27.4.07

sta saglienn a paura


trovata qui

23.4.07

lo zoo della speranza

Costretto dagli eventi a tapparmi in casa per memorizzare discorsetto, eventualmente declinabile su modalità efficaci di ripartizione del tesoretto fiscale, finisco, gioco forza, attirato dalla sala tivvù, a cui la parabola satellitare convoglia segnali di emittenti internazionali o, basta volerlo, quelle di telemodena, che trasmette la fase finale del campionato regionale di mosca cieca. Rapito dai raggi emessi dalla scatola col tubo catodico, circumnavigo felice, o solo obnubilato, intorno a sondaggi francesi, scudetti nerazzurri, rotocalchi biagiani. In questi anni molte cose sono accadute. Per fortuna qualcuna è anche finita: esatto enzo, l’università. Intanto il sorriso di ségolène mi manda, letteralmente, in sollucchero. Quanta partecipazione! Poi, approvo col capo i discorsi di saviano, invidio il suo forzato citazionismo. Mi chiedo quando le telecamere della domenica sportiva fasceranno di luce mediatica le fontane postmoderne di piazza libertà per il tricolore biancoverde, forse nel 2012, l’anno del centenario, forse mai, e perché quest’ingiustizia? Mi chiudo a riflettere sulla composizione del mio, personale, pantheon per il partito democratico, a congetturare se lo stesso possa comprendere il professore di greco del liceo, non sapendo, tra l’altro, se nel suo, oltre a Polibio, ci sarebbe spazio anche per il buon Aldo Fabrizi. Sarei più in difficoltà se dovessi scrivere il mio manifesto, come Sofri, su Repubblica, invita tutti a fare: rispondete ad un tema antico, Quale dei governi liberi meglio convenga alla felicità dell’Italia. Un concorso simile, lanciato su internet, a cui rispondesse anche solo un quarto dei votanti ufficiali per le Primarie dell’ottobre 2005, darebbe vita alla più vasta conversazione statutaria e democratica di tutti i tempi. Da parte mia, l’eccesso di partecipazione, insieme, mi affascina e mi soggioga. Devo approfondire (e pure sull'antropologia culturale). Gran parte della, cosiddetta, “società civile” è tenuta assieme dal desiderio di trasformarsi, prima o poi, in “classe dirigente”. In ogni caso, non maneggio bene la scienza politica, e si vede. So solo che Gerry Capaldo ha lasciato la margherita, e finzione o realtà, non si candiderà, nella città del Sabato, dove c’è grossa fibrillazione (profonda partecipazione). So solo che la capacità della politica clientelare di beneficiare la numerosa schiera dei clientes è largamente sopravvalutata da queste parti, e rappresenta un freno al cambiamento, esattamente come la presenza dei sauropolitici. Perché, semplicemente, quando c’è uno che compra, c’è sempre uno che si lascia comprare. Talvolta, per un prezzo irrisorio, o addirittura nullo, solo per timore di rimanere solo, di rimanere libero.

20.4.07

difetto di parole

ho una lingua che si rifiuta di battere ed emettere i suoni adatti all'interlocutore e ora che mancano pochi giorni all'evento, la cosa inizia a preoccuparmi, per cui mi lancio, forsennatamente, in ripetizioni, ad altissima voce, di pericolanti allocuzioni, su argomenti disinteressanti, tanto che il mio autorevole referente è stato chiarissimo fin dal principio, non ci si vede mai, ok? dopodiché sorrido della mia eloquenza, tallone d'achille generosamente svezzato, perché non so voi, ma io tengo ai miei difetti, e li cambierei, per carità, ma solo in cambio di alcuni nuovi, ugualmente edificanti.

17.4.07

con quali parole cominciano i cinque romanzi della tua vita?

"Se sono matto, per me va benissimo, pensò Moses Herzog. C'era della gente che pensava che fosse toccato, e per qualche tempo persino lui l'aveva dubitato. Ma adesso, benché continuasse a comportarsi in maniera un po' stramba, si sentiva pieno di fiducia, allegro, lucido e forte. Gli pareva d'essere stregato, e scriveva lettere alla gente più impensata. Era talmente infatuato da quella corrispondenza, che dalla fine di giugno, dovunque andasse, si trascinava dietro una valigia piena di carte".

Saul Bellow - Herzog

"Qui il mare finisce e la terra comincia. Piove sulla città pallida, le acque del fiume scorrono limacciose di fango, la piena raggiunge gli argini. Una nave scura risale il fiume tetro, è la Highland Brigade che va ad attraccare al molo di Alcantara, il vapore è inglese, delle Regie Linee, lo usano per attraversare l'Atlantico, fra Londra e Buenos Aires, come una spola sulle vie del mare, di qua, di là, facendo scalo sempre negli stessi porti, La Plata, Montevideo, Santos, Rio de Janeiro, Pernambuco, Las Palmas, in quest'ordine o nell'inverso, e se non naufragherà nel viaggio, ancora toccherà Vigo e Boulogne sur Mer, infine entrerà nel Tamigi, come ora sta entrando nel Tago e non ci si chieda quale dei due fiumi sia il maggiore, quale il villaggio".

José Saramago - L'anno della morte di Ricardo Reis

"L'orologiio battè le due e mezzo. Nel piccolo ufficio in fondo alla libreria del signor McKechnie, Gordon - Gordon Comstock, ultimo membro della famiglia Comstock, ventinovenne e già piuttosto muffito - oziava dietro il tavolo, aprendo e chiudendo col pollice un pacchetto di quattro penny di sigarette Player's Weights".

George Orwell - Fiorirà l'aspidistra

"Se davvero avete voglia di sentire questa storia, magari vorrete sapere prima di tutto dove sono nato e com'è stata la mia infanzia schifa e che cosa facevamo i miei genitori e compagnia e bella prima che arrivassi io, e tutte quelle bagginate alla David Copperfield, ma a me non mi va proprio di parlarne".

J.D. Salinger - Il giovane Holden

Subito, con le prime parole che le rivolse, volle avvisarla che non intendeva compromettersi in una relazione troppo seria. Parlò cioè a un dipresso così: – T'amo molto e per il tuo bene desidero ci si metta d'accordo di andare molto cauti. – La parola era tanto prudente ch'era difficile di crederla detta per amore altrui, e un po' più franca avrebbe dovuto suonare così: – Mi piaci molto, ma nella mia vita non potrai essere giammai più importante di un giocattolo. Ho altri doveri io, la mia carriera, la mia famiglia.

Italo Svevo - Senilità

invito: allerta, capola, gabriella, lidia, giannif. e tutti quelli che mi conoscono

16.4.07

moleskine

appunto pensieri. smaschero il punto di domani

12.4.07

così va la vita


Due sere fa hanno sparato a Robert Kennedy, la cui casa estiva si trova a dodici chilometri dalla casa in cui vivo tutto l'anno. E' morto la notte scorsa. Così va la vita.Un mese fa hanno sparato a Martin Luther King. E' morto anche lui. Così va la vita.E ogni giorno il governo del mio paese mi comunica il numero dei cadaveri prodotti dalla scienza militare in Vietnam. Così va la vita.Mio padre morì molti anni fa, di morte naturale. Così va la vita. Era un uomo dolce. Era anche un fanatico di armi. Mi ha lasciato le sue armi. Si sono arrugginite.


Kurt Vonnegut, Mattatoio n°5,
antefatto: qui e qui e qui


10.4.07

il CA(pa)LDO alla testa

Gerry capaldo sfida il primo caldo primaverile e, di pomeriggio presto, bazzica in una piazza deserta, ancora rattoppata dai lavori di restyling che, secondo la vulgata più informata, non potranno terminare se non il giorno esatto delle elezioni, ultimo ammonimento per i votanti ancora incerti a confermare la propria fiducia alla vecchia amministrazione. Sempre che l’esito dei lavori sia, per loro, soddisfacente. Come, a dir il vero, ai più non sembra. Pali altissimi sorreggono riflettori da stadio, fortissimamente inestetici; rotatorie dubbie; pavimentazione pronta e grigia; palazzone che copre la collinetta di san pasquale che nessun premio pritzker riuscirebbe ad alleggerire. Le campane della dogana rintoccano le tre ed un quarto. Gerry capaldo, sindaco immarcescibile di svariate amministrazioni, e capo indiscusso di altrettante maggioranze, tiene in pugno una biro con cui nervosamente traccia scarabocchi su un pezzo di carta volante. Parlotta con un giovane inamidato, impettito, indubitabilmente in forze, che annuisce ai, senz’altro, fini ragionamenti del politico di carriera. Mancano poche ore alla presentazione delle liste elettorali per le consultazioni che si avranno di qui ad un mese. Gerry capaldo, vecchio esponente della balena bianca, ora margheritino, domani, chissà?, se del pd, è visibilmente agitato. Deve diradare i suoi ultimi dubbi sulle capacità, le referenze, il passatofuturoepresente degli uomini (e donne) che in questa tornata vogliono accompagnarlo, come sempre, alla vittoria, all’eterna riconquista del potere nella piccola cittadina e scegliere la sua squadra. Ogni cinque anni, si appalesano decine e decine di uomini nuovi, ambiziosi, convinti di contare, di poter dire la loro, di possedere un cospicuo numero di voti, di parenticugini&fratelli, che ammiccano, che rimandano, che vicendevolmente si raccomandano. Diventa sempre più faticoso star dietro a tutte le loro storie, agli incastri, ai loro astrusi ragionamenti. Gerry Capaldo appare stanco. Di domenica, la piazza è piena zeppa di questi ed altri personaggi, che formano cellule, sodalizi, alleanze, che, magari, per anni si sfaldano, poi, però, magicamente, si ricompongono, facendo nascere dicerie di cui si alimenta l’anima profonda del paese. Da un po’ di tempo, combinazioni familiari più che ideali, ad esempio, consentono a Capaldo un’alleanza stabile con i diessini. Ma ciò ha creato forti malumori tra gli esponenti del fiorellino, spaccatosi in due circoli, per la cui ricomposizione è necessaria tutta l’abilità diplomatica dell’ex sindaco, che attualmente ha un solo interesse: una candidatura condivisa tra margherita e ds che batta, senza tafazzismi, gli avversari di sempre. Quelli che dicono male della famiglia capaldo, quelli che li paragonano a piccoli berlusconi, che seppure per stranezze geografiche risiedano e producano nel paese vicino, amministrano da sempre la città del Sabato, fino, paradosso dei paradossi, a far militare propri esponenti in entrambe le liste in campo, pur di non lasciare a mani altrui quella massa informe che si chiama potere. Gerry Capaldo, di indole pacifica, non ha mai ribattuto alle critiche che da decenni gli piovono addosso con un’insistenza certamente fastidiosa. Nemmeno per un attimo ha creduto fosse il momento di lasciare spazio ad altri, di fare due passi indietro per svelenire il clima, per far venir meno la pregiudiziale. Si è sentito indispensabile, e caricato di una responsabilità per la cittadina che ha fatto la fortuna sua e della sua famiglia. Ma, in attimi come questi, a colloquio stretto e pure senz’esito con una mente vacua come quella che gli è accanto, sente improvvisamente il peso degli anni, e nello scempio urbano, ancora da ultimare, la modestia del lavoro delle sue amministrazioni. E così, ora che mancano poche ore alle decisioni decisive, e il telefono trilla con una continuità esasperante, ora che i bari si vanno a scoprire e i pavidi si tirano indietro, solo ora comprende che il futuro della sua città gli è intimamente indifferente e mentre il suo discorso si fa inconcludente, la mano sul foglio tremolante, prende la sua decisione irrevocabile, di lasciare per sempre la politica, di ritirarsi perché si sbranino da soli, per manifesta incapacità, in un ultimo, sorprendente, empito di orgoglio*.

* OGNI RIFERIMENTO A PERSONE O COSE è PURAMENTE CASUALE

8.4.07

fontigliano

la poesia è negli occhi di chi guarda
(e poi passa?)
basta un panorama d'onde collinari
a varia gradazione di verde
per predisporre l'animo
a rispondere
o quantomeno ad interrogarsi:
essere qualcuno per qualcosa o qualcosa per qualcuno?
deliberare per conoscere o cosce di pollo da delibare?
essere o esser-ci?
...
dopodiché,
qui o in un altrove qualsiasi?
(non mi esce il finale)

3.4.07

il circolo di chi non ha molto da dire ma, quantomeno, pensa ad alta voce

meneghello in tivvù, rumiz sulla vite secolare di taurasi, la mia vita, rutilante, in doppiotetto mi rammentano che potrei sempre allietare i miei lettori con le mie storie, le mie testimonianze, le mie finestre. da cui, per esempio, si scorge montevergine, di sera, punteggiata di luci supplementari, che lasciano immaginare una discobenedettina, diggei Tarcisio alla consolle, e balli sorprendenti, disimpegno edonista concesso a chi ha contatti stretti con l’altissimo. Mentre qui, a valle, di lacrime e sudore, si balla, terremoti o meno, nel traffico o al mercato, o ancor peggio al parking, dove si scansano postulanti ellesseu, croce&delizia della città, privatizziamo il servizio o pubblicizziamo la carità?, che chiedono spavaldi, sul posto auto, un sovrapprezzo per un caffè che, si sa, aiuta a campare la famiglia e ad assaporare meglio la vita grama che va. di questo e di altro si fa un gran parlare in città, persino de mita al congresso regionale, se n’è dovuto occupare. In un discorso che pochi si son dati cura di ascoltare – pure se trasmesso a reti unificate – anche perché lui si rivolgeva ripetutamente ai soliti tre: polito (che conosce da poco e di cui condivide il pensiero del suo ultimo libro di cui, tuttavia, ha letto solo il titolo), rosetta (che, invece, conosce da sempre, pure il padre, per dire, e della cui interlocuzione si avvale quando parla della storia dicci e dei rapporti colla gerarchia) e tal amendola (in rappresentanza dei diessini con cui vuol fare il partito democratico ma a condizione che…uno, due e tre). Due ore e dieci di discorso, scandito da applausi interrotti sul nascere, per timidezza o sconsideratezza di chi li faceva partire, e applausi fragorosi ignorati dal Nostro che continua imperterrito, costretto com’è, a non dimettersi dall’intelligenza che ha, ma che potrebbe sempre, per sfinimento, dimettersi per la scarsa intelligenza di chi gli è intorno. D’altra parte è sempre questione di messaggi che si vuole trasmettere. per quanto mi riguarda, ho allestisto il mio profilo splinder, arricchito da ritratto giovanile di maynardo, probabilmente da duncan grant, il vaglione, e da rete di amici da allargare, peccato mortale chiudersi in una nuova bloomsbury, non ci aggrada l’elitarismo, ma magari un qualche scambio (d’idee) proficuo ne viene fuori.

1.4.07

ripescaggi

TETRIS

abito in una casa di collina
e userò la macchina tre volte al mese…
… vivere più a sud
per trovare la mia stella
e i cieli e i mari
prima dov’ero


Giubbe rosse, Franco Battiato

Uso la macchina tre volte al mese: di ritorno da roma, scaldo i motori della piccola utilitaria e scendo giù in città. Senza utilità immediata, come una passeggiata. E sulla strada trovo insegne nuove, asfalto a pezzi, rotatorie in fiore. Una volta giunto a piazza libertà, svolto a destra per il corso. Schivo pedoni danzanti mentre furgoni bloccano la corsia degli autobus. Mi superano a destra, mi superano a sinistra, strombazzano per un nonnulla, ed è un allegro tran tran. Conto settantatre auto in doppia fila, una persino in tripla. Uomini in casacca arancione formano lobby dialettale contro i parcometri, nessuno ha pensato di trasformarli in ausiliari del traffico (?), primi agguerriti rivali dei parcheggiatori folli. Mentre scappo via, un’immagine si fa viva: se i vigili, o chi per essi, potessero accatastare questa sfilza di auto in uno dei tanti spazi lasciato a marcire in questo corso groviera?!? Otto, dieci piani di auto a frecce lampeggianti, attrazione autentica per gli sparuti visitatori, e non solo, monito perenne per i parcheggiatori folli, botta d’autoironia… e un buco in più coperto.