30.1.10

la sindrome di lapo

ribatto convinto ma senza frutto ad un capo che in realtà è già andato, vendutosi al suo superiore (quasi) estinto, per i suoi ripetuti voli d’icaro sulla pampa argentina, dovuti dall’assunzione smodata di peyote e polvere bianca, un infarto ai quaranta, salvato, per sua fortuna, per la punta dei capelli che non porta, non in quanto calvo, ma perché, formidabile benemerenza, ai suoi tempi fu l’iniziatore della moda della pelata, ancora prima della sparizione della fluente chioma di vialli gianluca. così la flessibilità del lavoro si tinge di mancanza assoluta di direzione e quando la barca affonda invale l’uso che i primi a scappare siano i nocchieri. tutto il resto dell’equipaggio finga di mantenere la rotta in attesa di nuovi ordini, per il buon nome della firm: lasciate stare che i suoi uomini possano talvolta comportarsi come se fossero nella lapio consulting, quel che resta siamo noi, siamo noi, che annuiamo assenti e in realtà siamo già andati.

28.1.10

addio

ragazzi, quando morite vi servono di tutto punto. spero con tutta l'anima che quando morirò qualcuno avrà tanto buonsenso da scaraventarmi nel fiume o qualcosa del genere. qualunque cosa, piuttosto che ficcarmi in un dannato cimitero. la gente che la domenica viene a mettervi un mazzo di fiori sulla pancia e tutte quelle cretinate. chi li vuole i fiori, quando sei morto? nessuno.

jerome david salinger (1919 - 2010)


24.1.10

religione

il problema non è la Creazione ma quello che combinava Dio prima

16.1.10

una crisi d'ispirazione si risolve sempre con l'autobiografia

un ben misero intellettuale di provincia, il quale da tempo aveva smarrito la sua più genuina ispirazione, dunque sinceramente in crisi, dopo la consueta, mattutina lettura della repubblica, si risolse ad uscire di casa per avviarsi al vicino cimitero, di cui dalla finestra avrebbe potuto vedere le punte dei cipressi, se la sua stanza in affitto l’avesse avuta una vera finestra e non fosse la vecchia tintoria che era, con tanto di saracinesca sulla strada, riadattata alla bell’e meglio per stiparci in numero di tre, studenti e/o lavoratori. non c’era mai stato al verano: da anni a roma, non aveva mai osato varcarne la soglia, al massimo gli era capitato di pisciare lungo le mura, dopo le lunghe bevute nella vicina san lorenzo, tornando a casa senza aspettare i bus notturni, perché aspettare i bus notturni, ragionare sulle loro complicate coincidenze, gli avrebbe sicuramente fatto scappare la pipì che da ore rimandava. eppure da sempre gravitava nella stessa porzione di città, non perché l’avesse scelta o perché la preferisse ad altre, semplicemente per una concezione parecchio spiccata dall’affezione ai luoghi, alle cose. che non gli lasciava spazio per le fughe improvvise, per il vagabondaggio a lunga gittata, lui credeva di conoscere ogni segreto recesso del suo piccolo quartiere e gli andava bene, per carità. aspirare a trovare il mondo in ogni angolo piuttosto che il proprio angolo nel mondo intero, così ribatteva a chi gli contestava una sua caratteristica, per giunta innegabile, la staticità. in ogni caso, rispondeva con scarsa convinzione a chi gli poneva la questione, quasi temesse di sbagliare e non poterlo poi verificare di persona. superato l’ingresso principale, accanto alla basilica di san lorenzo fuori le mura, nota perché vi è sepolto l’ultimo papa re, il nostro ben misero intellettuale di provincia, che proprio non riusciva a dipanare la matassa delle sue oscure riflessioni, piomba nel silenzio irreale del cimitero, rotto solamente dal miagolio dei gatti, dal potente verso dei gabbiani che volteggiano nel cielo insolitamente terso. alla sinistra del quadriportico, un corpo di marmo che giace e una bandiera tricolore che lo copre, è la lapide di goffredo mameli, patriota, poeta, morto a soli ventidue anni per difendere la repubblica romana del 1849 dall’assalto delle truppe francesi. al che al nostro intellettuale di provincia pare di ritrovare il corso naturale dei suoi pensieri, con infinita deferenza s’inchina e poi lentamente s’allontana.

è cassazione

11.1.10

napoli per noi

con quella faccia un po' così
quell'espressione un po' così
che abbiamo noi prima di andare a napoli
che ben sicuri mai non siamo
che quel posto dove andiamo
non c'inghiotte e non torniamo più.

eppur parenti siamo un po'
di quella gente che c'è lì
che in fondo in fondo è come noi, selvatica,
ma che paura ci fa quel mare scuro
che si muove anche di notte e non sta fermo mai.

napoli per noi
che stiamo in fondo alla campagna
e abbiamo il sole in piazza rare volte
e il resto è pioggia che ci bagna.
napoli, dicevo, è un'idea come un'altra.
ah, la la la la la la

ma quella faccia un po' così
quell'espressione un po' così
che abbiamo noi mentre guardiamo napoli
ed ogni volta l'annusiamo
e circospetti ci muoviamo
un po' randagi ci sentiamo noi.

macaia, scimmia di luce e di follia,
foschia, pesci, africa, sonno, nausea, fantasia...
e intanto, nell'ombra dei loro armadi
tengono lini e vecchie lavande
lasciaci tornare ai nostri temporali
napoli ha i giorni tutti uguali

in un'immobile campagna
con la pioggia che ci bagna
e i gamberoni rossi sono un sogno
e il sole è un lampo giallo al parabrise...

con quella faccia un po' così
quell'espressione un po' così
che abbiamo noi che abbiamo visto napoli
che ben sicuri mai non siamo
che quel posto dove andiamo
non c'inghiotte e non torniamo più