28.2.10

sul piano strategico di avellino che tale non è

sul sito istituzionale del comune di avellino, qualche giorno fa, è comparsa un’icona di un albero dalle fronde bianche e dalle radici verdi ben avvinghiate ad un terreno che sembra liquido. il logo presenta, nientepopodimenoche, il piano strategico di avellino. avendo sostenuta, a suo tempo, l’urgenza per le amministrazioni locali di adottare tale strumento e dunque criticate le modalità assai improprie, con cui esse lo maneggiavano, e non ritrovando praticamente alcuna sintesi on line (ad eccezione dei commenti del prc e delle ragioni del vicesindaco di san michele di serino), ho preso coraggio e la sintesi, critica, l’ho fatta da me. compito arduo, poiché cliccando sull’icona del piano strategico di avellino, in realtà è scaricabile lo studio di fattibilità del progetto territoriale per lo sviluppo sostenibile, e relativo allegato. ovviamente, prima di tutto questo sono pubblicate le undici tavole urbanistiche che corredano i documenti, uno straniante antipasto, così che al coraggio ho dovuto aggiungere una buona dose di pazienza.

cerchiamo di fare ordine: ad agosto duemilanove, la giunta regionale pubblica sul burc (nome scorbutico del bollettino regionale campano) il
disciplinare degli accordi di reciprocità: il nuovo strumento di programmazione integrata attraverso cui i sistemi comunali individuati dal piano territoriale regionale possono accedere ai finanziamenti del programma di attuazione regionale del fondo aree sottoutilizzate (in tutto, cinquecento milioni di euro). ora, il piano territoriale regionale, approvato definitivamente nel duemilaotto, e che rappresenta il quadro di riferimento regionale per la pianificazione territoriale, divide i cinquecentocinquantuno comuni campani in quarantacinque sistemi territoriali a diversa caratterizzazione (sistemi naturalistici, rurali-culturali, rurali-manufatturieri, urbani, urbani-industriali e costieri). il sistema urbano avellinese ricomprende oltre la città capoluogo, i comuni di atripalda, mercogliano e monteforte irpino. tuttavia, ai fini dell’accordo di reciprocità sono aggregati all’area urbana i comuni di aiello del sabato, cesinali, contrada, s. stefano del sole, sorbo serpico, manocalzati e montefredane: undici comuni per oltre centodiecimila abitanti: finalmente, una vera area urbana!

il documento pubblicato è lo studio di fattibilità del progetto territoriale per lo sviluppo sostenibile, in pratica l’atto con cui il sistema territoriale si candida a poter utilizzare i fondi messi a disposizione dalla regione nell’ambito della programmazione dei fondi fas (il progetto piu europa della città di avellino, invece, è finanziato con fondi comunitari fesr). è solo “il primo passo di un percorso
programmatico più ampio e complesso in corso di definizione nell’ambito del piano strategico in corso di formazione”. tralasciando ogni commento sulla chiarezza del testo, non si capisce a che punto è il piano strategico e in che modo esso si lega all’accordo di reciprocità. pure se il documento definisce il sistema urbano intercomunale di avellino (il suia), il primo aspetto che salta agli occhi è che tutte le pagine del documento sono sottoscritte dal rappresentante capofila del partenariato istituzionale locale, il sindaco di avellino, dott. giuseppe galasso, onore a sua eccellenza.

ad ogni modo, l’analisi del contesto socio-economico è parecchio lacunosa, riprende dati non sempre rappresentativi della realtà urbana (ma dell’intera provincia) e tutti a tinta fosca. il suia (il sistema urbano intercomunale avellinese: gli undici comuni!) soffre negli indicatori relativi alle reti infrastrutturali, idrico-energetiche, bancarie, telematiche, per non dire della povertà. l’area urbana è alla ricerca di una nuova identità produttiva e sociale ed è necessario che tutti gli attori cooperino attraverso un progetto integrato, poiché la maggior parte dei problemi, per complessità e interdipendenze, sono affrontabili esclusivamente in una scala sovra comunale. il sistema di governance del progetto poggia sul partenariato istituzionale locale (sindaci e assessori), un comitato tecnico scientifico (non è specificato chi lo compone ma da altre fonti risulta che è stato presieduto da alessandro del piaz, classe ’39, professore di progettazione urbanistica all’università di napoli) e dal partenariato economico sociale (non è specificato né chi lo compone né quando e dove sia stato convocato). dall’analisi delle emergenze del sistema territoriale si rilevano cinque questioni strategiche: la sofferenza del sistema produttivo locale, la carenza infrastrutturale, la necessità di sviluppare a livello intercomunale gli interventi materiali ed immateriali sul territorio (sic!), il degrado urbanistico, l’assenza di una rete locale di coordinamento tra gli enti locali.

il progetto persegue cinque macro-obiettivi: garantire una maggiore connessione ecologica tra territori a maggior valenza ambientale e paesaggistica, garantire un maggior grado di protezione ambientale contro il dissesto idro-geologico, valorizzare il patrimonio culturale locale, incrementare l’attrattività del territorio verso imprese e nuovi residenti, innovare, integrare, qualificare il sistema produttivo locale, infine, organizzare una comunicazione integrata per dare visibilità al territorio. gli assi di intervento proposti riguardano appunto il sistema produttivo, il sistema dell’inclusione sociale, il sistema ecologico ed il sistema della mobilità sostenibile. di seguito, una sintetica descrizione delle misure previste per poi passare velocemente ai commenti.

sistema produttivo: attraversa una profonda crisi industriale, che affonda le radici negli anni ottanta ed è di fatto amorfo per l’assenza di un carattere unitario, debole per la crisi del comparto auto, con un’imprenditoria poc’avvezza al rischio, dalle limitate capacità innovative. occorre al più presto finalizzare una strategia per la ridefinizione del sistema produttivo, probabilmente (non si chiarisce se è una decisione già presa o da prendere in relazione alla strategia da ridefinire) caratterizzandolo attraverso il potenziamento della logistica e incentivando l’insediamento di imprese tecnologiche (ad esempio spin off delle università di benevento e salerno, mai napoli). all’uopo, il documento lancia il sistema urbano telematico avellinese, il cablaggio con fibra ottica dell’intero territorio urbano (importo da finanziare di venti milioni di euro), il progetto numero uno per risorse ed effetto mediatico ma non quello portante. inoltre, si annuncia la realizzazione di un polo high tech all’ex mattatoio, un incubatore per nuove imprese, un pivot informativo, che raccolga brevetti e diffonda buone pratiche.

sistema dell’inclusione sociale: caratterizzato dall’assenza di spazi aggregativi, dal dissesto idrogeologico (!) e dal continuo abbandono del territorio delle attività tradizionali (es. artigianato). si propone la costruzione di un “villaggio sociale” al ex mercatone (sì, la nostra è proprio una città di ex) nel quale “ricomprendere tutte le istanze sociali presenti anzitutto nel contesto del territorio comunale di avellino” (vade retro, emarginato di santo stefano del sole!). il villaggio diventi inoltre un luogo di discussione delle politiche sociali, addirittura uno scrupoloso osservatorio che analizzi l’andamento delle politiche pubbliche in materia (in raccordo, sempre, con le università di salerno e di benevento) ed intervenga a sollievo della povertà urbana anche in sinergia con la caritas e altri enti religiosi (!).

sistema ecologico: il progetto mira alla caratterizzazione del suia come una città produttiva sostenibile, dunque accanto alle iniziative per il rilancio o il decollo di attività produttive nei campi dell’innovazione tecnologica e del potenziamento logistico, sono previste azioni di riqualificazione ambientale e di valorizzazione turistica del patrimonio culturale e naturalistico. in particolare, viene descritta la fattibilità della rete ecologica territoriale attraverso il recupero dei corridoi fluviali del sabato e del torrente fenestrelle. si riannodino le aree a naturalità diffusa con la città attraverso la mobilità lenta, le sempiterne piste pedonali e ciclabili. si limiti il consumo di suolo, se possibile.

sistema della mobilità sostenibile: la struttura trasportistica del sistema urbano si regge quasi esclusivamente sulla rete stradale per l’assenza di collegamenti significativi su ferro. “in un quadro di interventi di lungo periodo, si pone, a livello regionale, la necessità di potenziare collegamenti su ferro verso benevento e salerno (non napoli, forse per evitare pericolose infezioni) e la chiusura della maglia autostradale di contenimento (?). di fatto, si rilancia, ma non con l’accordo di reciprocità, il progetto dell’anas che raccorda le tratte autostradali roma-napoli con la napoli-canosa e la salerno-avellino. si suggerisce poi il raddoppio della variante, prevedendo un doppio percorso. ma il progetto richiede direttamente il finanziamento per il secondo lotto della metropolitana leggera (da sette milioni di euro) per raggiungere monteforte a ovest e atripalda ad est e per la realizzazione di un parcheggio di interscambio sempre a monteforte.

in sintesi, l’accordo di reciprocità prevede dodici interventi per un finanziamento complessivo di cinquantasei milioni di euro, cofinanziati al dieci per cento dagli enti locali. il meccanismo introdotto dalla regione campania innesca una competizione tra i sistemi urbani, città in nuce, per l’accesso ai finanziamenti per lo sviluppo territoriale. ciò che manca al progetto del suia è un grave difetto di governance: il partenariato istituzionale locale (la sommatoria dei sindaci, capeggiati dal sindaco di avellino, città in cui si concentra la quasi totalità degli interventi) si riunisce per individuare, alla bell’e meglio, un insieme di azioni mai condivise con nessun altro attore locale né discusse pubblicamente, e non istituzionalizza una procedura di decisione pubblica trasparente che trattando dello sviluppo territoriale dell’intera area, recepisca i suoi fabbisogni. il paradosso che ne scaturisce è che in questo modo, nessuno, sia sindaco o professore di tuttologia può ergersi a decisore pubblico e sancire che è la banda larga ciò di cui abbiamo bisogno per connetterci alla modernità così come nessun qualunquista da bar dello sport potrà mai strologare sulle astruserie con cui ci rubano i soldi (è tutto pubblico!). occorre un investimento di ben altro tenore (e ben altre capacità di leadership, altro che laurea in capofila) per fare di avellino e dintorni una vera città che sappia affrontare i gravi problemi di competitività che la attanagliano, che solo una vera città può affrontare.

16.2.10

lo spazio della repubblica

la figura del servitore dello stato, il civil servant d’importazione anglosassone, per come ce la rappresentavamo sui banchi della scuola di eccellenza della pubblica amministrazione che ci è sempre mancata, era quella di un freddo interprete della legge, un esecutore scrupoloso di politiche, dal giudizio indipendente dalla politica, il cui profilo mai si stagliava dall’amministrazione nella quale operava, perché il nome dell’istituzione resta mentre gli uomini si avvicendano, perché la decisione dell’amministrazione è la sintesi complessa di un ambiente complesso che è la democrazia. da qui la bolsa rappresentazione del grigio tecnocrate, irraggiungibile nel labirinto burocratico in cui s’è asserragliato, che non comunica con l’esterno, i cittadini che dovrebbe servire, se non per il tramite di atti incomprensibili: minuziosi regolamenti sull’allevamento degli stoccafissi e vuoti normativi sul diritto a staccare la spina.

poi la figura del servitore dello stato, in italia, è profondamente mutata come il senso di molte delle parole che riempiono lo spazio pubblico. la fortuna ha arriso all’amministratore tuttofare, iperattivo, egomaniaco che può permettersi finanche di piegare la legge, di ignorarla, per perseguire interessi pubblico-privati poco limpidi, per favorire reti relazionali fameliche, per assecondare la smania di una personalità avida solo di sé. ovviamente, il simbolo di questa genia è guido bertolaso. da efficiente capo della protezione civile si trasforma, negli anni dell’emergenza permanente, in strumento onnipresente del governo del fare che stacca l’amministrazione dai lacci della procedura legislativa ordinaria, costretta dal rito lungo del controllo parlamentare e si muove sempre d’urgenza per battere il tempo e l’immagine di chi non fa. sostituirsi ad una macchina burocratica mal funzionante come un sol uomo, una democrazia s.p.a. (o meglio, una s.r.l. monopersonale).

ora, giusto per abbozzare un ragionamento, nella moderna democrazia in cui crediamo di vivere (o aspiriamo a vivere), occorre sì fare, ma possibilmente fare bene e auspicabilmente mai fare da soli. se esiste, come esiste, un’evidente necessità di ammodernamento della pubblica amministrazione, come dice scalfari, non è un problema di bertolaso e non si può esternalizzare l’inefficienza fuori dall’ordinamento. dipende, più probabilmente, dalla poliarchia istituzionale che impedisce l’assunzione di qualsiasi decisione consapevole e dalla classe politica che non affronta il problema per incapacità sue o acquisite rendite di posizione. chi ha a cuore lo stato della nostra democrazia non deve per forza passare attraverso i ragionamenti di bertolaso sulla evidente afasia italiana per riconoscere il problema che ci affligge né ritenere che la dittatura emergenziale di bertolaso sia bene perché gli altri peggio. lo fa solamente chi crede che lo spazio della politica sia modificato solamente dalle posizioni assunte dai leader-attori e non dalla esclusiva forza delle idee. il futuro dell’italia si gioca su quelle, poi inevitabilmente verranno anche i politici che se ne faranno portavoce. se l'unico retaggio dell'evo di b. sarà l'imprescindibilità della Personalità nella politica nostrana, non guariremo mai dai nostri antichi mali.

9.2.10

gli uomini del forse

…cara barbara, non sono sicuro che questi uomini di sinistra del "forse" siano migliori di quelli del "sì", e di quelli del "no". però sono la mia cultura, la mia biografia, la mia storia, hanno qualcosa del vecchio (e mai morto) spirito azionista. provarci sempre, non cedere mai. senza paura di fare. senza paura di sbagliare. un abbraccio dal tuo papà.


esistono molte ragioni per considerare beniamino placido un maestro del giornalismo italiano che non so (e non sto a) spiegare. tra le altre cose, beniamino placido era - era perché è venuto a mancare agli inizi dell’anno dopo una lunga malattia che lo ha tenuto a lungo lontano dai suoi lettori- uno splendido esemplare di intellettuale meridionale: arguto, leggero, passionale. meridionale non perché tutti gli intellettuali del sud italia siano arguti, leggeri, passionali ma perché era nato a rionero in vulture, paesino del potentino noto per aver dato i natali a giustino fortunato. non sto a spiegare le ragioni della bravura di placido perché questo non è affatto un elogio post mortem. ma la lunga premessa di un aneddoto a lui legato. ieri l’altro, potete verificare con la rotella del mouse, scrivevo un post lunare intitolato, non a caso, il tarlo azionista, da “il tarlo della coscienza” scritto di nicola chiaromonte, attivista di giustizia e libertà, nativo di rapolla, guarda caso un altro paesino della provincia di potenza. il quotidiano su cui scriveva beniamino placido, nell’edizione di ieri, pubblicava una lettera del nostro indirizzata a sua figlia, in cui raccontava cosa sognavano i giovani azionisti come lui e cosa di quella lontana esperienza rimane. sullo stesso quotidiano, oggi, walter veltroni, ex segretario del partito erede della sinistra, richiamandosi alla lettera di placido, cerca di spiegare l’attualità di una certa idea azionista della politica. il tarlo azionista, appunto. che rode l’anima ma ci vivifica. autobiografia (di una minoranza) della nazione. non sempre ispirati come i maestri. di sicuro da loro sempre ispirati.

7.2.10

il tarlo dell'azionismo

se vuoi goder la vita
vieni quaggiù in campagna,
è tutta un’altra cosa
vedi il mondo color di rosa,
quest’aria deliziosa
non è l’aria della città

svegliati con il gallo,
specchiati nel ruscello,
bacia la tua compagna
che t’accompagna col somarello,
ogni figliolo è un fiore, nato sulla collina
o baciane una dozzina. oh! che felicità…
se vuoi goder la vita, beniamino gigli

non c’è viaggio di ritorno che non sia punteggiato dai fuochi di artificio lungo la strada: il regalo del padre della sposa agli invitati del sontuoso ricevimento, un clan di camorra che festeggia la presta libertà di un affiliato, la processione del santo patrono che esce dalla chiesa, mentre la vecchia gloria della canzone si appresta a scendere in paese per lo spettacolo della sera. li accompagnano, smarriti, i nostri occhi lucidi, per via delle lenti a contatto e non, come pure sembra, per un’inguaribile saudade per la terra che lasciamo, asentimentale tanto quanto noi. paesi sopra frane ferme e frane d'uomini che ossessivamente si spostano.

mia nonna che muore svela un congegno di parrucca insospettabile. ha le braccia distese lungo il corpo perché se se le porta al grembo comincia a sferruzzare come ha sempre fatto sull’esempio dei settimanali confidenze e intimità. in un momento di lucidità, mi soffia di portarle via i libri che ha accumulato, le dico di aver scelto per ora solo un camilleri, un esorcismo perché duri il tempo di un’altra promessa. lei approva e mi chiede di roma ma non so proprio a quale roma lei si riferisce. trovo in un angolo del salotto una copia del foglio dei pensionati della cisl, lei che nei giorni buoni cantava sempre le canzonette del ventennio, che parlavano di un’italia con la vanagloria di sempre, contraltare della depressione civile di sempre.

la badante rumena non sa che pesci prendere, si sente sola nella casa vuota, e forse vorrebbe scappare dal figlio sordomuto. che paese è quello in cui s’accoglie lo straniero per affidargli il compito di liquidare alla bell’e meglio il nostro scomodo passato? braccianti, sarte, minatori, manovali, vagabondi, anime perse e poveri cristi. che paese è quello in cui s’è scempiata la memoria, che si interroga per ore se è il crack a curare la depressione di un uomo pubblico? quando il crack di un’idea di paese deprime continuamente la vita di tutti