30.6.08

nomen omen


franco vittoria, nuovo presidente provinciale partito democratico

28.6.08

avellino: forme




25.6.08

del crumiro che s'appassiona al lavoro, autofottendosi

oggi pomeriggio, partecipavo ad una riunione di lavoro, col capo del mio team, il capo del mio progetto e due dirigenti del ministero in cui sto lavorando. in silenzio, prendevo appunti. si chiacchierava di più e del meno, del futuro della pubblica amministrazione, del ciclone brunetta, della deresponsabilizzazione dei manager pubblici, dei pochi incentivi per i funzionari, della spropositata preponderanza delle strutture di supporto rispetto a quelle core, della esiguità degli stipendi per il personale, della scarsa collaborazione tra le strutture dipartimentali, della necessità di un bilancio zero based budgeting invece che incrementale, dei danni dello spoils system, dell’urgenza di una politica strategica invece che demagogica, dei pregi del lungo termine contro i sussulti degli annunci, ebbene ad un certo punto, non sapevo più se quei discorsi li stavo ascoltando per davvero o meno, che un paio di brividi mi hanno scosso, perché sono le chiacchiere che voglio fare senza mai trovare il tavolo adatto. casomai, ora quello che c’è da fare, è profferire parola. ogni tanto.

22.6.08

le formiche di avellino

di recente, mi allieta fare di frequente armi e bagagli, benché le destinazioni siano sempre quelle, roma, avellino, in ping pong. questa volta col treno alta velocità che però verso aversa rallenta perché i binari non lo permettono e i subappaltatori nemmeno. nel giorno in cui il processo spartacus, dal nome dello schiavo che si rivoltò contro il senato romano, condanna all’ergastolo il boss schiavone tanto a rivoltarsi contro il senato e le istituzioni oggi c’è il capo del governo. i vicini di treno sono due manager che dopo essersi annusati per un po’, decidono che è tempo per fidarsi, e sparlano dei colleghi, della loro immoralità. ogni tanto danno uno sguardo distratto al blackberry o mi scrutano di sottecchi, abbassando la voce nei passaggi maligni più azzardati. napoli si annuncia con le prime palazzine di periferia e un cimitero sulla collina che è un gioiello. più tardi, dopo che il bus air ha sorpassato pericolosamente un incrocio di mezzi a motore incastonati, esposti allo sguardo di mille occhi sui balconi, lo raggiungiamo quel cimitero. del pianto, si chiama, s’affaccia sul golfo sul quale si specchiano il vesuvio e un milione di sofferenze e colline butterate di cave di ghiaia per produrne calcestruzzo, pilastro dell’economia criminale, poi disastro urbanistico e civile. avellino è poco oltre quelle montagne. nella galleria dell’autostrada che la annuncia chiudo gli occhi, ma questo già l’ho scritto. per scaramanzia o soltanto per l’incanto di un risveglio finora sconosciuto. ma è ancora disseminazione illogica di villette di aiuto geometra e amministratori irreprensibili solo del giardino di casa. il giorno dopo, bevo un crodino a cesinali, a spasso per il corso, che s’allunga lentamente. pure sulle sue pietre grigie è una disseminazione di gomme da masticare, che diventano puntoni neri, rifiuti che si fanno stella. il piano strategico cittadino regali ai bambini che giocano una bicicletta per tre super santos. ai vecchi che siedono sul muretto del convitto, tavoli allestiti alla conversazione. il tuo corpo mi serve per non partire continuamente da me stesso. non mi credi perché tutto questo che è intorno è una diffida a non fidarsi. ma noi siamo il nuovo e parliamo male solo all’ospedale. gli ultimi duecento metri del corso verso piazza libertà, sono interrotti dai lavori, gabbie per curiosi della messa in opera, i pedoni le aggirano remissivi, come un corteo di piccole formiche, che si limitano al loro compito e, per tutto il resto, s’affidano al volere della regina.

19.6.08

sentirsi stupido

ho letto, più volte, immensamente ammirato, il post di gianni fiorentino, Contro Arminio, ovvero: la fine dei paesi, disponibile per intero sul sito della comunità provvisoria, ad oggi l'unico blog irpino che racconta cosa è e cosa potrà diventare il nostro pezzo di terra (e per questo, ma non solo, Grazie Arminio). di seguito, il passo che ritengo più significativo:




I paesi, in realtà, non esistono più da un pezzo. Semmai, essi sopravvivono nella nostra vaga immaginazione per unire traiettorie di desideri mai realizzati e sogni mai avverati. Il paese cercato, però, è inarrivabile: semplicemente perché esso è morto.
Non può bastare la rianimazione dei luoghi dei nostri genitori, né serve tenere in vita artificialmente i ruderi della nostra infanzia: non soddisfa nessun bisogno attuale il tentativo accanito di ricucire per ricucire i luoghi o, come dicono oggi, i territori di questo grigio nauseabondo presente. Se proviamo, al limite, a prenderci cura dei paesi che incontriamo lungo il cammino, lo sai, non è per amore delle pietre e delle anime, ma per un disperato e malcelato amor proprio: un estremo tentativo di sottrarci alle onde che ci portano lontano da qui. Un tentativo di sfuggire agli anni che non sappiamo più misurare, alle parole che non comprendiamo, alle danze che non sapremo mai ballare, alle emozioni che ci scoppiano nello stomaco ma che non sappiamo più dire. Non osiamo dire...

Se vuoi, i paesi, esistono solo nella misura in cui noi li costruiamo. Perché, nella foga bastarda di ri-costruire per interi decenni, armati fino ai denti di cemento e avida rabbia, non abbiamo imparato a costruire. E non solo le case. Costruire relazioni, legami, intese. Costruire emozioni, edificare col sangue dell’amore e dell’odio, dell’appartenenza e della speranza, del cuore, dell’intelligenza, della conoscenza. Del coraggio. Edificare, silenzio su silenzio, relazioni umane appaganti e gratificanti, le uniche vere fondamenta per ogni nuova contrada, per ogni nuova strada, per tutte le pietre che metteremo l’una sull’altra il giorno che verrà. Se tu lo vorrai...

Un piccolo paese non è per sempre, come forse lo sono certi diamanti. Ma il desiderio, il bisogno di costruire luoghi per le relazioni che ci aiutano a vivere bene, quello, vivrà fino alla fine. Ogni comunità, in fondo, di pietra o di parole che sia, o di entrambe, è solo una comunità di passaggio. Una comunità provvisoria.

sentenza (con scadenza)

tra chi dimostra più di quanto sa e chi ne dimostra meno,
preferisco i secondi
vendere qualcosa, spesso, può tornare utile
vendere qualcuno è schiavismo
(vendere se stessi non è un'attenuante)

18.6.08

riduzione al dialogo

se voi state dentro o fuori dall'aula
per noi cambia poco
tanto cambieremo questo Paese
alla faccia vostra

Federico Bricolo, capogruppo Lega Nord


il marchio maynardo esordisce nel business dei giocattoli, a far concorrenza al concittadino preziosi, mentre un altro già opera nel settore dei viaggi d’avventura, io stesso sono citato dal foglio cittadino, per via di corrispondenze fluviali col professore d’opposizione. chissà cosa ne pensa dell’ennesimo strappo istituzionale del presidente del consiglio dei ministri (più prosaicamente, oggi detto, premier)? in un decreto d’urgenza, assegna all’esercito compiti di pubblica sicurezza, dispone priorità ai processi in corso bloccando i meno pericolosi (assurdamente gli stessi per cui si è reso necessario un intervento in materia di sicurezza), vieta la pubblicazione delle intercettazioni telefoniche e con esse di qualsiasi notizia sul procedimento fino alla chiusura delle indagini preliminari, ricusa il giudice che, a breve, avrebbe dovuto emettere sentenza su una sua presunta corruzione (in atti giudiziari), ma non potrà. il marchio maynardo, in quattro anni, raramente s’è lasciato andare all’antiberlusconismo da ostentazione. anzi, dopo le elezioni, s’è mimetizzato nell’intimismo/abbattimento pubblico più deleterio. eppure, stamattina, alla lettura del fondo d’avanzo, ha visto crollare le sue incertezze che è tempo, se non di edificare, quantomeno di testimoniare. albert otto hirschman, in una sua celebre opera, ricorda che i componenti di un’organizzazione in declino o escono (exit) o protestano (voice) e io, per la mia pronuncia, non potrei vivere lontano.

13.6.08

al punto che lasciai

le basi teoriche delle riforme di contabilità pubblica: il new public management

La naturale evoluzione delle procedure di contabilità pubblica trova un segno di discontinuità nell’ intensa stagione di rinnovamento che ha riguardato il settore pubblico a partire dalla fine degli anni ’70 del secolo scorso. L’affermarsi di un insieme di idee cui, complessivamente, si dà il nome di New Public Management fu fondamentale per l’introduzione di una serie di innovazioni nella contabilità pubblica. Gli schemi di tenuta della stessa, fino ad allora improntati ad un principio di formalismo giuridico, mutarono, all’interno di un più generale processo di “aziendalizzazione” delle Amministrazioni pubbliche.
L’idea base del New Public Management si poggia sull’assunto secondo cui le amministrazioni pubbliche siano prima di tutto delle organizzazioni che producono servizi e che pertanto nella loro gestione non debba prevalere l’approccio di tipo giuridico-formale quanto quello di tipo economico, comunemente utilizzato nelle aziende private. Naturalmente, sebbene tale asseverazione produca effetti in tutte le aree gestionali dell’amministrazione pubblica, dalle decisioni sulla struttura degli enti alla gestione del personale, essa comporta, tra l’altro, una vera e propria rivoluzione del sistema informativo- contabile.
Le riforme furono promosse, in primo luogo, dai governi conservatori del Regno Unito, dell’Australia e della Nuova Zelanda, a fronte delle pesanti recessioni economiche intervenute negli anni settanta, e dei mutati fabbisogni di servizi pubblici espressi dalla cittadinanza, dovute, in parte, ad una più elevata consapevolezza del livello di benessere avvertito dalle comunità (Aucoin 1990). La spinta riformistica rapidamente si diffuse nei maggiori paesi occidentali, in particolare in quelli dell’OCSE.

Le principali caratteristiche del New Public Management, variamente identificate dagli studiosi, possono essere sintetizzate come segue (Hood 1991; Osborne, Gaebler 1993; Gruening 1998):
1. adozione nella amministrazione pubbliche delle regole manageriali tipiche del settore privato: tra cui l’implementazione di sistemi di pianificazione, budgeting e di management strategico;
2. nuove modalità di gestione del personale mediante l’applicazione del sistema degli incentivi e dell’introduzione di elementi di flessibilità a fronte delle regole tradizionali costituite dalla continuità del rapporto, dagli avanzamenti per carriera e da una ridotta autonomia concessa al funzionario pubblico; maggiore utilizzo dell’information technology nel settore pubblico;
3. abbandono del focus sugli inputs per l’implementazione di una logica sui risultati di outputs/outcome/grado di soddisfazione del cliente; definizione di obiettivi, targets, indicatori di performance, preferibilmente espressi in termini quantitativi; focalizzazione sui risultati anziché sulle procedure;
4. privatizzazione di ampie parti del settore pubblico; esposizione delle aziende pubbliche ad un ambiente competitivo; separazione del momento della produzione e dell’acquisto nella erogazione del servizio pubblico tramite il meccanismo del “contracting out”;
5. decentramento: devoluzione di parte delle competenze del governo centrale a unità territoriali più prossime alla utenza cui, generalmente, segue una progressiva riduzione delle risorse loro destinate a fronte della cessione di parte della potestà impositiva;
6. aumento della trasparenza/accountability nei confronti degli stakeholders attraverso una diversa tenuta della contabilità e una logica improntata alla misurazione continuata delle performances, alla quale s’accompagna, per i managers, una più diretta responsabilità per i risultati;
7. enfasi sulla disciplina fiscale e sulla parsimonia nell’uso delle risorse pubbliche; taglio degli “sprechi”; ricerca di una maggiore produttività della forza lavoro; lotta alla corruzione dei pubblici ufficiali.

Una modalità di interpretazione delle origini del New Public Management lo giudica come il risultato di due opposte scuole di pensiero (Aucoin, 1990; Hood, 1991): la public choice e lo “scientific management”. Dalla prima riprende la necessità di ristabilire il primato del governo sulla burocrazia, mentre dalla seconda, l’urgenza di applicare, anche al settore pubblico, i principi di “management professionali” propri del settore privato, al fine di raggiungere obiettivi multipli, tra i quali una riduzione della spesa pubblica, un miglioramento della qualità dei servizi erogati, più in generale, il conseguimento di una più elevata efficacia delle attività pubbliche e del livello di efficienza delle scelte collettive (Pollitt, Bouckaert 2001).

La Public Choice, in particolare – a partire dal celebre lavoro di Niskanen sulla burocrazia - cerca di dimostrare come i funzionari pubblici (detti “burocrati”) perseguano i propri obiettivi (o meglio, quella che è la propria percezione dell’interesse pubblico), analizzando le loro relazioni con i “rappresentanti eletti”. La Public Choice applica alla scienza politica gli strumenti analitici sviluppati dalla microeconomia. Si assume, dunque, che il “personale politico” agisca razionalmente, cercando di massimizzare la propria funzione di utilità che diverge da quella della collettività: i “burocrati” massimizzano il proprio potere; gli “uomini politici” massimizzano le proprie chances di essere rieletti. La tesi di fondo è che questi ultimi detengano una limitata possibilità di dirigere l’operato dei burocrati. Ovviamente, è facile comprendere come la seguente argomentazione abbia ricevuto una positiva accoglienza tra i politici, in particolar modo coloro i quali sono direttamente coinvolti nel governo di un ministero, i quali tendono a guardare con sospetto ogni tentativo dei burocrati, loro sottoposti, di accrescere le dimensioni del budget a disposizione. Dunque, la prescrizione normativa è di riaffermare il primato dei “rappresentati eletti” sui “burocrati” riguardo alla dimensione dei budgets e alla scelta degli obiettivi da perseguire. Ciò implica che nell’organizzazione del settore pubblico, l’esecutivo riacquisti margini di potere a discapito della burocrazia, attraverso il rafforzamento della centralizzazione, del coordinamento e del controllo (Aucoin, 1990).
La necessità del controllo, in particolare, discende dalla asimmetria informativa che sussiste tra i “politici” (principali) e i “burocrati” (agenti) . Solo i “burocrati”, ad esempio, conoscono completamente la funzione di costo delle unità produttive che dirigono. La riduzione di questa asimmetria informativa passa principalmente per l’innovazione delle procedure contabili, ad esempio, con l’introduzione di una fase di auditing condotta dai “rappresentati eletti” (Chan, Rubin, 1987; Rubin, 1992).

In secondo luogo, il NPM subisce l’influenza dello “scientific management”. La cui tesi principale è che le organizzazioni complesse realizzino meglio i propri obiettivi applicando le pratiche manageriali tipiche del settore privato, per cui appare necessario “sburocratizzare” il sistema. Occorre sottolineare che il successo della “letteratura manageriale” deriva più dal consenso che essa ha via via ottenuto tra gli addetti ai lavori che da raffinate costruzioni teoriche, laddove le prescrizioni che da essa discendono, provengono da consolidate prassi gestionali. L’idea secondo la quale il management, anche nel settore pubblico, possa utilizzare le risorse efficientemente ribalta la vecchia teoria dell’amministrazione in quanto rispetto dei funzionari pubblici di procedure minuziosamente formalizzate da leggi e regolamenti. Allo stesso modo della teoria della “public choice”, lo “scientific management” riconosce come i conflitti pervadano la vita delle organizzazioni complesse, pure se pubbliche, e siano meglio regolati attraverso relazioni di autorità tra i membri dell’organizzazione e una gestione del personale che si basi sul sistema degli incentivi. In maniera contrapposta alla scuola della “public choice”, si richiede, dunque, che l’organizzazione pubblica venga edificata seguendo i principi di decentralizzazione, deregulation e delega (Aucoin 1990).

Le due opposte scuole di pensiero, sebbene entrambe fondamentali per l’affermarsi del New Public Management, non consentono, pertanto, di indicare una unica direzione al processo riformatore che ha riguardato il settore pubblico. Questo spiegherebbe, tra l’altro, la notevole varietà con la quale i paesi OCSE hanno adottato i principi di New Public Management al loro interno.
La matrice che li accomuna è, tuttavia, il superamento, o quantomeno l’attenuazione di due idee precedentemente assai in voga che trovavano il proprio riscontro anche nella produzione dei documenti contabili:
1. il settore pubblico viene gestito seguendo uno schema completamente differente dal settore privato, in termini di etica, approccio al business, struttura organizzativa, gestione del personale, sistemi incentivanti;
2. uno degli obiettivi del legislatore è quello di limitare la discrezionalità dei funzionari pubblici attraverso un corposo complesso normativo volto a prevenire casi di favoritismo e corruzione.
Come già scritto, dal primo si passa ad una graduale implementazione nelle amministrazioni pubbliche di schemi di gestione manageriale tipici del settore privato (“aziendalizzazione”); dalla seconda, alla concessione ai dirigenti di più ampi poteri discrezionali circa le decisioni operative, che, tuttavia, debbono inserirsi nel quadro degli obiettivi generali dell’intervento pubblico, dei limiti rappresentati dalla attribuzione delle risorse, e dei livelli di output/outcome, fissati dal livello politico.

Dunque, in fin dei conti, l’elemento che meglio contraddistingue il New Public Management è la particolare enfasi che pone sui risultati e che rende necessaria l’attivazione di procedure di misurazione delle performance, al fine di individuare il successo o il fallimento delle iniziative pubbliche, dalle quali dipende il grado di soddisfazione dei clienti-cittadini, ovvero il consenso popolare (A.Pavan, E.Reginato, 2005).
In tal senso, è bene chiarire che per efficienza si intende il rapporto tra i risultati conseguiti e le risorse utilizzate allo scopo. Laddove la relazione connette l’utilizzo di fattori produttivi scarsi e beni economici prodotti, essa rimanda all’essenza stessa del problema economico. La valutazione della performance, tuttavia, può essere espressa in termini di output, o di produzione, o in termini di outcome o di impatto. Se, più tradizionalmente, il risultato viene giudicato in termini di output, raffrontando i beni prodotti con le risorse utilizzate (quantità di output per unità di risorsa), difficilmente nelle aziende pubbliche l’output viene espresso dai ricavi di vendita, poiché le stesse effettuano tipicamente transazioni non di mercato. D’altra parte, la valutazione della performance in termini di outcome, o di impatto , che tiene conto del livello di soddisfazione della clientela assume nella prestazione di servizi pubblici, talvolta essenziali (i servizi sanitari, ad esempio), una rilevanza persino superiore rispetto a quella che assume nel settore privato, sebbene allo stesso modo soffra del difetto della difficile misurabilità.

Per concludere, l’applicazione dei principi del New Public Management enfatizza, dunque, la necessità di individuare degli strumenti tecnico-contabili che ne consentano la corretta realizzazione, offrano accurate misurazioni delle performance raggiunte, contribuiscano ad una più consapevole gestione dalle Amministrazioni pubbliche.
In particolare, in un quadro di progressiva crescita della rilevanza quantitativa dell’intervento pubblico, il sistema informativo contabile diviene uno degli strumenti utilizzati per rendere più efficiente la gestione delle amministrazioni pubbliche, ovvero una delle proposte per “reinventare il governo” delle stesse, che, da sempre, è stato endemicamente affetto da profonde diseconomicità (E. Caperchione, 1999).

10.6.08

emicranie

ogni tanto, sarebbe utile sbarazzarsi di cumuli stantii di dati, immagazzinati anni fa, in avanscoperta, modalità curiosità. i conflitti di sistema devastano il mio cervello. minano la mia resistenza. stanotte, quando su un fianco, mi mancava l’aria. ero costretto a risalire per riprendere il respiro e continuare a dormire. devo ricredermi. la qualità è l’essenziale. ed una faccia pulita. il barocco di una lingua finisce sempre per farla risultare falsa. il sole delle cinque batte sulla mia finestra d’ufficio. vietato uscire e godere roma di primavera. la notte le toglie metà del fascino, la gente. ieri, strascicandomi stanco su circumvallazione ostiense, mentre i primi schermi al plasma lanciavano l’inno nazionale, ho compreso perché (pure) questa fase della mia vita si concilia male con la cura delle pubbliche relazioni: a scanso di vuoti d’aria, non riesco a dormire meno di otto ore, altre dodici/tredici ore le impegno tra lavoro&pendolarismo, restano tre/quattro ore che sono la mia indispensabile dose quotidiana di sogni a occhi spalancati. intorno ai quali, lo ammetto, è difficile seguirmi.

8.6.08

miraggio roma nord est

imprevedibile benessere di passeggiare solitario. come adoro le piazze senza chiese. quelle con i palazzi delle arti e corporazioni. introvabili nella città. le formiche passeggiano sulle mie dita. non userò disinfestarmi. è troppo tardi. due migranti osservano attenti di là della frasca un probabile rifigio come due sposini una villetta a schiera. la mia cifra è osservare a palpebre spalancate. e soprassedere. la realtà, quasi sempre, mi innesca un moto di pietà. al contempo, sono intransigente con me stesso. dopotutto, dentro di me, non ho occhi che diano tanta luce. è così facile bombardare dove tutto è confuso, informe, caotico. poi il cielo scura, lontano i tuoni. in piazza sant’ignazio, il tempio della compagnia di gesù mi accoglie. un organo riempie le navate. m’accosto al tavolino delle cartoline. afferro due santini mentre una turista americana mi chiede se davvero deve lasciare venti centesimi come indica il cartello. le dico che non è necessario. fuori il cielo tiene. poi però il percorso del 61 è bloccato dal diluvio. anche l’umore volge al grigio. due puttane si riparano sotto un portone. telefono a napoli. per salvare i miei libri, mi spoglio e ne faccio fagotto. poi corro verso casa. azzoppato dalle pozzanghere. zuppo di vita. l'amore mi salverà (?)

7.6.08

mio nonno crepava la terra che amava

talvolta, preferisco l’asfalto nero della carreggiata, piano e senza sbavature, al marciapiede gibboso, di saliscendi e polveroso. son proprio bravi a costuire le strade, qui a roma. lavorano, furtivi, di notte, squadracce di uomini rifrangenti, deviando il poco traffico che c’è, con un camion davanti che raccoglie in un cassone il vecchio bitume sputatogli dal macchinario a proboscide che procede dietro, e quando il primo si allontana troppo, il secondo suona il clacson una volta, mentre il segnale della ripartenza, è un doppio clacson. ad ogni modo, la mattina dopo tutto è risolto, senza quelle strisce assurde di asfalto momentaneo che tempestano le nostre strade, (prendi via appia?!?), che dopo un po’ creano un intreccio, simbolico retaggio di svariate ere amministrative.

a via venti settembre, entro nel chiostro del borromini di san carlo alle quattro fontane, mostrano artigianato locale, ceramiche e un quadro naif (dove posso trovarli esposti in una galleria?!?). rubo santini nella sacrestia dove un custode annoiato legge un giornale, poi scendo nella cripta dalla forma inusuale che dopo la scala a chioccia mi gira ancora la testa. un cristo sbiadito affrescato alla parete. ritorno all’immagine di Roma di Fellini, quando la trivella della metropolitana scova, finendo per distruggerli per sempre, i tesori di una villa romana.

il corazziere aggiunto mi indica l’ingresso del palazzo presidenziale, un carabiniere cavilloso mi rimanda a seguire la giusta transenna. scopro che luigi einaudi fu in rotta con benvenuto griziotti, della scuola tributarista di pavia. (aggiungere che dalla stessa proviene tremonti è sparare in alto?!?). alla sua morte la biblioteca, riunita nella tenuta di dogliani, raggiunse i 70 mila volumi. il catalogo della casa editrice di suo figlio giulio conta 4600 volumi. il nipote ludovico ha pubblicato 9 album o poco più. l’ultimo è divenire.

3.6.08

che non sia solo un forhum

In qualità di assessore provinciale ai lavori pubblici intendo sottolineare che non assolutamente vero che la Provincia non abbia fatto nulla per la programmazione prossima ventura. Anzi già è pronto un piano strategico delle infrastrutture che ha il limite di non dipendere esclusivamente dalla volontà dell'ente Provincia, ma da chi ha le leve della progettazione come ANAS e Regione Campania. Mi riferisco in particolare alla piattaforma logistica, ai trasporti interprovinciali, alla metropolitana Fisciano-Avellino, allo snodo intermodale Gomma-Ferro di Santa Sofia, all'Asse Attrezzato Pianodardine-Valle Caudina, al completamento della Contursi Termoli e ad altre grandi opere che si innervano con la programmazione strategica dell'intera regione. Stiamo lavorando in sinergia con gli enti sovraordinati e sta per partire un tavolo congiunto con le altre province sia Campane (Benevento e Salerno) che delle regioni limitrofe (Foggia e Potenza). A breve il Piano sarà oggetto di discussione con le parti sociali che da canto loro speriamo siano pronte per attuare gli strumenti di loro competenza. Intanto sono circa 20 i Progetti presentati dalla Provincia nel Parco Progetti Regionale e positivamente valutati dal Nucleo di Valutazione.

eugenio salvatore (
eusalva@libero.it), assessore provinciale ai lavori pubblici (qui)

1.6.08

nostalgie di uno sguardo sul tejo

it is strange how fragile this man-creature is...
in one second he’s just garbage.
garbage, that’s all!
nelson algren


le sponde di cemento del fiume sabato, dietro piazza umberto, sono oggi guarnite da figure umane di cartone bianco (meglio avrebbero figurato i cinque colori olimpici) come se di spiaggia fluviale si trattasse (alla paris-plage) e in mezzo all’acqua, che par pulita, spuntoni di legno a immaginar flutti da piena, e festoni azzurri a coprire un pezzo di muraglione, opera di un artigiano del luogo, episodio felice di urban art, o garbage art, riutilizzo di orrori cittadini con un poco di inventiva, con materiali da riciclo, magari si ripetesse (pure in altra forma). per la cronaca, la maratona è finita bene. l’auto usata del mio amico è bruciata in fretta e furia per un cortocircuito. la situazione di mio fratello è più che buona. in america, mi sarebbe piaciuto nascere a chicago. la città di bellow e al capone, di milton friedman e del lago michigan. buono per un esilio. da te che dici che non ti scrivo mai niente. ora che è proprio finita, farlo non sarebbe strumentalizzare?