13.6.08

al punto che lasciai

le basi teoriche delle riforme di contabilità pubblica: il new public management

La naturale evoluzione delle procedure di contabilità pubblica trova un segno di discontinuità nell’ intensa stagione di rinnovamento che ha riguardato il settore pubblico a partire dalla fine degli anni ’70 del secolo scorso. L’affermarsi di un insieme di idee cui, complessivamente, si dà il nome di New Public Management fu fondamentale per l’introduzione di una serie di innovazioni nella contabilità pubblica. Gli schemi di tenuta della stessa, fino ad allora improntati ad un principio di formalismo giuridico, mutarono, all’interno di un più generale processo di “aziendalizzazione” delle Amministrazioni pubbliche.
L’idea base del New Public Management si poggia sull’assunto secondo cui le amministrazioni pubbliche siano prima di tutto delle organizzazioni che producono servizi e che pertanto nella loro gestione non debba prevalere l’approccio di tipo giuridico-formale quanto quello di tipo economico, comunemente utilizzato nelle aziende private. Naturalmente, sebbene tale asseverazione produca effetti in tutte le aree gestionali dell’amministrazione pubblica, dalle decisioni sulla struttura degli enti alla gestione del personale, essa comporta, tra l’altro, una vera e propria rivoluzione del sistema informativo- contabile.
Le riforme furono promosse, in primo luogo, dai governi conservatori del Regno Unito, dell’Australia e della Nuova Zelanda, a fronte delle pesanti recessioni economiche intervenute negli anni settanta, e dei mutati fabbisogni di servizi pubblici espressi dalla cittadinanza, dovute, in parte, ad una più elevata consapevolezza del livello di benessere avvertito dalle comunità (Aucoin 1990). La spinta riformistica rapidamente si diffuse nei maggiori paesi occidentali, in particolare in quelli dell’OCSE.

Le principali caratteristiche del New Public Management, variamente identificate dagli studiosi, possono essere sintetizzate come segue (Hood 1991; Osborne, Gaebler 1993; Gruening 1998):
1. adozione nella amministrazione pubbliche delle regole manageriali tipiche del settore privato: tra cui l’implementazione di sistemi di pianificazione, budgeting e di management strategico;
2. nuove modalità di gestione del personale mediante l’applicazione del sistema degli incentivi e dell’introduzione di elementi di flessibilità a fronte delle regole tradizionali costituite dalla continuità del rapporto, dagli avanzamenti per carriera e da una ridotta autonomia concessa al funzionario pubblico; maggiore utilizzo dell’information technology nel settore pubblico;
3. abbandono del focus sugli inputs per l’implementazione di una logica sui risultati di outputs/outcome/grado di soddisfazione del cliente; definizione di obiettivi, targets, indicatori di performance, preferibilmente espressi in termini quantitativi; focalizzazione sui risultati anziché sulle procedure;
4. privatizzazione di ampie parti del settore pubblico; esposizione delle aziende pubbliche ad un ambiente competitivo; separazione del momento della produzione e dell’acquisto nella erogazione del servizio pubblico tramite il meccanismo del “contracting out”;
5. decentramento: devoluzione di parte delle competenze del governo centrale a unità territoriali più prossime alla utenza cui, generalmente, segue una progressiva riduzione delle risorse loro destinate a fronte della cessione di parte della potestà impositiva;
6. aumento della trasparenza/accountability nei confronti degli stakeholders attraverso una diversa tenuta della contabilità e una logica improntata alla misurazione continuata delle performances, alla quale s’accompagna, per i managers, una più diretta responsabilità per i risultati;
7. enfasi sulla disciplina fiscale e sulla parsimonia nell’uso delle risorse pubbliche; taglio degli “sprechi”; ricerca di una maggiore produttività della forza lavoro; lotta alla corruzione dei pubblici ufficiali.

Una modalità di interpretazione delle origini del New Public Management lo giudica come il risultato di due opposte scuole di pensiero (Aucoin, 1990; Hood, 1991): la public choice e lo “scientific management”. Dalla prima riprende la necessità di ristabilire il primato del governo sulla burocrazia, mentre dalla seconda, l’urgenza di applicare, anche al settore pubblico, i principi di “management professionali” propri del settore privato, al fine di raggiungere obiettivi multipli, tra i quali una riduzione della spesa pubblica, un miglioramento della qualità dei servizi erogati, più in generale, il conseguimento di una più elevata efficacia delle attività pubbliche e del livello di efficienza delle scelte collettive (Pollitt, Bouckaert 2001).

La Public Choice, in particolare – a partire dal celebre lavoro di Niskanen sulla burocrazia - cerca di dimostrare come i funzionari pubblici (detti “burocrati”) perseguano i propri obiettivi (o meglio, quella che è la propria percezione dell’interesse pubblico), analizzando le loro relazioni con i “rappresentanti eletti”. La Public Choice applica alla scienza politica gli strumenti analitici sviluppati dalla microeconomia. Si assume, dunque, che il “personale politico” agisca razionalmente, cercando di massimizzare la propria funzione di utilità che diverge da quella della collettività: i “burocrati” massimizzano il proprio potere; gli “uomini politici” massimizzano le proprie chances di essere rieletti. La tesi di fondo è che questi ultimi detengano una limitata possibilità di dirigere l’operato dei burocrati. Ovviamente, è facile comprendere come la seguente argomentazione abbia ricevuto una positiva accoglienza tra i politici, in particolar modo coloro i quali sono direttamente coinvolti nel governo di un ministero, i quali tendono a guardare con sospetto ogni tentativo dei burocrati, loro sottoposti, di accrescere le dimensioni del budget a disposizione. Dunque, la prescrizione normativa è di riaffermare il primato dei “rappresentati eletti” sui “burocrati” riguardo alla dimensione dei budgets e alla scelta degli obiettivi da perseguire. Ciò implica che nell’organizzazione del settore pubblico, l’esecutivo riacquisti margini di potere a discapito della burocrazia, attraverso il rafforzamento della centralizzazione, del coordinamento e del controllo (Aucoin, 1990).
La necessità del controllo, in particolare, discende dalla asimmetria informativa che sussiste tra i “politici” (principali) e i “burocrati” (agenti) . Solo i “burocrati”, ad esempio, conoscono completamente la funzione di costo delle unità produttive che dirigono. La riduzione di questa asimmetria informativa passa principalmente per l’innovazione delle procedure contabili, ad esempio, con l’introduzione di una fase di auditing condotta dai “rappresentati eletti” (Chan, Rubin, 1987; Rubin, 1992).

In secondo luogo, il NPM subisce l’influenza dello “scientific management”. La cui tesi principale è che le organizzazioni complesse realizzino meglio i propri obiettivi applicando le pratiche manageriali tipiche del settore privato, per cui appare necessario “sburocratizzare” il sistema. Occorre sottolineare che il successo della “letteratura manageriale” deriva più dal consenso che essa ha via via ottenuto tra gli addetti ai lavori che da raffinate costruzioni teoriche, laddove le prescrizioni che da essa discendono, provengono da consolidate prassi gestionali. L’idea secondo la quale il management, anche nel settore pubblico, possa utilizzare le risorse efficientemente ribalta la vecchia teoria dell’amministrazione in quanto rispetto dei funzionari pubblici di procedure minuziosamente formalizzate da leggi e regolamenti. Allo stesso modo della teoria della “public choice”, lo “scientific management” riconosce come i conflitti pervadano la vita delle organizzazioni complesse, pure se pubbliche, e siano meglio regolati attraverso relazioni di autorità tra i membri dell’organizzazione e una gestione del personale che si basi sul sistema degli incentivi. In maniera contrapposta alla scuola della “public choice”, si richiede, dunque, che l’organizzazione pubblica venga edificata seguendo i principi di decentralizzazione, deregulation e delega (Aucoin 1990).

Le due opposte scuole di pensiero, sebbene entrambe fondamentali per l’affermarsi del New Public Management, non consentono, pertanto, di indicare una unica direzione al processo riformatore che ha riguardato il settore pubblico. Questo spiegherebbe, tra l’altro, la notevole varietà con la quale i paesi OCSE hanno adottato i principi di New Public Management al loro interno.
La matrice che li accomuna è, tuttavia, il superamento, o quantomeno l’attenuazione di due idee precedentemente assai in voga che trovavano il proprio riscontro anche nella produzione dei documenti contabili:
1. il settore pubblico viene gestito seguendo uno schema completamente differente dal settore privato, in termini di etica, approccio al business, struttura organizzativa, gestione del personale, sistemi incentivanti;
2. uno degli obiettivi del legislatore è quello di limitare la discrezionalità dei funzionari pubblici attraverso un corposo complesso normativo volto a prevenire casi di favoritismo e corruzione.
Come già scritto, dal primo si passa ad una graduale implementazione nelle amministrazioni pubbliche di schemi di gestione manageriale tipici del settore privato (“aziendalizzazione”); dalla seconda, alla concessione ai dirigenti di più ampi poteri discrezionali circa le decisioni operative, che, tuttavia, debbono inserirsi nel quadro degli obiettivi generali dell’intervento pubblico, dei limiti rappresentati dalla attribuzione delle risorse, e dei livelli di output/outcome, fissati dal livello politico.

Dunque, in fin dei conti, l’elemento che meglio contraddistingue il New Public Management è la particolare enfasi che pone sui risultati e che rende necessaria l’attivazione di procedure di misurazione delle performance, al fine di individuare il successo o il fallimento delle iniziative pubbliche, dalle quali dipende il grado di soddisfazione dei clienti-cittadini, ovvero il consenso popolare (A.Pavan, E.Reginato, 2005).
In tal senso, è bene chiarire che per efficienza si intende il rapporto tra i risultati conseguiti e le risorse utilizzate allo scopo. Laddove la relazione connette l’utilizzo di fattori produttivi scarsi e beni economici prodotti, essa rimanda all’essenza stessa del problema economico. La valutazione della performance, tuttavia, può essere espressa in termini di output, o di produzione, o in termini di outcome o di impatto. Se, più tradizionalmente, il risultato viene giudicato in termini di output, raffrontando i beni prodotti con le risorse utilizzate (quantità di output per unità di risorsa), difficilmente nelle aziende pubbliche l’output viene espresso dai ricavi di vendita, poiché le stesse effettuano tipicamente transazioni non di mercato. D’altra parte, la valutazione della performance in termini di outcome, o di impatto , che tiene conto del livello di soddisfazione della clientela assume nella prestazione di servizi pubblici, talvolta essenziali (i servizi sanitari, ad esempio), una rilevanza persino superiore rispetto a quella che assume nel settore privato, sebbene allo stesso modo soffra del difetto della difficile misurabilità.

Per concludere, l’applicazione dei principi del New Public Management enfatizza, dunque, la necessità di individuare degli strumenti tecnico-contabili che ne consentano la corretta realizzazione, offrano accurate misurazioni delle performance raggiunte, contribuiscano ad una più consapevole gestione dalle Amministrazioni pubbliche.
In particolare, in un quadro di progressiva crescita della rilevanza quantitativa dell’intervento pubblico, il sistema informativo contabile diviene uno degli strumenti utilizzati per rendere più efficiente la gestione delle amministrazioni pubbliche, ovvero una delle proposte per “reinventare il governo” delle stesse, che, da sempre, è stato endemicamente affetto da profonde diseconomicità (E. Caperchione, 1999).

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