo di napoli che mai si è fatto popolo. amen!

7.7.08

trasformisti Vs transformer

i demitiani, per evitare un epilogo negativo, chiedono la rappresentanza in giunta in considerazione dello scenario politico cambiato dopo le elezioni, insieme alla condivisione delle indicazioni negli enti di servizio. da qui eppoi qui




un avo di berlusconi era di parolise

le strade di milano mi mordono le scarpe che mi mordono i piedi ed è un’autoafflizione tutto sommato leggera. dopo che un treno, di tutti laureati, ha prodotto idee a profusione e un ritardo clamoroso. la moleskine affonda nello zainetto neroarancione. i due telefoni nelle tasche a tracollo. la convention aziendale luccica a tempi alterni, coazione a ripetere: il servilismo, l’imborghesimento, la piccineria intellettuale. non guarirò mai dalle nebulose di pensieri scuri così come la tratta ad alta velocità mai unirà l’est con l’ovest. scopro che la mia non è passione per la scrittura. ché non sento il bisogno fisico di scrivere ma quello psicologico. motivatori cogli stivali straparlano di gruppo, di collaborazione, della fede negli obiettivi. sociologi ravellesi decantano l’ozio creativo quando questo è stato annientato dall’azienda che gli paga l’onorario tremila volte e tremila ancora. in ogni caso, non una multinazionale perché offre lavoro per intero italiani. poi la festa a tempo perso, è occasione per le giovani donne di offrirsi agli sguardi dei superiori, al solito modo delle segretariette secche, quelle che pur addette ad una mansione infima, mettiamo all’affrancatura della busta, si attaccano talmente alla questione, che lo scrivere lettere diventa processo accessorio rispetto alla loro affrancatura. uno dei gatti di vicolo dei miracoli allieta la serata smeralda ed è il momento topico in cui subentra l’ennui, in cui germina il vomito. un consulente ko mi implora di tornare su progetto. ho paura per le sorti del mondo, qui più che a scampia. conati insopprimibili sulle luci notturne di milano. la mattina, su corso como, i salumieri lucidano il selciato. il barista che mi prepara un triplo caffè esamina le curve della pancia della figlia. riesco a perdermi in metro, giallo rossa, e ventilatori che spruzzano gas bianchi, spaventevoli a vedersi, ma pare siano da refrigerio. sulla panchina di sesto rondò è bello telefonare in piedi. il soviet d’italia sbianca. il mio amico artista è una specie che va protetta, in quanto amico, in quanto artista. mi piace che si scommetta dal basso, mi piacciono la mobilità sociale, le scale mobili, la scala quaranta. meno mediobanca e i suoi giochetti da quartierone against quartierino. se solo fossimo più consapevoli, potremmo rivoltare (quantomeno) una città come un calzino. ma da solo non vado nemmeno più a vienna. la struttura urbanistica di milano è semplice e senza dossi. nel frattempo, sogno napoli e il rinascimento. mi riposo nel cortile di brera mentre ingabbiano il palazzo. napoleone benedice gli studenti svagati. io che ricamo pezzi perduti di memoria pur non trovando un cesso per pisciare. il ponte della ghisolfa è un prurito mortale. rinuncio all’aperitivo, al pianeta cavallo, per i soliti guasti gastrointestinali. poi, scopro che anche qui è un vivere di dicerie. un palazzo rosa nei pressi di piazza wagner è il contraltare del condominio di cipressi a pietralata. monza ha una buona densità umana. niente da condividere. gli umori precipitano perché si intravede il ritorno e l’agenda degli incontri, già sguarnita, è ora sgombra. domenica mattina al centro sarca non trovo la repubblica. non c’è niente che trovi più alienante del centro sarca. siamo tutti sulla stessa barca. speriamo non torni il tempo per l’arca.

1.7.08

mangiare con le mani

un senso a questa vita
passa inevitabilmente sulle mie dita

30.6.08

nomen omen


franco vittoria, nuovo presidente provinciale partito democratico

28.6.08

avellino: forme




25.6.08

del crumiro che s'appassiona al lavoro, autofottendosi

oggi pomeriggio, partecipavo ad una riunione di lavoro, col capo del mio team, il capo del mio progetto e due dirigenti del ministero in cui sto lavorando. in silenzio, prendevo appunti. si chiacchierava di più e del meno, del futuro della pubblica amministrazione, del ciclone brunetta, della deresponsabilizzazione dei manager pubblici, dei pochi incentivi per i funzionari, della spropositata preponderanza delle strutture di supporto rispetto a quelle core, della esiguità degli stipendi per il personale, della scarsa collaborazione tra le strutture dipartimentali, della necessità di un bilancio zero based budgeting invece che incrementale, dei danni dello spoils system, dell’urgenza di una politica strategica invece che demagogica, dei pregi del lungo termine contro i sussulti degli annunci, ebbene ad un certo punto, non sapevo più se quei discorsi li stavo ascoltando per davvero o meno, che un paio di brividi mi hanno scosso, perché sono le chiacchiere che voglio fare senza mai trovare il tavolo adatto. casomai, ora quello che c’è da fare, è profferire parola. ogni tanto.

22.6.08

le formiche di avellino

di recente, mi allieta fare di frequente armi e bagagli, benché le destinazioni siano sempre quelle, roma, avellino, in ping pong. questa volta col treno alta velocità che però verso aversa rallenta perché i binari non lo permettono e i subappaltatori nemmeno. nel giorno in cui il processo spartacus, dal nome dello schiavo che si rivoltò contro il senato romano, condanna all’ergastolo il boss schiavone tanto a rivoltarsi contro il senato e le istituzioni oggi c’è il capo del governo. i vicini di treno sono due manager che dopo essersi annusati per un po’, decidono che è tempo per fidarsi, e sparlano dei colleghi, della loro immoralità. ogni tanto danno uno sguardo distratto al blackberry o mi scrutano di sottecchi, abbassando la voce nei passaggi maligni più azzardati. napoli si annuncia con le prime palazzine di periferia e un cimitero sulla collina che è un gioiello. più tardi, dopo che il bus air ha sorpassato pericolosamente un incrocio di mezzi a motore incastonati, esposti allo sguardo di mille occhi sui balconi, lo raggiungiamo quel cimitero. del pianto, si chiama, s’affaccia sul golfo sul quale si specchiano il vesuvio e un milione di sofferenze e colline butterate di cave di ghiaia per produrne calcestruzzo, pilastro dell’economia criminale, poi disastro urbanistico e civile. avellino è poco oltre quelle montagne. nella galleria dell’autostrada che la annuncia chiudo gli occhi, ma questo già l’ho scritto. per scaramanzia o soltanto per l’incanto di un risveglio finora sconosciuto. ma è ancora disseminazione illogica di villette di aiuto geometra e amministratori irreprensibili solo del giardino di casa. il giorno dopo, bevo un crodino a cesinali, a spasso per il corso, che s’allunga lentamente. pure sulle sue pietre grigie è una disseminazione di gomme da masticare, che diventano puntoni neri, rifiuti che si fanno stella. il piano strategico cittadino regali ai bambini che giocano una bicicletta per tre super santos. ai vecchi che siedono sul muretto del convitto, tavoli allestiti alla conversazione. il tuo corpo mi serve per non partire continuamente da me stesso. non mi credi perché tutto questo che è intorno è una diffida a non fidarsi. ma noi siamo il nuovo e parliamo male solo all’ospedale. gli ultimi duecento metri del corso verso piazza libertà, sono interrotti dai lavori, gabbie per curiosi della messa in opera, i pedoni le aggirano remissivi, come un corteo di piccole formiche, che si limitano al loro compito e, per tutto il resto, s’affidano al volere della regina.

19.6.08

sentirsi stupido

ho letto, più volte, immensamente ammirato, il post di gianni fiorentino, Contro Arminio, ovvero: la fine dei paesi, disponibile per intero sul sito della comunità provvisoria, ad oggi l'unico blog irpino che racconta cosa è e cosa potrà diventare il nostro pezzo di terra (e per questo, ma non solo, Grazie Arminio). di seguito, il passo che ritengo più significativo:




I paesi, in realtà, non esistono più da un pezzo. Semmai, essi sopravvivono nella nostra vaga immaginazione per unire traiettorie di desideri mai realizzati e sogni mai avverati. Il paese cercato, però, è inarrivabile: semplicemente perché esso è morto.
Non può bastare la rianimazione dei luoghi dei nostri genitori, né serve tenere in vita artificialmente i ruderi della nostra infanzia: non soddisfa nessun bisogno attuale il tentativo accanito di ricucire per ricucire i luoghi o, come dicono oggi, i territori di questo grigio nauseabondo presente. Se proviamo, al limite, a prenderci cura dei paesi che incontriamo lungo il cammino, lo sai, non è per amore delle pietre e delle anime, ma per un disperato e malcelato amor proprio: un estremo tentativo di sottrarci alle onde che ci portano lontano da qui. Un tentativo di sfuggire agli anni che non sappiamo più misurare, alle parole che non comprendiamo, alle danze che non sapremo mai ballare, alle emozioni che ci scoppiano nello stomaco ma che non sappiamo più dire. Non osiamo dire...

Se vuoi, i paesi, esistono solo nella misura in cui noi li costruiamo. Perché, nella foga bastarda di ri-costruire per interi decenni, armati fino ai denti di cemento e avida rabbia, non abbiamo imparato a costruire. E non solo le case. Costruire relazioni, legami, intese. Costruire emozioni, edificare col sangue dell’amore e dell’odio, dell’appartenenza e della speranza, del cuore, dell’intelligenza, della conoscenza. Del coraggio. Edificare, silenzio su silenzio, relazioni umane appaganti e gratificanti, le uniche vere fondamenta per ogni nuova contrada, per ogni nuova strada, per tutte le pietre che metteremo l’una sull’altra il giorno che verrà. Se tu lo vorrai...

Un piccolo paese non è per sempre, come forse lo sono certi diamanti. Ma il desiderio, il bisogno di costruire luoghi per le relazioni che ci aiutano a vivere bene, quello, vivrà fino alla fine. Ogni comunità, in fondo, di pietra o di parole che sia, o di entrambe, è solo una comunità di passaggio. Una comunità provvisoria.

sentenza (con scadenza)

tra chi dimostra più di quanto sa e chi ne dimostra meno,
preferisco i secondi
vendere qualcosa, spesso, può tornare utile
vendere qualcuno è schiavismo
(vendere se stessi non è un'attenuante)

18.6.08

riduzione al dialogo

se voi state dentro o fuori dall'aula
per noi cambia poco
tanto cambieremo questo Paese
alla faccia vostra

Federico Bricolo, capogruppo Lega Nord


il marchio maynardo esordisce nel business dei giocattoli, a far concorrenza al concittadino preziosi, mentre un altro già opera nel settore dei viaggi d’avventura, io stesso sono citato dal foglio cittadino, per via di corrispondenze fluviali col professore d’opposizione. chissà cosa ne pensa dell’ennesimo strappo istituzionale del presidente del consiglio dei ministri (più prosaicamente, oggi detto, premier)? in un decreto d’urgenza, assegna all’esercito compiti di pubblica sicurezza, dispone priorità ai processi in corso bloccando i meno pericolosi (assurdamente gli stessi per cui si è reso necessario un intervento in materia di sicurezza), vieta la pubblicazione delle intercettazioni telefoniche e con esse di qualsiasi notizia sul procedimento fino alla chiusura delle indagini preliminari, ricusa il giudice che, a breve, avrebbe dovuto emettere sentenza su una sua presunta corruzione (in atti giudiziari), ma non potrà. il marchio maynardo, in quattro anni, raramente s’è lasciato andare all’antiberlusconismo da ostentazione. anzi, dopo le elezioni, s’è mimetizzato nell’intimismo/abbattimento pubblico più deleterio. eppure, stamattina, alla lettura del fondo d’avanzo, ha visto crollare le sue incertezze che è tempo, se non di edificare, quantomeno di testimoniare. albert otto hirschman, in una sua celebre opera, ricorda che i componenti di un’organizzazione in declino o escono (exit) o protestano (voice) e io, per la mia pronuncia, non potrei vivere lontano.

13.6.08

al punto che lasciai

le basi teoriche delle riforme di contabilità pubblica: il new public management

La naturale evoluzione delle procedure di contabilità pubblica trova un segno di discontinuità nell’ intensa stagione di rinnovamento che ha riguardato il settore pubblico a partire dalla fine degli anni ’70 del secolo scorso. L’affermarsi di un insieme di idee cui, complessivamente, si dà il nome di New Public Management fu fondamentale per l’introduzione di una serie di innovazioni nella contabilità pubblica. Gli schemi di tenuta della stessa, fino ad allora improntati ad un principio di formalismo giuridico, mutarono, all’interno di un più generale processo di “aziendalizzazione” delle Amministrazioni pubbliche.
L’idea base del New Public Management si poggia sull’assunto secondo cui le amministrazioni pubbliche siano prima di tutto delle organizzazioni che producono servizi e che pertanto nella loro gestione non debba prevalere l’approccio di tipo giuridico-formale quanto quello di tipo economico, comunemente utilizzato nelle aziende private. Naturalmente, sebbene tale asseverazione produca effetti in tutte le aree gestionali dell’amministrazione pubblica, dalle decisioni sulla struttura degli enti alla gestione del personale, essa comporta, tra l’altro, una vera e propria rivoluzione del sistema informativo- contabile.
Le riforme furono promosse, in primo luogo, dai governi conservatori del Regno Unito, dell’Australia e della Nuova Zelanda, a fronte delle pesanti recessioni economiche intervenute negli anni settanta, e dei mutati fabbisogni di servizi pubblici espressi dalla cittadinanza, dovute, in parte, ad una più elevata consapevolezza del livello di benessere avvertito dalle comunità (Aucoin 1990). La spinta riformistica rapidamente si diffuse nei maggiori paesi occidentali, in particolare in quelli dell’OCSE.

Le principali caratteristiche del New Public Management, variamente identificate dagli studiosi, possono essere sintetizzate come segue (Hood 1991; Osborne, Gaebler 1993; Gruening 1998):
1. adozione nella amministrazione pubbliche delle regole manageriali tipiche del settore privato: tra cui l’implementazione di sistemi di pianificazione, budgeting e di management strategico;
2. nuove modalità di gestione del personale mediante l’applicazione del sistema degli incentivi e dell’introduzione di elementi di flessibilità a fronte delle regole tradizionali costituite dalla continuità del rapporto, dagli avanzamenti per carriera e da una ridotta autonomia concessa al funzionario pubblico; maggiore utilizzo dell’information technology nel settore pubblico;
3. abbandono del focus sugli inputs per l’implementazione di una logica sui risultati di outputs/outcome/grado di soddisfazione del cliente; definizione di obiettivi, targets, indicatori di performance, preferibilmente espressi in termini quantitativi; focalizzazione sui risultati anziché sulle procedure;
4. privatizzazione di ampie parti del settore pubblico; esposizione delle aziende pubbliche ad un ambiente competitivo; separazione del momento della produzione e dell’acquisto nella erogazione del servizio pubblico tramite il meccanismo del “contracting out”;
5. decentramento: devoluzione di parte delle competenze del governo centrale a unità territoriali più prossime alla utenza cui, generalmente, segue una progressiva riduzione delle risorse loro destinate a fronte della cessione di parte della potestà impositiva;
6. aumento della trasparenza/accountability nei confronti degli stakeholders attraverso una diversa tenuta della contabilità e una logica improntata alla misurazione continuata delle performances, alla quale s’accompagna, per i managers, una più diretta responsabilità per i risultati;
7. enfasi sulla disciplina fiscale e sulla parsimonia nell’uso delle risorse pubbliche; taglio degli “sprechi”; ricerca di una maggiore produttività della forza lavoro; lotta alla corruzione dei pubblici ufficiali.

Una modalità di interpretazione delle origini del New Public Management lo giudica come il risultato di due opposte scuole di pensiero (Aucoin, 1990; Hood, 1991): la public choice e lo “scientific management”. Dalla prima riprende la necessità di ristabilire il primato del governo sulla burocrazia, mentre dalla seconda, l’urgenza di applicare, anche al settore pubblico, i principi di “management professionali” propri del settore privato, al fine di raggiungere obiettivi multipli, tra i quali una riduzione della spesa pubblica, un miglioramento della qualità dei servizi erogati, più in generale, il conseguimento di una più elevata efficacia delle attività pubbliche e del livello di efficienza delle scelte collettive (Pollitt, Bouckaert 2001).

La Public Choice, in particolare – a partire dal celebre lavoro di Niskanen sulla burocrazia - cerca di dimostrare come i funzionari pubblici (detti “burocrati”) perseguano i propri obiettivi (o meglio, quella che è la propria percezione dell’interesse pubblico), analizzando le loro relazioni con i “rappresentanti eletti”. La Public Choice applica alla scienza politica gli strumenti analitici sviluppati dalla microeconomia. Si assume, dunque, che il “personale politico” agisca razionalmente, cercando di massimizzare la propria funzione di utilità che diverge da quella della collettività: i “burocrati” massimizzano il proprio potere; gli “uomini politici” massimizzano le proprie chances di essere rieletti. La tesi di fondo è che questi ultimi detengano una limitata possibilità di dirigere l’operato dei burocrati. Ovviamente, è facile comprendere come la seguente argomentazione abbia ricevuto una positiva accoglienza tra i politici, in particolar modo coloro i quali sono direttamente coinvolti nel governo di un ministero, i quali tendono a guardare con sospetto ogni tentativo dei burocrati, loro sottoposti, di accrescere le dimensioni del budget a disposizione. Dunque, la prescrizione normativa è di riaffermare il primato dei “rappresentati eletti” sui “burocrati” riguardo alla dimensione dei budgets e alla scelta degli obiettivi da perseguire. Ciò implica che nell’organizzazione del settore pubblico, l’esecutivo riacquisti margini di potere a discapito della burocrazia, attraverso il rafforzamento della centralizzazione, del coordinamento e del controllo (Aucoin, 1990).
La necessità del controllo, in particolare, discende dalla asimmetria informativa che sussiste tra i “politici” (principali) e i “burocrati” (agenti) . Solo i “burocrati”, ad esempio, conoscono completamente la funzione di costo delle unità produttive che dirigono. La riduzione di questa asimmetria informativa passa principalmente per l’innovazione delle procedure contabili, ad esempio, con l’introduzione di una fase di auditing condotta dai “rappresentati eletti” (Chan, Rubin, 1987; Rubin, 1992).

In secondo luogo, il NPM subisce l’influenza dello “scientific management”. La cui tesi principale è che le organizzazioni complesse realizzino meglio i propri obiettivi applicando le pratiche manageriali tipiche del settore privato, per cui appare necessario “sburocratizzare” il sistema. Occorre sottolineare che il successo della “letteratura manageriale” deriva più dal consenso che essa ha via via ottenuto tra gli addetti ai lavori che da raffinate costruzioni teoriche, laddove le prescrizioni che da essa discendono, provengono da consolidate prassi gestionali. L’idea secondo la quale il management, anche nel settore pubblico, possa utilizzare le risorse efficientemente ribalta la vecchia teoria dell’amministrazione in quanto rispetto dei funzionari pubblici di procedure minuziosamente formalizzate da leggi e regolamenti. Allo stesso modo della teoria della “public choice”, lo “scientific management” riconosce come i conflitti pervadano la vita delle organizzazioni complesse, pure se pubbliche, e siano meglio regolati attraverso relazioni di autorità tra i membri dell’organizzazione e una gestione del personale che si basi sul sistema degli incentivi. In maniera contrapposta alla scuola della “public choice”, si richiede, dunque, che l’organizzazione pubblica venga edificata seguendo i principi di decentralizzazione, deregulation e delega (Aucoin 1990).

Le due opposte scuole di pensiero, sebbene entrambe fondamentali per l’affermarsi del New Public Management, non consentono, pertanto, di indicare una unica direzione al processo riformatore che ha riguardato il settore pubblico. Questo spiegherebbe, tra l’altro, la notevole varietà con la quale i paesi OCSE hanno adottato i principi di New Public Management al loro interno.
La matrice che li accomuna è, tuttavia, il superamento, o quantomeno l’attenuazione di due idee precedentemente assai in voga che trovavano il proprio riscontro anche nella produzione dei documenti contabili:
1. il settore pubblico viene gestito seguendo uno schema completamente differente dal settore privato, in termini di etica, approccio al business, struttura organizzativa, gestione del personale, sistemi incentivanti;
2. uno degli obiettivi del legislatore è quello di limitare la discrezionalità dei funzionari pubblici attraverso un corposo complesso normativo volto a prevenire casi di favoritismo e corruzione.
Come già scritto, dal primo si passa ad una graduale implementazione nelle amministrazioni pubbliche di schemi di gestione manageriale tipici del settore privato (“aziendalizzazione”); dalla seconda, alla concessione ai dirigenti di più ampi poteri discrezionali circa le decisioni operative, che, tuttavia, debbono inserirsi nel quadro degli obiettivi generali dell’intervento pubblico, dei limiti rappresentati dalla attribuzione delle risorse, e dei livelli di output/outcome, fissati dal livello politico.

Dunque, in fin dei conti, l’elemento che meglio contraddistingue il New Public Management è la particolare enfasi che pone sui risultati e che rende necessaria l’attivazione di procedure di misurazione delle performance, al fine di individuare il successo o il fallimento delle iniziative pubbliche, dalle quali dipende il grado di soddisfazione dei clienti-cittadini, ovvero il consenso popolare (A.Pavan, E.Reginato, 2005).
In tal senso, è bene chiarire che per efficienza si intende il rapporto tra i risultati conseguiti e le risorse utilizzate allo scopo. Laddove la relazione connette l’utilizzo di fattori produttivi scarsi e beni economici prodotti, essa rimanda all’essenza stessa del problema economico. La valutazione della performance, tuttavia, può essere espressa in termini di output, o di produzione, o in termini di outcome o di impatto. Se, più tradizionalmente, il risultato viene giudicato in termini di output, raffrontando i beni prodotti con le risorse utilizzate (quantità di output per unità di risorsa), difficilmente nelle aziende pubbliche l’output viene espresso dai ricavi di vendita, poiché le stesse effettuano tipicamente transazioni non di mercato. D’altra parte, la valutazione della performance in termini di outcome, o di impatto , che tiene conto del livello di soddisfazione della clientela assume nella prestazione di servizi pubblici, talvolta essenziali (i servizi sanitari, ad esempio), una rilevanza persino superiore rispetto a quella che assume nel settore privato, sebbene allo stesso modo soffra del difetto della difficile misurabilità.

Per concludere, l’applicazione dei principi del New Public Management enfatizza, dunque, la necessità di individuare degli strumenti tecnico-contabili che ne consentano la corretta realizzazione, offrano accurate misurazioni delle performance raggiunte, contribuiscano ad una più consapevole gestione dalle Amministrazioni pubbliche.
In particolare, in un quadro di progressiva crescita della rilevanza quantitativa dell’intervento pubblico, il sistema informativo contabile diviene uno degli strumenti utilizzati per rendere più efficiente la gestione delle amministrazioni pubbliche, ovvero una delle proposte per “reinventare il governo” delle stesse, che, da sempre, è stato endemicamente affetto da profonde diseconomicità (E. Caperchione, 1999).

10.6.08

emicranie

ogni tanto, sarebbe utile sbarazzarsi di cumuli stantii di dati, immagazzinati anni fa, in avanscoperta, modalità curiosità. i conflitti di sistema devastano il mio cervello. minano la mia resistenza. stanotte, quando su un fianco, mi mancava l’aria. ero costretto a risalire per riprendere il respiro e continuare a dormire. devo ricredermi. la qualità è l’essenziale. ed una faccia pulita. il barocco di una lingua finisce sempre per farla risultare falsa. il sole delle cinque batte sulla mia finestra d’ufficio. vietato uscire e godere roma di primavera. la notte le toglie metà del fascino, la gente. ieri, strascicandomi stanco su circumvallazione ostiense, mentre i primi schermi al plasma lanciavano l’inno nazionale, ho compreso perché (pure) questa fase della mia vita si concilia male con la cura delle pubbliche relazioni: a scanso di vuoti d’aria, non riesco a dormire meno di otto ore, altre dodici/tredici ore le impegno tra lavoro&pendolarismo, restano tre/quattro ore che sono la mia indispensabile dose quotidiana di sogni a occhi spalancati. intorno ai quali, lo ammetto, è difficile seguirmi.

8.6.08

miraggio roma nord est

imprevedibile benessere di passeggiare solitario. come adoro le piazze senza chiese. quelle con i palazzi delle arti e corporazioni. introvabili nella città. le formiche passeggiano sulle mie dita. non userò disinfestarmi. è troppo tardi. due migranti osservano attenti di là della frasca un probabile rifigio come due sposini una villetta a schiera. la mia cifra è osservare a palpebre spalancate. e soprassedere. la realtà, quasi sempre, mi innesca un moto di pietà. al contempo, sono intransigente con me stesso. dopotutto, dentro di me, non ho occhi che diano tanta luce. è così facile bombardare dove tutto è confuso, informe, caotico. poi il cielo scura, lontano i tuoni. in piazza sant’ignazio, il tempio della compagnia di gesù mi accoglie. un organo riempie le navate. m’accosto al tavolino delle cartoline. afferro due santini mentre una turista americana mi chiede se davvero deve lasciare venti centesimi come indica il cartello. le dico che non è necessario. fuori il cielo tiene. poi però il percorso del 61 è bloccato dal diluvio. anche l’umore volge al grigio. due puttane si riparano sotto un portone. telefono a napoli. per salvare i miei libri, mi spoglio e ne faccio fagotto. poi corro verso casa. azzoppato dalle pozzanghere. zuppo di vita. l'amore mi salverà (?)

7.6.08

mio nonno crepava la terra che amava

talvolta, preferisco l’asfalto nero della carreggiata, piano e senza sbavature, al marciapiede gibboso, di saliscendi e polveroso. son proprio bravi a costuire le strade, qui a roma. lavorano, furtivi, di notte, squadracce di uomini rifrangenti, deviando il poco traffico che c’è, con un camion davanti che raccoglie in un cassone il vecchio bitume sputatogli dal macchinario a proboscide che procede dietro, e quando il primo si allontana troppo, il secondo suona il clacson una volta, mentre il segnale della ripartenza, è un doppio clacson. ad ogni modo, la mattina dopo tutto è risolto, senza quelle strisce assurde di asfalto momentaneo che tempestano le nostre strade, (prendi via appia?!?), che dopo un po’ creano un intreccio, simbolico retaggio di svariate ere amministrative.

a via venti settembre, entro nel chiostro del borromini di san carlo alle quattro fontane, mostrano artigianato locale, ceramiche e un quadro naif (dove posso trovarli esposti in una galleria?!?). rubo santini nella sacrestia dove un custode annoiato legge un giornale, poi scendo nella cripta dalla forma inusuale che dopo la scala a chioccia mi gira ancora la testa. un cristo sbiadito affrescato alla parete. ritorno all’immagine di Roma di Fellini, quando la trivella della metropolitana scova, finendo per distruggerli per sempre, i tesori di una villa romana.

il corazziere aggiunto mi indica l’ingresso del palazzo presidenziale, un carabiniere cavilloso mi rimanda a seguire la giusta transenna. scopro che luigi einaudi fu in rotta con benvenuto griziotti, della scuola tributarista di pavia. (aggiungere che dalla stessa proviene tremonti è sparare in alto?!?). alla sua morte la biblioteca, riunita nella tenuta di dogliani, raggiunse i 70 mila volumi. il catalogo della casa editrice di suo figlio giulio conta 4600 volumi. il nipote ludovico ha pubblicato 9 album o poco più. l’ultimo è divenire.

3.6.08

che non sia solo un forhum

In qualità di assessore provinciale ai lavori pubblici intendo sottolineare che non assolutamente vero che la Provincia non abbia fatto nulla per la programmazione prossima ventura. Anzi già è pronto un piano strategico delle infrastrutture che ha il limite di non dipendere esclusivamente dalla volontà dell'ente Provincia, ma da chi ha le leve della progettazione come ANAS e Regione Campania. Mi riferisco in particolare alla piattaforma logistica, ai trasporti interprovinciali, alla metropolitana Fisciano-Avellino, allo snodo intermodale Gomma-Ferro di Santa Sofia, all'Asse Attrezzato Pianodardine-Valle Caudina, al completamento della Contursi Termoli e ad altre grandi opere che si innervano con la programmazione strategica dell'intera regione. Stiamo lavorando in sinergia con gli enti sovraordinati e sta per partire un tavolo congiunto con le altre province sia Campane (Benevento e Salerno) che delle regioni limitrofe (Foggia e Potenza). A breve il Piano sarà oggetto di discussione con le parti sociali che da canto loro speriamo siano pronte per attuare gli strumenti di loro competenza. Intanto sono circa 20 i Progetti presentati dalla Provincia nel Parco Progetti Regionale e positivamente valutati dal Nucleo di Valutazione.

eugenio salvatore (
eusalva@libero.it), assessore provinciale ai lavori pubblici (qui)

1.6.08

nostalgie di uno sguardo sul tejo

it is strange how fragile this man-creature is...
in one second he’s just garbage.
garbage, that’s all!
nelson algren


le sponde di cemento del fiume sabato, dietro piazza umberto, sono oggi guarnite da figure umane di cartone bianco (meglio avrebbero figurato i cinque colori olimpici) come se di spiaggia fluviale si trattasse (alla paris-plage) e in mezzo all’acqua, che par pulita, spuntoni di legno a immaginar flutti da piena, e festoni azzurri a coprire un pezzo di muraglione, opera di un artigiano del luogo, episodio felice di urban art, o garbage art, riutilizzo di orrori cittadini con un poco di inventiva, con materiali da riciclo, magari si ripetesse (pure in altra forma). per la cronaca, la maratona è finita bene. l’auto usata del mio amico è bruciata in fretta e furia per un cortocircuito. la situazione di mio fratello è più che buona. in america, mi sarebbe piaciuto nascere a chicago. la città di bellow e al capone, di milton friedman e del lago michigan. buono per un esilio. da te che dici che non ti scrivo mai niente. ora che è proprio finita, farlo non sarebbe strumentalizzare?

28.5.08

ministeriale

il tassista ascolta vecchie canzoni di venditti. mi appare iperreale qui, a roma. il mio stipendio ha superato per la prima volta le tre cifre. per evitare capogiri, ho subito speso in libri la differenza. ritornando a quote più normali. manca pure l’acqua calda per la doccia. il padrone di casa è lontano a studiare la normativa fiscale. l’amministrazione è un groviglio di nodi decisionali con la semplificazione delle cose non fatte. altrove è sempre meglio. altrove è dove non dicono che il problema è sempre un altro. uscito dal Palazzo, mi vien sempre una fottuta voglia di scrivere.

25.5.08

formicoso libero

andretta s'è persa s'è persa e non sa tornare
andretta s'è persa s'è persa e non sa tornare
andretta aveva un amore i colli verdi
andretta aveva un dolore i poggi verdi

c’era scritto sul foglio, scaricheranno rifiuti
c'era scritto e la firma era d'oro era firma di re

uccidono il formicoso coi conferimenti
il formicoso battuto da forti venti

occhi di bosco contadino del regno profilo francese
occhi di bosco emigrante del regno profilo francese
e andretta perderà l'amore la perla più rara
e andretta ha già in bocca un dolore la perla più scura
andretta raccoglieva violette ai bordi del pozzo
andretta gettava i suoi sguardi nel cerchio del pozzo
il secchio gli disse - Signore il pozzo è profondo
più fondo del fondo degli occhi della Notte del Pianto

disse - Mi basta mi basta che NON sia più profondo di me
disse - Mi basta mi basta che NON sia più profondo di me


rifacimento andrea - fabrizio de andré

22.5.08

lindura

alle otto di sera, correggi il tiro! perché il tuo pezzo sia inattaccabile dai sindacati, dall’amministratore delegato appena promosso, in buona sostanza dal cliente sempre riverito, che paga con soldi non suoi, chi paga ha ragione pur senza ragionare. incasso e ci ripenso mentre rassetto la mia stanza, negli angoli difficili, dove s’addensano nebulose di polvere color grigio violetto e schegge di bic mangiuzzate. il cielo è sempre più giù. si vedono gabbiani volteggiare dopo piogge torrenziali che nulla hanno spazzato. stamattina, a ridosso dell’appia, riflettevo su come, in questa città la cui amministrazione toponomastica da tempo è uscita fuor di buzzo, sia ora di titolare un fascio di strade di una speculazione qualsiasi al tema dell’onirico: via delle coincidenze, via dell’altrove, via che svia, via a perdersi incrocia via a ritrovarsi

21.5.08

rin(toccato)

scivolo su rimandi ipertestuali in questa sfiga di lavoro che è una clausura virtuale e faccio luce ad intermittenza sulle mie strade cerebrali, quelle battute da una vita, le nuove ancora selvatiche, poi sulle vite che sfuggono fuori dalla finestra, le frenetiche, le immobili, quelle solo eventuali. mi accorgo di non aver mai saputo scrivere, era solo ansia di comunicare, esaurita l’ambizione comunicativa, è rimasta solo l’ansia. mi prefiguro paracadute dagli impegni presi, innocui, che portino a soluzioni diversamente gratificanti. ma il mio peggior difetto è la mancanza di presa sulle cose. sarei l’uomo più felice della terra se si trattasse soltanto di cominciare. è che più in là si solleva la spirale dell’inerzia, dove resistere equivale a sedimentare, mentre io mi liquefo, distraendomi ogni cosa sullo scaffale, dalla biografia di al cazzeggio col crumiro di fronte. un giorno, vicino?, apprezzerò l’essenzialità di rimanere nel quadrato del confronto, di non sviare. ho mille interessi sconnessi, impazzirò a coltivarli tutti, in passato, ero contro la pena di morte

19.5.08

sventato black out a montefredane

la struttura del nuovo ospedale ricorda quella del parlamento europeo di strasburgo. cambiano i colori. lassù rosso scuro, qui giallo bianco e celestino. portineria deserta. solo un parcheggiatore, della global service?, che offre un prezzo scontato per l’intera giornata. tutt’intorno i lavori proseguono. per un po’ sono stati fuori corso. ora un nuovo ciclo di finanziamenti muove le macchine. sarà una cittadella ospedaliera, con polo universitario e vista panoramica. in irpinia, parecchi paesini hanno panorami invidiabili. e molte paia di occhi stanchi per fissarli. una politica seria, da queste parti, dovrebbe, al contempo, cambiare gli occhi della gente e lasciarli integri. cambiare il modo di guardare l’estraneo, lasciare il mondo con cui siamo stati educati a guardare.

16.5.08

il ruolo del Pr

continuamente sul filo tra provarsi e deprivarsi

12.5.08

torta alla torba

consulenti in subappalto dimessi in quattro e quattr’otto per quadrare il conto, il gioco è per chi ruba seguendo di più le regole, i servizi languono, c’è sempre il pakistano, all’angolo, che vende le caldarroste di montella, l’indiano al call center che assiste, in coloniallingua, l’americano con problemi alla tv satellitare, fame e desiderio di pasta e fasuli, il romeno rimette i soldi in patria, un altro l’alcool sul pavimento della cavea graffitata, perdo l’ennesimo 211 quando l’ultimo aereo per oporto decolla obliquo, un giorno entro nel negozio dall’insegna, vini sfusi di qualità, nella pizzeria dell’egiziano torme di brigadieri di sardegna napoletani addentano kebab in tondo, al discount non si trova la pasta barilla, al bar mancini trentenni romanisti intrattengono anziani in canotta, si parla del più e del meno, è buio arancione, quello sparso da lampioni col fusto verde, il presidente era amico di un cavallo in odore di mafia, la mafia perseguì la strategia delle stragi, aveva bisogno di qualche stagista

11.5.08

panni nuovi

andiamo a vedere i colori delle ciminiere
dall'alto dei nostri elicotteri immaginari
andiamo a dare fuoco ai tramonti
e alle macchine parcheggiate male
ad assaltare ancora i cieli
e a farci sconfiggere
a finire sui telegiornali
foto in bianco e nero delle nostre facce stravolte sui quotidiani locali
andiamo a vedere i cantieri delle case popolari
dai finestrini dei treni ad alta velocità
trasformiamo questa città in un'altra cazzo di città
andiamo a vedere le luci della centrale elettrica
andiamo a vedere le luci della centrale elettrica
andiamo a vedere le luci della centrale a turbogas
piromani le luci della centrale elettrica

l’urbumanista

8.5.08

il paese alle vongole

se calderoli semplifica, taglio corto e mando tutti a fanculo!

7.5.08

istituzioni&destitituzioni

conosco il reddito di mio zio
niente sul suo dio

5.5.08

mad(r)e in hirpinia

non scrivo più da quando mi sento uno shmuck, parolina yiddish abusata da taluni autori un tempo avidamente compulsati, che grossomodo traduce l’italiano scemo, nell’italia capovolta, così ora come fu sempre, ché mi intorciglio attorno ai soliti ragionamenti sullo spazio al secolo ventunesimo, se conviene vivere a san pietro indelicato, frazione di chianche o nel suburbio della megalopoli di secondo livello, a sfrondare rapporti umani secchi, sguardi impauriti, pulsioni vattellapesca. mi riprometto di leggere unavitaviolenta di pasolini, sforzarmi di comprendere, non desistere a metà del guado, in cui sguazzo, ad occhi lucidi, se affronto un interlocutore comune. sono stati giorni di sobbalzi emotivi, contro chi mi imputa di esser privo di microchip emozionale, cui rispondo, per forza, con una blanda protesta mentre riscopro un amore prima inconfessabile per la figura materna, malata o prossima ad esserlo, gli antichi confonderebbero questa figura con la propria terra, su cui si scaricherebbero i cumuli di rifiuti tossici della regione, nel letto ondulato&verde del formicoso, raggiunto dalla fondovalle ufita, dove vecchi su trattori arrugginiti scorticano la terra, ricavandone, talvolta, vita

28.4.08

da roma a roma


27.4.08

sprawl di una faccia

intorno è tutto uno schifo, gli autobus scrostati, le lamiere sul ciglio della strada accatastate, sui vagoni della metro graffiti dai messaggi insensati, eppoi i drogati, signoraconcetta, i rumeni ubriachi&drogati... ultimamente, non faccio che scrollare spalle. e di tanto in tanto stringo i denti forte, serro le mandibole, sbuffo furente. non resta che giocarmi la mia faccia peggiore. ubriaco io stesso, volgare, inconsistente, insistente, privo di moderazione. eppure, a modo mio, fiducioso in un domani migliore, quantomeno il mio, strenuamente aggrappato, per non finir nel gorgo, in mezzo al borgo.

22.4.08

- twitterismi post valanga leghista

blogger studia il perché abbia perso consensi e link(s) nel nord est del paese

19.4.08

- per celio nero

un paio di matrimoni sulla strada conducono all'arco di dolabella e silano che apre il clivo di scauro, topografie antiche, a cingere villa celimontana, sul prato della quale atterro, cieco dal sole, a strappare fili d'erba, a rastrellare granelli di sabbia, a misurare tra le fessure formate dalle dita della mia mano, l'altezza dei rami del pino di fronte, mentre un'enormità di bambini biondi scorrazzano inseguendo un pallone, inseguiti. l'avvocato diceva che gli uomini si dividono in due categorie, chi parla delle donne e chi parla con le donne. lui preferiva far parte della seconda. anch'io. fin quando mi scoprii sordomuto.

appunti sparsi del dopo vuoto - il vescovo rosso

un vescovo blogger, già sospeso a divinis, sfida alle presidenziali paraguaiane il partito dello spietato regime Stroessner, e i sondaggi lo dànno per favorito. la teologia della liberazione, più volte processata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede dell'allora cardinale ratzinger per aver trasfigurato gesù cristo in che guevara, avrebbe così il suo primo presidente. a misurarsi coll'arte del governo, della quale, prima di sperimentarsi, molti si ritengono sicuri praticanti.

14.4.08

pd(alone)


31.3.08

via romachemagnanapoli

dopo giornate di fitte piogge di latticini, d'improvviso è spuntata primavera. banale scrivere che si apprezza meglio da viale nino manfredi, piuttosto che dalla vetrata postmoderna dell'ufficio. eppoi manonellamano, giù per il clivo di rocca savella, che bello sarebbe quell'attico, fermare quest'attimo. ho un nuovo progetto per il mio blog. tu hai un nuovo progetto per il tuo show. un giorno vivremo assieme, prima tocca scegliere la città. napoli, largo magnanapoli, roma. un colpo in testa a marco aurelio, l'uomo incappucciato sulla destra è il masaniello di roma, un savonarola ante litteram, dopo accurato controllo, cola di rienzo, che quando l'ignoranza si affianca all'amnesia, un vortice di oblio m'avvolge. al caffè fandango affiancheresti la cameriera padan-chiattona, tu smilza&terrona. io terrigno, tornerei volentieri a coltivar patate, a saper il mestiere. a villa torlonia, un casino di bambini colorati si rotolano sull'erba. il mussolini jazzista, in video, racconta dov'era la cucina. carlo levi ci ricorda dell'orologio, che tutto è già finito, l'intercity parte, via romachemagna, ma ovunque insieme!

23.3.08

pascquatica

l'avvento dell'esofagite da riflusso può cambiare di netto il corso di una giovane vita. se prima si trangugiavano liquidi ed altro a velocità ultrasoniche, poi un forte senso di costipazione intorno al petto costringe a ridurre i consumi, così finisci per dismettere le t-shirt degli iron maiden e per indossare camicie blu sotto anonime polo bianche. i locali fumosi restano quelli. con un sapore vecchio dello star assieme, le facce che cambiano luce ma non i contorni, acustica devastante, e nessun videotelefono a raccogliere pezzi d'esibizione. mentre la pioggia incessante ingrossa le acque del sabato e dei suoi affluenti, persino del fenestrelle lì di fianco. i timbri sulla mia mano pian piano l'umidità li scioglie. s'espande lo spettro del mio rimuginare. l'autoradio sulla nuova utilitaria mi sembra un'invenzione ragguardevole, perché le strade suonate cambiano di consistenza. dopo summonte, la provinciale conduce a capriglia, grottolella, exit music (for a film), altavilla, tufo, prata principato ultra, pratola e via d'immaginazione. come accrescere il capitale sociale? il trio di brooklyn prende il nome da un politico corrotto che fuggì col malloppo. qui non si fugge mai da questa terra, sarebbe meglio aspettare fuori la pioggia che cade, non ripararsene, lasciar bagnare il poco denaro che c'è, fino a confondere la valuta, l'idea che hai di me.

18.3.08

il progetto della finanza

giulio lavora in una banca d’affari. sedici ore al giorno, sette giorni a settimana. a luglio, gli è stato promesso, andrà a londra. per imparare a lavorare meglio. ieri la sua banca, la lehman brothers, ha perso il venti per cento del suo valore in borsa. io ho vomitato il piatto di cous cous assaporato alla tavola calda dietro l’angolo. la sua banca ingurgitava toxic waste, titoli dall’incerta composizione e ad altissimo rischio, per il 53,3% del valore del capitale. la crisi dei mutui contagia le banche d’affari, i fondi di private equity, il mercato immobiliare, la catena alimentare. se la bolla immobiliare dovesse scoppiare, mi piacerebbe comprare casa a roma, atripalda, lisbona, lipari. in ogni caso, gli spruzzi della bolla in disgregazione colpirebbero anche il mio incerto futuro contrattuale. rinuncerei subito alle case di roma, lisbona, lipari. per alan greenspan è la crisi più dolorosa dalla seconda guerra mondiale. il suo ex collega rivale, wim duisemberg, il primo presidente della BCE, fu rinvenuto esanime su un lettino gonfiabile, nel luglio 2005, in una piscina della sua villa francese, si dice crepato da un infarto. da tempo soffriva della depressione del pensionato. il sistema si autodistrugge, sempre. il mio coinquilino ha intrapreso la carriera universitaria. ieri ha intravisto posterina discutere la sua tesi di dottorato. sulla finanza di progetto. ne ha uno, dunque. basta attendere.

16.3.08

in morte di un lettore forte

Ctrl+X pagina di un romanzo
Ctrl+V schermo di un pc

14.3.08

il tricarico delle multinazionali

quando mi compri sai che
poi non mi mangi
quando mi butto al largo nuoti con me
è come dire a un cristo: "sanguina meno!"
guardo nel fieno e mi accorgo
che non ci sei
che non ci sei
che non ci sei
...
moltheni - tu


che tu sia indipendente in ogni cosa eccetto il mio amore, che già io son dipendente in tutto del mio datore. fino alla cena di team, a valle della riunione di updating, in cui si valuta la situazione as-is, chissà se mai un giorno verrà il to-be, ché il commitment del cliente è scarso, tipico nel p.a., dopodiché, esausto/frastornato, mi isolo intellettualmente e corro su campi scoscesi, pure la mia ubriachezza è diversa, roteo il bicchiere ripetutamente, il manager mi confessa che lui non sa un cazzo di niente ma non sembra, guai a specializzarsi, gli rispondo, allora diventerò colui che non sa un cazzo di niente meglio di te. è la mia sfida. la mia sfiga.

6.3.08

poi non se ne fa niente

il poeta è colui che ride delle cause del suo piangere e piange delle cause del suo ridere

case senza gente, gente senza case

al principio d’ogni mese, c’è tutto un flusso di spostamenti metropolitani legato al regolamento in denaro degli affitti in nero. padroncini micragnosi inforcano motocicli rombanti e si lanciano saettando lungo strade reseviscidedallapioggia. al loro passaggio spruzzi di pozzanghera si levano su pedoni stanchi, erbetta in cunetta, marciapiedi scorticati. glabri neo assunti o studenti fuoricorso parecchio barbuti attendono il 211, bestemmiando teatrali, non arriveranno mai in tempo a casa dai loro padroncini a pagare. così che oltre la pigione salata, si beccheranno l’ennesima, sonora cazziata.

4.3.08

guadando il (fiume) topino

la cosa più complicata è ascoltare
non a caso abbiamo due orecchie e una sola bocca

3.3.08

passando per il liechtenstein

ho un deposito di trentaseimila lire in una banca di vaduz. erano il contenuto del mio salvadanaio di viaggio che accidentalmente ruppi diversi anni fa nella città in cui eravamo di passaggio. mio papà s'incazzò tanto perché le monete si dispersero nell'auto, persino sotto i tappetini. così mi ordinò di raccoglierle prima di ripartire. un autoctono che passava per caso di là fu tanto gentile che volle aiutarmi. poi, mi bisbigliò che, se volevo, avrebbe potuto prendersi cura del piccolo malloppo. mi disse che quello era il suo lavoro. mi fidai e glielo lasciai. da allora ogni anno mi recapitano una ricevuta col timbro di quel paese remoto sulla quale sono indicati gli interessi nel frattempo maturati. allegata una cartolina coi saluti di franz, l'autoctono. per questo sarei un evasore!

29.2.08

anno bisestile

quattro anni fa questo luogo non esisteva

28.2.08

nei miei occhi

...ché non finisca come quell'amministratore delegato di provincia che accolla tutti i suoi insuccessi alla masnada pansindacalistica

24.2.08

lo scoppio che tutto tiene

c’è un temporale in arrivo,
c’è un temporale in arrivo,
senti l’elettricità,
c’è un temporale in arrivo sulla mia città,
porta novità, porta novità

jovanotti – temporale

cosa fai? (R: leggo/
introietto informazioni in esubero/
mi gongolo nell’autocompiacimento dell’over-information/
lascio che la mia sfera emotiva taccia
sotto il peso dell’ipertrofica sfera cognitiva)

l. – sms delle 17.09

cara irpinia, i tuoi figli hanno dovuto sempre combattere
e questo ha seminato nel loro sangue paura e diffidenza
ma adesso c’è bisogno di amare l’epoca stracciata in cui ci troviamo,
c’è bisogno di ricucirla giorno dopo giorno,
ora dopo ora.
è questa la rivoluzione a cui siamo chiamati...
adesso, cara irpinia, possiamo intrecciare le nostre debolezze
perché sono rimaste solo quelle,
adesso possiamo intrecciare le nostre paure
perché sono rimaste solo quelle.
quello che ci puoi dire tu, cara nostra terra,
e che possiamo disubbidire alle nostre debolezze e alle nostre paure.
eccola la nostra politica, l’abbiamo trovata,
è sul confine tra ciò che non vogliamo essere e ciò che possiamo essere.

franco arminio – otto pagine e comunità provvisoria

strascico i piedi sul piazzale della partenza, due comignoli di mattoncini rossi sono i cardini di una bussola immaginaria, qui o lì? oggi non vorrei andar via, prima impugnerei la bacchetta magica per modificare lo spazio urbano, o almeno due o tre teste a caso. sarà perché le prime gemme verdi spuntano sui noccioli o che ai crocicchi delle strade si confabula animatamente sul futuro politico della provincia. è capitato anche a me. avvicinato da un bassista pronto a gettarsi nella mischia. dove già domani si arriverà alla conta decisiva. zio è ancora indeciso sul da farsi. dice che in queste occasioni si comunica a gesti ed è un problema di greggi. altrove di greggio, in ogni caso niente a che vedere con la democrazia. intanto mio padre teme che scoppi di precarietà, io che lui scoppi di colesterolo. ma oggi tutto si tiene, il sole tramonta di un rosso corallo, pure su questa terra calpestata. e provvisoria o meno, c’è una speranza sconfinata. poi per i reali cambiamenti si vedrà.

21.2.08

flatus vocis

si avvicina, inesorabile, il momento,
capitale nella vita di ogni uomo,
in cui si eredita il proprio pezzo di terra
su cui edificare
(o da mortificare)
la mia generazione è pronta
se necessario
(come le precedenti)
mortedificherà!

20.2.08

non è un paese per vecchi

hanno trombato ciriaco de mita
(e poco a poco soffocheranno i suoi figli)
lui prende subito la parola alla riunione di partito
deve tirarsi fuori un attimo prima che lo estromettano
(mi ribello) se prevale l'età sull'intelligenza
non starò con voi ma contro di voi
in effetti i tipici discorsi dei bambini e dei vecchi
quelli che di risposta ottengono una scrollata di spalle
un'occhiata di comprensione
capirà un giorno - avrebbe capito una volta

stasera gli ululati degli irpini della diaspora (ma non solo) son melodia
(e ora come si riposizionerà mio zio?)

19.2.08

ululato di un irpino della diaspora

aiuaaaaaaaaaaaaaarrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrgh!

17.2.08

colazione a casale rocchi

stamattina il vento si è placato. gelida rimane l'aria. in strada i raggi del sole picchiano di traverso sulle lenti dei miei occhiali. i miei occhi finiscono per bruciare. svolto per via dei durantini. semino il sole, ora alle mie spalle, così mi pare. figure marginali si muovono sui marciapiedi. una vecchia bacucca trascina stanca un carrello da spesa vuoto. con le spalle la supero. il giornalaio discute animatamente dell'arbitraggio di ieri. torti e ragioni si fronteggiano in un campionato parallelo. via casale rocchi è a duecentocinquanta metri da casa. appena la imbocco, uno sfasciacarrozze si presenta alla mia destra, un caseggiato diruto alla sinistra. avanti, le case diventano basse, semplici. il viale è deserto. un edificio rosso si intravede al suo limite. è il casale di bonifica, grazie al quale qui l'uomo ha strappato terre coltivabili all'ansa dell'aniene. l'atmosfera rimane rurale. sul portale di una chiesa anonima, un foglietto indica gli orari delle messe e quelli del catechismo. è ora di messa ma è tutto sbarrato. un paio di donne ciarlano del tempo sull'uscio di casa. intorno è silenzio. al massimo persiane che si rialzano, un pianto di neonato. dal fianco della chiesa parte una stradina che dopo pochi metri perde l'asfalto e dà sui campi. mi avventuro perché voglio arrivare al fiume. saudade del sabato. di lì i campi si aprono a raggiera, delimitati dal corso d'acqua. mozzando il proprio respiro si sente il suo. paesaggio pasoliniano. campagna al cui orizzonte spuntano palazzoni alveari. da quei palazzi questi pezzi di verde saranno di sicuro invisibili, lo sguardo stretto da altre costruzioni, antenne e cipressi. sul ciglio del fiume ombre si muovono, poi si accorgono di me e si bloccano a fissarmi. mi rammento che da queste parti vive l'esclusione. desisto dal mio intento e torno indietro. i miei passi si appesantiscono. il vento torna forte e mi screpola la faccia.

15.2.08

chiudere gli occhi non ha mai cambiato niente

aspetterò il tuo arrivo fino a notte fonda

14.2.08

solitarialseggio

al voto di primavera mi presento da solo

12.2.08

gavetta

quando il tuo lavoro è tanto necessario quanto bistrattato

11.2.08

lo spin doctor della quinta

veltroni nel suo viaggio elettorale nell'italia delle centodieci città scelga centodieci location d'impatto, non ovunque edificanti: il sottoscala di un quartiere disumanizzato, l'ingresso della discarica contesa, la ciminiera della fabbrica in dismissione, la chiatta di un fiume in secca...

8.2.08

tornando per il focarone

e intorno ai falò che crepitano aleggia la speranza di una primavera civile

7.2.08

yes, we could

trascurando di essere perduti

6.2.08

pipistrelli

è in metro che si annidano i lettori forti
(anche di braccia)

5.2.08

difetto empatico sul posto di lavoro

mi presento male. loro mi si presentano peggio.

4.2.08

la neve a pietralata

diceveno che eventi meteo inconsuenti, non violenti, ci riappacificano col mondo!

3.2.08

soluzioni comuni incentivi

i comuni campani che rimpallano responsabilità sulla questione rifiuti perché commissariati, e dunque esautorati, a dir loro, di ogni potere sull'emergenza, dimenticano che una delle loro più gravi inerzie è il mancato adeguamento alla normativa nazionale, il decreto Ronchi*, sul finanziamento comunale della gestione rifiuti: l'applicazione della TIA (tariffa di igiene urbana) in luogo della TARSU (tassa sui rifiuti solidi urbani). ovvero, nei casi più esemplari, come ripartire il costo del servizio non in base a metodi presuntivi (superficie occupata e numeri componenti del nucleo familiare) ma sulla effettiva pesatura dei rifiuti indifferenziati prodotti dalla singola utenza domestica.


*poi abrogato per l'entrata in vigore del Codice dell'Ambiente. ad ogni modo l'obbligo di applicazione della tariffa resta, benché, nei fatti, sia addossato a costituende autorità d'ambito ottimale, partecipate dai comuni.

2.2.08

ottanta anni di ossessione de mita

polemicamente

io non so comunicare. ho i denti gialli. e niente da mangiare. non sono un parlatore, non un politico, né uno che scrive. ma uno che sommerso dai fatti del mondo, nell’era dell’informazione, smista sensazioni, e subisce, come tutti, l’inevitabile mutazione antropologica che ne consegue. colpito da una miriade di eventi distanti, sordo al fragore degli strilli di fronte. io invoco trasparenza perché mi semplifichi la fatica del comprendere. se pecco di chiarezza è perché io registro e non pubblico; io ricevo, raramente offro. io guardo fuori ed è una grande impressione. io manco ancora di ruolo. per poco. per sempre.