29.11.05

plagio verdena

mi illudi distratta
e crei ciò che vorrei
tu sei ovunque
e io dovrei reagire per te
tu giuri e fingi
poi neghi e scappi
tu sei ovunque
ovunque
ma io vorrei reagire
tu stringimi colpevole
e sarò ciò che vorrai
tu sei ovunque
ovunque
ma io saprò reagire (per me)

28.11.05

i provinciali

le città hanno fatto celebre l'italia, ma ciò che la tiene assieme è la provincia, la cui ambizione è andare in qualche modo, politico o mondano o televisivo, a roma per raggiungere il desiderio forte di scapparne.
giorgio bocca

26.11.05

c'è che c'è

c’è che avrei voglia di gridare VAFFANCULO ma che sia rigenerante, un esorcismo, che dopo tutto si trasformi in oro

c’è che dal post sul terremoto mi sarei aspettato reazioni unanimi ma non ne sono venute nemmeno di discordi e la cosa che mi irrita è che abbia delle aspettative

c’è che sono solitario questo weekend e ne approfitto per studiare, magari come un tempo, con la paura di aver disimparato, ma non ci si può lamentare dello studio, non è mai un obbligo

c’è che dove studio io, l’ambizione sfonda i cervelli e sforna mostruosità: io ho fatto, io ho detto, io ho letto, io ho viaggiato, io, io, io, io………un noi nemmeno a pagarlo

c’è che non riesco a parlarti più, non so nemmeno io perché, forse per abituarmi alla tua prossima assenza, forse per rendere più lieve la tua presenza, per convincermi che ti sopravvivo, nonostante tutto

c’è che però ti voglio bene e sono quasi felice di aver sragionato per te se solo non fossi sicuro che avrei potuto sragionare molto meglio

c’è che anch’io ora ho il messanger, avrei resistito ad oltranza, non è questione di essere refrattari alle innovazioni, è che non ho tanta voglia di comunicare, punto: qui piove, da te?

c’è che se avessi avuto una buona memoria, sarei già impazzito, così era scritto sul giornale, per fortuna già non ricordo

c’è che finché rimani passivo puoi conservare la consapevolezza dell’estensione della verità, ma non appena diventi attivo ti ritrovi in qualche modo, se non proprio a violare una convenzione, almeno a sconvolgere la prospettiva delle cose.

c’è che quest’ultima non è mia e si vede

c’è che fra un po’ questo blog compie un anno, dovrò inventarmi qualcosa, festeggiare con i miei quattro lettori, stabilire il post da ripubblicare, il conto da pagare, il sonno da recuperare...la data in cui chiudere

25.11.05

second best


A 73 anni, Pat Morita, meglio noto come Kesuke Miyagi, il saggio istruttore di Karate Kid, ci ha lasciati. Ciao Pat, un'intera generazione ti piange!

21.11.05

noi dei palazzi, loro dei prefabbricati

quando ero piccolo il mio orizzonte era fatto di un paio di palazzacci identici al mio, una superstrada che li cingeva e decine di prefabbricati post terremoto, verdi acqua e dal tetto di lamiera. erano addossati l’uno all’altro confusamente. solo uno stradone con i dossi a dividerli. stracolmi di gente. pieni di bambini come me. io credevo di vivere più che decentemente allora. io ero uno dei palazzi. avevo solo un fratello. mai avrei pensato che dopo un tot di anni sarei cresciuto, trasformato nella persona che sono, abbandonato quel quartiere e soprattutto che al posto di quei prefabbricati potesse nascere il parco più cementato d’italia.

non c’ero ancora il 23 novembre 1980. sono venuto fuori una manciata di anni dopo. ma durante tutta la mia infanzia, il fantasma del terremoto girava eccome. nei racconti della gente. nelle crepe dei muri. nelle macerie delle case. nella paura che tutto si potesse ripetere. saremmo stati più preparati ora? a correre a perdifiato. a salvare la pelle. ci bastava essere nel novero dei sopravvissuti anche questa volta. questione di epicentro. se balli tu, allora ballo anch’io.

e ogni volta si diceva: “se il nostro palazzo ha resistito al terremoto dell’80 è di buona tempra. non può tradirci. salvo la catastrofe totale. ma la catastrofe totale non scampa nessuno. allora perché sopravvivere?” insomma discorsi agghiaccianti, se uno ci pensa. come se il cataclisma avesse indurito i cuori tanto che ognuno pensasse alla sua come una solitaria guerra contro il terremoto e escogitasse dei sistemi su come scamparla. sia chiaro: non è andata così. è che un bambino come me, non poteva che esorcizzare la tragedia, personificare il pericolo, tradurre il tutto in un grande gioco ad eliminazione.

tieni sempre i piedi ben poggiati a terra che in un attimo puoi sentire un fragore venire dal centro del mondo, un’occhiata al lampadario: si muove. anche i muri ballano. tutto viene giù. non toccare la tv. è solo tempo di scappare. non gridare. non serve. chi abita al primo piano, come mia zia, alla comodità di poter fuggire velocemente unisce lo svantaggio di poter essere sepolta da ben cinque piani di macerie. al sesto piano, conviene restare immobili, magari salire sul tetto, almeno governi la caduta. che mente bacata. noi siamo al terzo piano, dunque la nostra strategia deve tenere conto dell’intensità della scossa. per i terremotati dei prefabbricati è più facile, non gli può cadere nulla addosso. si salveranno questa volta. fai come se fossero già eliminati dal gioco.

che poi la circostanza per la quale eravamo ancora in gioco, non garantiva sul nostro benessere né sul decoro del nostro condominio. benché vi abitassero, per la maggior parte, coppie appena sposate, pochissime erano le donne che lavoravano, ancora di meno i laureati. ma ogni famiglia bene o male portava a casa almeno uno stipendio. non sprizzavamo di salute, ma si mangiava sempre. nei prefabbricati si mangiava quasi sempre e di malaticci disoccupati ce n'erano, eccome.

sotto i nostri palazzi, cunicoli bui e maleodoranti facevano da garage. si prega di non orinare sulla saracinesca, rischio marcescenza, mica per l’igiene. alcuni dei garage, i più lontani dalla strada, non erano nemmeno terminati. Il vulcanico costruttore era caduto in disgrazia e nessuno non se lo aspettava. in quei quadrati non rifiniti, parcheggiava chi non poteva permettersi un box tutto suo né l’auto nuova. allora ripiegava su un buon usato. e non l’ ho mai capito ma il buon usato che girava nei miei paraggi era sempre targato cn (cuneo).

dunque non vivevamo nel lusso, ma nei prefabbricati? ci sarò entrato dentro un paio di volte in tutto ad accompagnare mia madre e cosa volete che vi dica, sarà pure banale, ma cazzo era tutto decisamente angusto. quaranta/cinquanta metri per nuclei familiari spesso molto numerosi. per conquistare un po’ di spazio, si tiravano su delle mini verande, ma non è che si risolvesse molto. di pomeriggio masse di bambini bighellonavano per strada così era naturale che si formassero delle bande di pupi.

anche noi (dei palazzi) avevamo una banda. dai sei anni in su, prima solo in estate, poi praticamente tutto l’anno, col nostro inseparabile super santos, scendevamo in strada e giocavamo fino a tardi. eravamo in sette/otto, di cui due più che grassi, due più che magri, insomma poco adatti allo scontro fisico e per la verità un tantinello pavidi, d’altra parte poco più in là giravano sciami di coetanei agguerriti. fin quando i prefabbricati rimasero una casbah popolosa ed inespugnabile, era impensabile per noi oltrepassare il confine immaginario. anzi dovevamo difenderci da pericolose azioni intimidatorie delle bande avversarie (quelle dei bambini-prefabbricati), che, se volevano, s’abbattevano come un ciclone sul nostro campetto, requisivano il pallone, devastavano le porte, schiaffeggiavano il malcapitato di turno, e fuggivano via. era impossibile reagire. era meglio non reagire. a meno che non volessi anticiparli e nasconderti nei cunicoli bui e maleodoranti.

ma venne il tempo del primo sgombero. le nuove case popolari erano finalmente pronte. le prime famiglie iniziavano a traslocare e cominciava la demolizione dei prefabbricati. restavano enormi spazi vuoti. buoni per una partita di calcetto. magari di riconciliazione. in realtà ora che avevano perso parte degli uomini, il nostro coraggio si rianimava. eravamo pronti per una sfida ad armi pari che avrebbe sancito, senza dubbio, chi fosse il migliore. certo il clima, per noi ospiti (seppure a 80 metri da casa), non fu dei più accoglienti. cori ostili, sputi simulati, sottili violenze psicologiche in un campo persino regolare, per noi abituati a giocare in un rombo. insomma venne una sconfitta sonora. I prefabbricati ancora una volta si mostravano più forti dei palazzi.

e non fu un caso. le partitelle, per niente amichevoli, si ripeterono con esiti finanche più disastrosi. nel frattempo lo sgombero proseguiva e presto non ci fu che un solo prefabbricato. oramai eravamo i padroni di tutta l’area. non che ce lo fossimo meritati, era la storia accidenti che così aveva voluto. scorrazzavamo felici per lunghi sopralluoghi tra le macerie dei prefabbricati e raccoglievamo bretelle di plastica con cui costruivamo piste per le macchinine, finalmente fieri della nostra “palazzitudine”. ignari che di lì a poco il tempo avrebbe spazzato via quella fragile vittoria: l’adolescenza, le prime ragazze, i litigi, i due più grassi dimagriti, i due più che smilzi appesantiti. nessuno voleva più giocare a pallone e la paura del terremoto d'un tratto come svanita.

volutamente ho omesso cosa è stato il terremoto per l’irpinia, la macchina dei soccorsi, la solidarietà dell’italia e del mondo, la ricostruzione, i suoi scempi, i suoi miracoli. ma non avrei saputo dire molto. quello che so è come il terremoto è entrato prepotentemente nella mia infanzia, come ci sono entrati i prefabbricati. e la lezione che ne ho tratto. che sarò sempre un privilegiato. uno dei palazzi. che un posto dignitoso dove vivere, bene o male, lo troverà sempre. in ogni caso, se possibile, dio ci scampi un altro terremoto.
se volete saperne di più, cliccate qui!

18.11.05

a mezzanotte, cenerentoleggio

bruma. luna piena. e tu, ora, bruna. annaspo per i tuoi occhi. di là qualcuno grida il mio nome. la ignoro. meglio evitarla. mi faccio spazio tra la folla solo per scorgerti. che bell’attrazione che sei. mi sforzo di trovare ragioni pur di lasciarti in pasto agli sguardi altrui. a stento ne rabbercio una. così ti saluto con la manina dietro il vetro semi appannato. il tuo sorriso inebriato mi risponde. mi volto di scatto. mi dileguo. e che male. ai piedi. tolgo le scarpe e le lascio sulla scalinata. che dire, aspetto che me li riporti indietro. tanto mio fratello porta il 49!

15.11.05

via da roma

un giorno me ne andai come oggi i ragazzi vanno in india. me ne andavo da quella roma puttanona, borghese, fascistoide, da quella Roma del "volemose bene e annamo avanti", da quella roma delle pizzerie, delle latterie, dei "sali e tabacchi", degli "erbaggi e frutta", quella roma dei castagnacci, dei maritozzi con la panna, senza panna, dei mostaccioli e caramelle, dei supplì, dei lupini, delle mosciarelle... me ne andavo da quella roma dei pizzicaroli, dei portieri, dei casini, delle approssimazioni, degli imbrogli, degli appuntamenti ai quali non si arriva mai puntuali, dei pagamenti che non vengono effettuati, quella roma degli uffici postali e dell’anagrafe, quella roma dei funzionari dei ministeri, degli impiegati, dei bancari, quella roma dove le domande erano sempre già chiuse, dove ci voleva una raccomandazione... me ne andavo da quella roma dei pisciatoi, dei vespasiani, delle fontanelle, degli ex-voto, della circolare destra, della circolare sinistra, del vaticano, delle mille chiese, delle cattedrali fuori le mura, dentro le mura, quella roma delle suore, dei frati, dei preti, dei gatti... me ne andavo da quella roma degli attici con la vista, la roma di piazza bologna, dei parioli, di via veneto, di via gregoriana, quella dannunziana, quella barocca, quella eterna, quella imperiale, quella vecchia, quella stravecchia, quella turistica, quella di giorno, quella di notte, quella dell’orchestrina a piazza esedra, la roma fascista di piacentini... me ne andavo da quella roma che ci invidiano tutti, la roma caput mundi, del colosseo, dei fori Imperiali, di piazza venezia, dell’altare della patria, dell'università di roma, quella roma sempre con il sole – estate e inverno – quella roma che è meglio di milano... me ne andavo da quella roma dove la gente pisciava per le strade, quella roma fetente, impiegatizia, dei mezzi litri, della coda alla vaccinara, quella roma dei ricchi bottegai: quella roma dei gucci, dei ianetti, dei ventrella, dei bulgari, dei schostal, delle sorelle adamoli, di carmignani, di avenia, quella roma dove non c’è lavoro, dove non c’è una lira, quella roma del "core de roma"... me ne andavo da quella roma del monte di pietà, della banca commerciale italiana, di campo de’ fiori, di piazza navona, di piazza farnese, quella roma dei "che c’hai una sigaretta?", "imprestami cento lire", quella roma del coni, del concorso ippico, quella roma del foro che portava e porta ancora il nome di mussolini, me ne andavo da quella roma di merda! mamma roma: addio!
Remo Remotti

la verità non è ferma

mi muovo con circospezione, non che l'ambiente sia nuovo ma mi pare di leggere le cose in maniera diversa. non vorrei che si accorgessero che lentamente sto cambiando. ed il bello della trasformazione sta nel fatto che più sei consapevole dell'imminente cambio di guardia, più rassicuri gli altri, e te stesso per primo, dell'immutabilità delle tue opinioni. le gridi ai quattro venti. con la convinzione dell'uomo valigia. chi non cambia mai idea viene distaccato dalla verità.

12.11.05

indiani metropolitani

rivolta corre sul web. guerriglia urbana contro esclusione sociale. sarkozy presidente? ma mi feccia il piacere! on va bruler panama. e la renault 4 parcheggiata. il governo risponde con il coprifuoco. vieta gli assembramenti in centro. insomma un gigantesco gioco di ruolo. che parigi val bene una sommossa!

10.11.05

avanti

avrei bisogno di qualcuno che mi spieghi come il mondo è arrivato fino ad oggi e dove mi sono ficcato io

7.11.05

mmmh...

no, non mi viene niente

5.11.05

maynardo e le storie grottesche

lentamente ci stiamo trasformando tutti in servi della glebalizzazione

3.11.05

senza né capo né coda

a dieta per un chilo di noia in meno e un etto di entusiasmo in più e amore quanto ne vuoi, non dovrebbe essere difficile superare le secche di oggi: i buoni sentimenti o propositi di domani. vomito ué e ià con voluttà. sonorità campane. ricevo in cambio sguardi ostili e meno spesso un ahò. sei napoletano? sì (ma non lo sono, vallo a spiegare). emigrante? no, io un lavoro ce l’avevo. sono venuto fuori per viaggia’, per conosce’. troisi accompagna le nostre rivendicazioni linguistiche. per il resto si fa da soli. mentre inseguo pensiero in sentiero accidentato, buio, senza fiato. abbaglianti lontani a frotte si schiantano sulla mia retina. ci sono persone nelle auto. con i sorrisi. con gli affanni. gli oppongo un cuore asciutto pure dell’ultima lacrima. e la linea dell’alta velocità ferma. attende il taglio del nastro, berluprodi sorridente alla selva di telecamere e flash, uno stivale più vicino all’europa. sì, ma sempre uno stivale, bucato. un tempo si scriveva ideologico e io non avrei nemmeno imparato a farlo. oggi si scrive contaminato e io fingo di farlo. a chi dire grazie? intanto il pulman va. ascolto kid a. how to disappear completely? chiudendo gli occhi e stringendo i pugni. rapida carrellata di tutti i volti che hai creduto di conoscere. che siano benedetti. e via dove non sei più.

1.11.05

duecentoquindici avvenimenti

ero oppresso da una sfilza di ricorrenze. ventisei luglio duemiladue - trenta ottobre duemilacinque. avevo segnato, sulla rubrica telefonica, le date clou di una esistenza in decollo. dopo il nostro disastro. peraltro un tuo sos è venuto proprio ieri. magari ci incontriamo di nuovo. o forse no. non saprei come spiegarti tutto questo. e non solo. la zavorra. l'assuefazione. la volontà sotto scacco. la redenzione!
giuro è il mio ultimo post simil-depresso!