27.9.08

per il formicoso. contro i toni apocalittici

ho un serbatoio pieno di titoli per i miei post a venire. a volerla sintetizzare, la mia ultima produzione descrive o l’alienazione da travèt (con l’ispirazione che mi coglie tendenzialmente in metropolitana, linea b, fermata cavour). o gli effetti del ritorno in provincia (con l’ispirazione che mi coglie guardando la linea di montevergine che si staglia all’orizzonte… ché dietro c’è napoli e il mare!). sul resto, taccio per lo più. la scena politica nazionale mi dà un senso di nausea. non mi abituo alla ciarlataneria della maggior parte dei suoi rappresentanti e dell’’assoluta maggioranza dell’attuale classe di governo. apparirebbe dunque irragionevole ricercare le buone pratiche in periferia. ma intanto, siamo qui e i pensieri passano. ovviamente l’asfissia generale impatta negativamente sugli uomini e sulla blogosfera. l’entusiasmo iniziale su un certo, auspicato, contributo che essa avrebbe potuto fornire al dibattito pubblico sono via via svanite, in città, per il fallimento di diverse esperienze di blog collettivi fino ai semplici aggregatori (l’ultimo tentativo è di paolo pilone). la stessa, meritevole per certi versi, battaglia di arminio e della comunità provvisoria per il formicoso anima un’irpinia che orgogliosamente si definisce “altra”. che dunque interpreta la propria come una lotta contro il capoluogo, sia provinciale che di regione, i loro politici, i loro fallimenti. separare le microstorie, però, non sempre serve. l’attuale irrilevanza della politica irpina, anche quella che si riscopre la sua vocazione per il territorio, attivando una riserva intatta di mobilitazione culturale, è infettata dal risentimento. un risentimento che è montato in decenni di arretratezza, dopo un post terremoto di mala amministrazione, sprechi e devastante distribuzione di prebende clientelari. ma se si guarda al futuro, il risentimento e la separazione non servono come la paura e la chiusura. ci si difende legando le nostre storie a quelle simili e alle più diverse, intercettando flussi di creatività, immaginando nuovi spazi per la condivisione e l’accrescimento del bene comune. per dirla semplice, il contesto è assai complesso. essere apocalittici non aiuta.

25.9.08

le mani sul (piano del)la città

a sup (strategic urban planning) process is "the definition of a city project that unifies diagnoses, specifies public and private actions and establishes a coherent mobilization framework for the cooperation of urban social actors. borja, castells (1998), da qui


avellino rischia di distinguersi per essere l'unico posto al mondo in cui il pensiero strategico sulla città è in testa ad un nugolo di assessori... che se la cantano e se la suonano, come da programma (2000-2006).

22.9.08

pietralata in fiamme

un altro compagno di strada emigra
(costruire un'italia nuova per chi rimane o per chi se ne va?)
intanto sento scoppi regolari
corro fuori
una cortina di fumo e fiamme si spande sul quartiere
la banlieue si rivolta?
rimarrei a casa
ho un accenno di cervicale
(no, soltanto una sigaretta spenta male)

21.9.08

pedestrianism

ho una gran voglia di sentirti lontano
e do ai miei desideri una mano
perché io so che tu non vuoi ridere più

tu sei preziosa come una finestra
quando ti vuoi buttare giù
gentile come un orologio, svelta
a dire oggi non ci sono più
io mi perdo in un oceano di parole
te l’ho prometto che non bevo più
ma insegnami quel gioco nuovo, guardami
c’è un mazzo buono tutto per noi
almeno qui, fammi vincere
non m’importa la verità
almeno qui, fammi vincere
non m’importa ma…

per carità o per amore
spiegami come si fa
a fare di un bisogno solo un desiderio…

oceano - dente


via dei serpenti
quanti rimpianti
un giorno, qui o altrove, qualcuno mi spiegò la differenza con i rimorsi
ma io dimentico
dimentico tutto a velocità consistente
non fanno una strategia i miei giudizi taglienti
i marciapiedi di monti, contatto involontario di mani vicine
nella testa una canzone di non amore che non so
come una qualsiasi parola giusta nell’aria grigia
confronto la tua fronte, l’affronto, sì, sì, è giù in fondo
occhiali con la montatura spessa, nera
un’agendina giapponese senza marchio
giocare a fare gli indifferenti, che cosa stupida
galleria sordi col cerume nelle orecchie
un taschen sproporzionato schiaccia di peso una farfalla, la sua borsa
hanno smantellato il caffè fandango
un dente in meno sulla mia bussola
la mandibola che a furia di masticare amaro è il muscolo più in forma di cui dispongo
m’arruolo, basta interpretare più maschere, basta attraversare la strada
bussare al forte, passare le visite mediche, i test sui fiori
finire al caffè della libreria di mel brooks, l’attore
quando sarò demente del tutto, ricorderò questo particolare
girare cento volte una scena non verrebbe mai uguale
intensità, pathos e parole
eccetto i risultati
211- il dissapore fa 61

come uscire dalla crisi

vendere al neonato organismo federale u.s.a., al 65% del loro prezzo nominale, gli unici titoli tossici di cui disponiamo, le ecoballe, che impacchettano rifiuti rischiosi e meno rischiosi, come gli strumenti finanziari, pur di salvare il formicoso e un'ipotesi di sviluppo

17.9.08

al dopolavoro, laboratorio di scrittura

la mia esposizione a wikipedia.org, e al grosso dei network sociali cui sono iscritto, s’è ampiamente ridotta nell’ultima settimana. il motivo è che sto lavorando seriamente. in un file excel inserisco alcuni dati sul sistema sanitario nazionale. stamattina, su uno dei fogli del file, quello di sintesi, le colonne disponibili si sono esaurite per eccesso d’informazione. non credevo potesse accadere. d’altra parte le mie nozioni “da office” sono limitate. eppure basterebbero solo quelle per guadagnarmi il plauso dei superiori. ogn’altra conoscenza specifica, di settore, pare superflua, sotto i raggi del neon che aspirano la materia grigia. l’obiettivo è preparare un documento che, dopo aver superato una serrata serie di approvazioni intermedie, ottenga un assenso dal sottosegretario di turno. da quel minimo, impercettibile movimento della testa, e da come sarà interpretato dai presenti alla riunione decisiva, verrà sulla società per cui lavoro una pioggia di denaro o di merda. poi per la salute della gente, prendetevela con i medici. a quella riunione non ci potrò essere. se sono garbati, dopo un pezzo mi tradurranno quanto si è detto a mozzichi comprensibili per un junior imberbe. intanto per chiudere il compito, resto sotto il neon un’altra settimana. il vecchio capo mi dice che la cosa sarà utile per la mia carriera. non vorrei che, passata una settimana, cominceranno a decantarmi l’utilità di un’esperienza all’estero dopodiché mi mandano in libia su un progetto da scafista le cui criticità sono le condizioni atmosferiche e le ronde della guardia costiera. penso a cose di così scarso peso mentre faccio ingresso nella stazione della metro. la filodiffusione trasmette una canzone di luca carboni, questa. mio cugino gli somiglia: amava silvia e tifa ancora per il liverpool. nel vagone una sedicenne rumena canta una canzone di mina, questa. imita la sua voce perfettamente. un filippino in felpa la osserva imbambolato, attorcigliato al sostegno rosso. intanto io scrivo sul nokia, intanto io chiudo. 'notte!

15.9.08

i testi di vasco rossi

david foster wallace si è tolto la vita
non capivo molto dei suoi scritti
non capisco molto anche arbasino
molti non capiscono i miei
insieme ad arbasino non mi suiciderò
diversamente da lui nessuno se ne accorgerà

egotico
sei uno stupido
piove fuori
dentro muori

lehman brothers finalmente è fallita
tre miei conoscenti sono in mezzo alla strada
in europa sono seimila
inseguono i futures sul loro smartphone
ho perduto my futures, shock out

erratico
sei uno rapido
piove fuori
in fronte ai muri

oggi ho lavorato all’eur alla salute
in una strada che è urbanistica a venire
ho scoperto un mio stakanovismo che non sapevo
lontani gli occhi, lontani i pensieri
senza te vicino sarei stato fermo

ematico
il cuore si ricompone
piove fuori
come ieri

domani no
poropò po pon

14.9.08

il papà di giovanni

crescere significa tenere a bada la curiosità morbosa che cova dentro di noi

13.9.08

sabato di san sabino

il malanimo che serbo dentro è riposto contro il fastidio, indifferibile, di dover crescere. un chiodo fisso ficcato nella mia fronte che col tempo arrugginisce. potrei davvero lanciarmi nella scrittura. tendere alla direzione del corriere (dell'irpinia). in cui, ho scoperto da poco, un mio conoscente è diventato l'inviato di nera. d'altra parte giocare d'autoironia è un difetto perché la maggioranza si prende fin troppo sul serio. e persino quando non è, lo sembra. e persino quando parla di politica. mentre il paese scorre veloce verso la recessione, il sabato è in piena, impetuoso. all'altezza di via gramsci è a un metro dall'esondazione. trasporta con sé un masso dalla forma irregolare, che rimbalza, divertendo i curiosi, sul greto di cemento. magari mantenesse sempre la portata. come gli abitanti delle terre che bagna, capaci di imprevisti, ma rari, lampi di genio, il suo, dunque, è un problema di continuità. le piste ciclabili, allora, uniscano le rive dei fiumi in secca, dal fenestrelle al calore, prima che s'esaurisca pure il carburante. e siamo costretti ad attendere l'apparizione, magari un altro secolo e mezzo, di un'altra madonna di lourdes per puntare tutto sul turismo religioso e la vendita di immaginette sacre.

11.9.08

diario di uno stupido

sei come un purosangue
che non ha mai perso una corsa,
sei tu che vieni avanti,
sei rara come una sorpresa.
ma che buffa che sei,
ma che buffa che sei,
il denaro per te è un giornale di ieri.
ma che buffa che sei,
ma che buffa che sei,
ogni cosa che fai
ha troppi strani motivi,
tranne una, e la sai: l'amore…

ma che buffa che sei – piero ciampi

esalò l’ultimo respiro della sua vita numero quattro. non ricordava quante gliene rimanessero in questo ennesimo racconto di distopia, di regole sballate, utili a far ragionare la gente. si rianimò frustrato dalla gomitata di un vicino di metro, nella nebbiolina di vapore composta dai respiri affannosi. pensieri ossessivi già tormentavano la sua rinascita. come cambiare alloggio. dove trovare il danaro che ultimamente gli veniva a mancare. come individuare il lavoro che finalmente lo nobilitasse. negli ultimi giorni, preferiva scendere una fermata prima per incontrare sul viale del ritorno il sole che tramontava. non che fosse per lui un’esperienza insolita ma lo aiutava a rilassarsi, a riordinare. la periferia gli sembrava meno dolorosa e benché gli fosse costato molto abituarsi ai ritmi di quel quartiere, non escludeva potesse rimanerci ancora, abbandonandosi ad un destino di rinuncia. forse, e fu doloroso per lui ammetterlo, allora capì di essere stato, in passato, troppo ingenuo con le cose della vita perché aveva sopravvalutato la propria intelligenza.

9.9.08

8.9.08

la signora esse

la signora esse batte pietralata palmo a palmo e la sua andatura vacilla ai colpi dei pensieri bui che l’affliggono. i suoi capelli sono arruffati, bicolori. ha uno sguardo da ragazza e la pelle che gli anni la macchiano. indossa gonne sopra il ginocchio che mostrano gambe forti e sotto scarpe grosse. i suoi occhi sono nero petrolio e s’illuminano quando avvertono l’accenno del sorriso altrui. altrimenti restano ingabbiati in orbite cerchiate da un trucco che deturpa. la signora esse un giorno mi passò davanti e vomitò a più riprese null’altro che alcool rappreso, continuando, imperterrita, a camminare. ne rimasi turbato. la sua presenza è familiare a chiunque frequenti la zona. come accade in occasioni simili, c’è chi si scansa e chi solidarizza. avevo conosciuto una fotografa che apparteneva al secondo gruppo. mi raccontò che la signora esse, un tempo, era una pittrice affermata. poi qualcosa si ruppe e la sua vita si accartocciò. le aveva chiesto di posare per i suoi scatti e la signora esse, sulle prime, ne sembrò entusiasta. per poi dimenticarsene subito. una mattina la incontrammo a boulevard tiburtini, le dicemmo buongiorno, la signora esse ci rispose con un sorriso clamoroso. non ricordo se la ragazza le accennò del servizio fotografico. ricordo che la signora esse le chiese, precipitosa, è il tuo ragazzo?, evidentemente lontana da noi, soddisfatta di correre in uno dei suoi mondi paralleli. scrollammo le spalle, divertiti dalla cosa. e lei, ancora, è un bel ragazzo, scappando via, a modo suo, trotterellando. di notte solitario, attraverso lo stesso viale desertico, e sogno di osservare i suoi quadri di ragazza. che mi incantano. che raccontano la violenza di un amore.  

4.9.08

12:17

cosa è cambiato?
lampioni verdi 
luci arancioni abbagliano le crepe dei muri
spegnendo stelle di città
cosa è cambiato?
sulla mia fronte
una vena fa angolo
e pulsa al ritmo dei miei vaniloqui

strade periferiche
per gente che non si sa annusare
strade marginali
per chi vive nel domani

cosa è restato?
il numero degli autobus
che scorrono in spazi temporali impensabili
per la gente che li attende
cosa è restato?
l’angolo del tuo balcone
coperto da un cartellone
che mi nasconde, che mi confonde

strade deserte
pompe di benzina e sfasciacarrozze
strade chiuse
e chi spera di oltrepassarle

contiamo i cassonetti della differenziata
costruiamo rovine con gli scheletri delle automobili
giochiamo a nascondino aprendo i cancelli
riempiamo di pagine autobiografiche le palizzate
ascoltiamo i lamenti dei vecchi
sorridiamo all’amore
persino quando fugge


correndo, corrodendo

2.9.08

oblivion

gli uomini – questa la mia ultima, strampalata teoria - si dividono in due sole categorie. i primi trovano gusto a distinguersi con i trucchi più esasperati, eppoi le vesti sgargianti, gli orpelli, finanche il timbro della voce, finendo per nascondersi persino a se stessi, dunque diventando inaccessibili, omologhi in buona sostanza di molti altri. poi c’è chi si crede del tutto assomigliante al prossimo suo, quale che sia la sua lingua, il colore della pelle, il cielo di provenienza e le sue stelle. quest'ultimi si concedono all’altro con fiducia cristallina, scovando mille diversità, rendendosi conto di quant’è fondo il mondo. in definitiva, una battaglia non sempre evidente tra gli alternativi che son eguali e gli egualitari che son alternativi.

mi torna difficile tornare, con insulsaggini come questa. eppure, lasciarla come incipit mi torna utile per il ragionamento che vado a incominciare. ho smesso perché mi sembrava di dismettere una buona parte di ciò che ero. poche ore fa un amico - anche lui sparito d’un tratto senza perché, improvvisamente, con la repentinità dell’azione che oggi va molto di moda, dopo che il postmoderno ha svuotato ogni tipo di ragione – mi ha scritto che la vita è piena di cesure. stupide, senza senso. gli ho risposto che le cesure servono eccome, spesso da esse origina una nuova vita. poi se no, pazienza. mi preoccupano di più le censure. il mondo d’oggi muore perché è soffocato dalla censura. per cui ignoro i sentimenti di chi mi è accanto, il suo reddito, la sua propensione ad assassinarmi.

una società la cui coesione è assoluta non è malata di questi germi. cooperare per estirparli richiederebbe un investimento sul prossimo che è suicida allo stesso modo della vita che conduco. i miei tarli mentali sono complicati da condividere. inestricabili con essi vi sono una serie di ragioni affettive, sentimentali, familiari, geografiche. un magnete i cui due poli sono l’insignificanza e la gloria: l’errore più nero della nostra generazione. credevo di leggere molto come estati fa, e invece ho osservato paesaggi senza nemmeno tormentarmi. ho vissuto in pace procrastinando i dubbi e mai ho scritto, nemmeno in brutta.

che basta poco cambiare lavoro, donna, paese, convinzioni. oppure semplicemente, come è capitato a me, confusamente abbozzare, e vivere di poco. ci sono romanzi che raccontano personaggi di dispersione indubbiamente più riusciti di quanto sia io. questo spazio privato rimane tale e probabilmente continuerò a inzepparlo di sbreghi linguistici fin quando reggo. però sappiate che il più è stato già detto, il meglio è già stato dato. infine, che il resto è sempre altrove. tra quelli che paiono uguali, eppure uguali non sono.