20.7.08

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16.7.08

tossine ritardo 211

scarabocchiare al buio sul balcone affacciato su un budello di strada che è un prisma asimmetrico di obbrobri edilizi. qui, dove ho imparato che per l’uomo di oggi il “cosa fare?” conta quanto il “dove vuoi farlo?” (ed eventualmente “con chi?”). avendo da un pezzo pressoché deciso cosa fare, tentare di individuare il luogo nel quale esercitare, è diventata la mia ossessione quotidiana. dopotutto non è tanto difficile leggere la scorza di un uomo. eppure così spesso si soprassiede. sull’edificio più alto del forte di pietralata, luccica una stella cometa. dei bambini fracassano al muro bottiglie di vetro. su un attico adibito a sala da pranzo, due coppie discutono animatamente delle prospettive economiche dei suoceri. mi sento una larva. soffro per questa prossimità che è distanza siderale. per il gap che esiste tra ciò che desidero (il cui impatto è soltanto collettivo) e ciò che al momento posso ottenere (per un tornaconto esclusivamente individuale). una larva sotto scacco perché ogni via d’azione intermedia mi ripugna. il danno della morte di dio è che poi tutti finiscono per sentirsi dio. tra questi, i peggiori, son quelli come me, che pretendono pure di avere i poteri.

13.7.08

scivolo lungo cupa dei muti

calato frettolosamente prima che smaltissi la mansione, con le suole delle scarpe che si disfacevano su quello strano tipo di asfalto di gomma che talvolta s’attacca ai miei passi, a casa m’accoglie l’ennesimo vuoto emotivo. quando capita, non sempre reagisco con tenacia. anzi spesso, mi trincero nell’ammutolimento più ostinato. finendo per girovagare in automobile come nei peggiori gialli che ritraggono killer seriali. l’alba successiva è ancora peggio. come se la tratta milano manocalzati, dopo aver schiuso possibilità, chiuda bruscamente le porte di domani. i miei pensieri non si tengono e non mi resta che fuggire di nuovo. un’ossessione recente mi porta a lauro, da un bosco che pare mai terminare, con un castello che è un intruglio di stili architettonici e poco fuori una cava, risucchiata la collina per disastri urbani delocalizzati. si capisce che non è più irpinia perché gli uomini non hanno timore di passeggiare a torso nudo. a sera, ritrovo affetto, comprensione e favella. ogni cosa m’appare migliore. il mondo è difficile a emendarsi. eppure, il culo che c’abbiamo, è che, nel peggiore dei casi, resta sempre qualcosa da cui ripartire.

10.7.08

haiku d'artigiano

senza tremare
esamini le labbra
ai tiburtini

9.7.08

storia di un normale preicaro

ho venticinque anni. lavoro da dieci mesi. ho iniziato in stage. sei mesi. dopo il secondo, mi hanno assicurato la loro intenzione di prendermi con un contratto a tempo indeterminato, da subito, con retribuzione adeguata. guadagnavo 740 € netti. il mio stage è durato sette mesi. il nuovo contratto di apprendistato è a due anni. la retribuzione netta ammonta a 1'020 €. per nove ore di lavoro medie giornaliere (lorde). gli straordinari non sono retribuiti (dunque non detassati). un’ora di pendolare all’andata, un’ora di pendolare al ritorno. 420 € di affitto mensile. 30 € di abbonamento ATAC. i restanti 570 € per mangiare, bere, viaggiare, credere. lavorare mi piace. tra l’altro non mi resta il tempo per pensare… che la mia collega si fotte il capo.

8.7.08

voglia di volgo

ieri sera sono uscito sudaticcio dall’ufficio e un amico mi ha prestato la sua stanza per cambiarmi d’abito. ne sono uscito con un pantaloncino corto, una t-shirt dell’irlanda e le scarpe sono rimaste le stesse, le classiche. ci siamo fiondati alle terme di caracalla, alla festa dell’unità, ciao, bella invece che bella ciao, il colore verde al posto del rosso, e i pini delle terme di caracalla come quinta quieta. vasco delle luci della centrale elettrica, accompagnato alla chitarra da giorgio canali, ha sputato i suoi crampi di dolore da anno zero. poi le mascherine da morto dei ragazzi allegri non riescono a scuotermi eppure fingo di sì. acquisto l’ultimo di bianciardi. il libraio dell’usato mi dice che sarebbe inutile comprare bianciardi in meridiano, sarebbe come ammazzarlo. gli dico, guarda che è un antimeridiano, e la casa editrice non è la mondadori ma la isbn, quella con le copertine bianche e il dorso delle pagine gialle. no, niente, non la conosce. le scarpe, intanto, sono tutte polvere. senza aprire dibattiti, rincasiamo su strade umide, punteggiate dai chioschi dei paninari obesi. domani non avrò più camicie da mettere. mi rassicura (?!?) gerardo marotta su youtube, un discorso contro la privatizzazione dell’acqua che finisce in requisitoria contro i professori carrieristi, i politici cretini e il volgo di napoli che mai si è fatto popolo. amen!

7.7.08

trasformisti Vs transformer

i demitiani, per evitare un epilogo negativo, chiedono la rappresentanza in giunta in considerazione dello scenario politico cambiato dopo le elezioni, insieme alla condivisione delle indicazioni negli enti di servizio. da qui eppoi qui




un avo di berlusconi era di parolise

le strade di milano mi mordono le scarpe che mi mordono i piedi ed è un’autoafflizione tutto sommato leggera. dopo che un treno, di tutti laureati, ha prodotto idee a profusione e un ritardo clamoroso. la moleskine affonda nello zainetto neroarancione. i due telefoni nelle tasche a tracollo. la convention aziendale luccica a tempi alterni, coazione a ripetere: il servilismo, l’imborghesimento, la piccineria intellettuale. non guarirò mai dalle nebulose di pensieri scuri così come la tratta ad alta velocità mai unirà l’est con l’ovest. scopro che la mia non è passione per la scrittura. ché non sento il bisogno fisico di scrivere ma quello psicologico. motivatori cogli stivali straparlano di gruppo, di collaborazione, della fede negli obiettivi. sociologi ravellesi decantano l’ozio creativo quando questo è stato annientato dall’azienda che gli paga l’onorario tremila volte e tremila ancora. in ogni caso, non una multinazionale perché offre lavoro per intero italiani. poi la festa a tempo perso, è occasione per le giovani donne di offrirsi agli sguardi dei superiori, al solito modo delle segretariette secche, quelle che pur addette ad una mansione infima, mettiamo all’affrancatura della busta, si attaccano talmente alla questione, che lo scrivere lettere diventa processo accessorio rispetto alla loro affrancatura. uno dei gatti di vicolo dei miracoli allieta la serata smeralda ed è il momento topico in cui subentra l’ennui, in cui germina il vomito. un consulente ko mi implora di tornare su progetto. ho paura per le sorti del mondo, qui più che a scampia. conati insopprimibili sulle luci notturne di milano. la mattina, su corso como, i salumieri lucidano il selciato. il barista che mi prepara un triplo caffè esamina le curve della pancia della figlia. riesco a perdermi in metro, giallo rossa, e ventilatori che spruzzano gas bianchi, spaventevoli a vedersi, ma pare siano da refrigerio. sulla panchina di sesto rondò è bello telefonare in piedi. il soviet d’italia sbianca. il mio amico artista è una specie che va protetta, in quanto amico, in quanto artista. mi piace che si scommetta dal basso, mi piacciono la mobilità sociale, le scale mobili, la scala quaranta. meno mediobanca e i suoi giochetti da quartierone against quartierino. se solo fossimo più consapevoli, potremmo rivoltare (quantomeno) una città come un calzino. ma da solo non vado nemmeno più a vienna. la struttura urbanistica di milano è semplice e senza dossi. nel frattempo, sogno napoli e il rinascimento. mi riposo nel cortile di brera mentre ingabbiano il palazzo. napoleone benedice gli studenti svagati. io che ricamo pezzi perduti di memoria pur non trovando un cesso per pisciare. il ponte della ghisolfa è un prurito mortale. rinuncio all’aperitivo, al pianeta cavallo, per i soliti guasti gastrointestinali. poi, scopro che anche qui è un vivere di dicerie. un palazzo rosa nei pressi di piazza wagner è il contraltare del condominio di cipressi a pietralata. monza ha una buona densità umana. niente da condividere. gli umori precipitano perché si intravede il ritorno e l’agenda degli incontri, già sguarnita, è ora sgombra. domenica mattina al centro sarca non trovo la repubblica. non c’è niente che trovi più alienante del centro sarca. siamo tutti sulla stessa barca. speriamo non torni il tempo per l’arca.

1.7.08

mangiare con le mani

un senso a questa vita
passa inevitabilmente sulle mie dita