29.4.06

quarta settimana

questo blog con difficoltà arriva alla fine del mese

28.4.06

francescano

eppoi un percorso tappezzato di duecentosedici idiosincrasie, la maggiorparte ingiustificate, il resto idiote. tra l'altro non sopporto indossare alcun tipo di accessori, come bracciali, collanine, occhiali da sole, piercing, anelli, fasce, bandane, cappelli, né i più diversi copricapo, orecchini, ginocchiere, galosce, spille, medaglie, gemelli, auricolari (spaziali) e men che meno orologi. con cui ho un rapporto diviso fin da bambino. abituato a farne a meno, ho affinato la capacità di indovinare l'ora d'istinto, forbice d'errore cinque minuti. sesto senso che, a dir il vero, s'avvale di minuziose rielaborazioni di precedenti, casuali, rapide occhiate all'orologio del telefono, del pc, del televideo, del campanile, del parcometro, della volta celeste. e se proprio non ne vengo a capo, chiedo al primo che passa... che, di primo acchitto, mi trova spoglio!

24.4.06

doppia lettura (solo per me)

un furgoncino verde dalla scritta “segnaletica stradale” mi perseguita da giorni. abito in un bilocale di un palazzo grigio, lì dove il quartiere bologna degrada verso la nomentana. ad un passo dal quartiere trieste, dal quartiere africano. e non sono lontane la tiburtina, san lorenzo, porta pia. lì dove il cantiere della metro b1 è oramai in piena attività. trasferito il mercatino, dipinte di giallo le strisce orizzontali, gradoni di cemento o di plastica costringono pure i pedoni a lunghe, tortuose deviazioni invece di comodi dritto per dritto, anche solo per attraversare la strada. ed è il furgoncino verde a dettare i ritmi dello stravolgimento urbano. spunta dove meno te lo aspetti dopo aver girato in tondo alla ricerca di punti chiave in cui lasciare nuove, fresche indicazioni. così plasmano la viabilità del circondario e mi chiudono in un labirinto da cui si esce con l’ingegno o forse la pazienza. occorre tener stretto il bandolo. ché roma, in queste settimane dell’anno, è la città più bella del mondo. soprattutto per via dei colori.

a khatmandu

A Khatmandu non c'eri più
ma ho visto i tuoi occhi
sull'asfalto blu
A Khatmandu quando ero giù
fra i fori e la stazione
c'era via Cavour

A Khatmandu, Rino Gaetano


21.4.06

lavori di gruppo (unico)

roma, universitaria, esame di gruppo, sei casi aziendali da risolvere, cinque uomini, due donne, protezione dal rischio di cambio, la long su una put è come una assicurazione, il divario dei tassi d'interesse, controlla il divario dei tassi, la macchinetta dei caffé è guasta, prestami cinquanta centesimi, dopo mi devi lasciare fotocopiare il libro, tutto trema ché di fronte le scavatrici scavano, verrà su un palazzo enorme, passami la repubblica, oh ragazzi, attenzione, ridisegna il grafico, basta solo un'equazione, mica le soluzioni si trovano su internet, già ho controllato su guuuugol, forse sì, forse no, gli altri dove sono arrivati, gli altri sono avanti, gli altri non esistono, la tesi a chi la chiedi, la tesi è a progetto, hai progetti, non a brevissimo termine, meglio il forward, il forward non costa nulla, e il premio della put, beh, questo si deve calcolare meglio, meglio dopo, stasera che fai, vado in palestra, e poi, poi non so, vieni a casa, ceniamo insieme, ti dico più tardi, secondo me abbiamo terminato, secondo me siamo solo all'inizio, secondo me domani potremmo già scrivere qualcosa, per oggi basta, siamo qui dalle otto, però domani alle otto qui, no, alle otto sono un morto, facciamo alle nove, sì, io dico alle otto ma poi si sa che son le nove, ok, facciamo alle nove, allora io arrivo alle nove e mezza, sei un idiota, lo so!!!

19.4.06

arzigogolato vale a dire inutile

la mia scrittura è involuta. al pari delle mie attività cerebrali. terminare questo, per esempio, è stata una faticaccia non da poco. pennac, in ogni caso, m'avrebbe assolto. non solo sul fatto che si possa lasciare un libro a metà, quanto sull'involuzione della mia scrittura. date le condizioni.

il motore di tutto è la vita... poi viene l'arte (m.bellocchio)

alle due, torno a roma. finalmente. dopo un po', qui, rischi di ammuffire. e il mancato arrivo di gorbacev in città è una novità che non scuote la noia quotidiana. a roma, ritroverò facce di gomma che mi sproneranno a studiacchiare. pena esame in fumo. anche il loro: è un esame di gruppo. sarebbe un peccato, ad un passo dalla laurea. e di un lavoro che non si sa quale.

l'importante è non essere bocciati dalla vita (mamma di federico)

e toccherà disturbare il professore della tesi al quale illustrare i miei progetti su debito&rating, che poi sarà più difficile l'atto del disturbo che quello dell'illustrazione, assentirà, assentirà, è l'istituzione che lo vuole, purtroppo! e mi rendo conto che non ho mai parlato della mia università, uno, perché non c'è molto da dire, due, perché le cose che mi squassano tendo a nasconderle.

io squasso, tu squassi, egli squassa, noi... (N.Zanichelli)

e magari salire a bergamo o a milano. da letizia. se il calendario dà una mano. è tutto così ravvicinato. non vorrei rimanere incastrato da impegni secondari. vorrei, a dirla tutta, abolire gli impegni a favore di gioiose occupazioni.

tra il dire ed il fare c'è di mezzo il dare (saggezza popolare)

15.4.06

Eli, Eli lama sabactani???

Buona pasqua un cazzo a chi pensa, qui è stato sempre così e così sarà sempre
Buona pasqua un cazzo a chi non osa e a chi osa solo dove non è proprio cosa
Buona pasqua un cazzo a chi dice, l’italia è perduta e a chi ha perso l’italia di mano, più di altri
Buona pasqua un cazzo a chi vuole scappar via e a chi è scappato già, pure da se stesso
Buona pasqua un cazzo a chi smette di sperare e a chi spera di smettere
Buona pasqua un cazzo a chi, a destra, sovverte e a chi, a sinistra, s’insabbia
Buona pasqua un cazzo a chi vota turandosi il naso e a chi vota dopo aver sniffato
Buona pasqua un cazzo ai giovani già vecchi, ai vecchi eterni giovani e a chi fa queste distinzioni
Buona pasqua un cazzo a chi ascolta mille dischi al mese e a chi ascolta mille volte lo stesso disco
Buona pasqua un cazzo a chi legge per evadere e a chi, fuori legge, evade
Buona pasqua un cazzo ai raccomandati avellinesi, manciniani, demitiani o diessini che siano e a chi si prodiga pur di entrare a far parte del circolo
Buona pasqua un cazzo agli automobilisti folli e agli addetti alla segnaletica orizzontale
Buona pasqua un cazzo a chi ti squadra senza saperti catalogare e a chi ti osserva passare senza saperti fermare
Buona pasqua un cazzo a chi non esce mai di casa e a chi esce per chiudersi in un’altra
Buona pasqua un cazzo a chi si barrica in se stesso e a chi si apre fin troppo spesso
Buona pasqua un cazzo a chi si sente battuto e a chi batte più forte pur di sentire
Buona pasqua un cazzo a chi dà risposte elusive e a chi non si fa domande per non patire
Buona pasqua un cazzo a chi sorride d’ordinanza e chi ha la faccia triste per opportunità
Buona pasqua un cazzo a chi, come me, dissipa ore e a chi, efficientista, vive due vite
Buona pasqua un cazzo a chi mi legge per caso e a chi mi legge, di proposito, senza scuse

14.4.06

sui giovani d'oggi ci scatarro su

finalmente ho scovato un ventenne forzista irpino. l'ho aggredito con una foga di socciana memoria, ma perché?, sì, ma perché?...., perché?, e lui, impassibile, mi ha confessato, per anticonformismo!

13.4.06

la storia dei "giuda iscariota" connazionali che per trenta denari non esitano a tradire... senza, poi, aver il coraggio di ammetterlo

non riesco a rintracciare nessuno che ammetta di aver votato berlusconi. chiedo agli amici più stretti e ottengo risposte indignate, Ma come, oh maynardo, dubiti di noi??? in un attacco di nervi incontrollabile, sputo frasi sconnesse, Uno su quattro, in italia, vota berlusconi, siamo in cinque inzeppati in quest'auto minuscola, fuori il giuda. silenzio imbarazzato. arriviamo a destinazione e il gruppo s'allarga. maxi-sondaggio dà la maggioranza assoluta a rifondazione. io, da ulivista, sarei oppositore. nessuno, e dico nessuno, che s'aggiri dalle parti dell'udeur in giù. allora, incredulo, passo alla fase successiva dell'indagine. Conoscete, almeno, qualcuno che voti berlusconi??? facce subito pensose rivangano tra ricordi antichi di conoscenze fugaci. e comincia il valzer delle ammissioni. Un mio lontano cugino, vota AN, attaccato com'è ai valori... Un mio ex-compagno di banco è dell'Udc, ma sai è figlio di... ma ancora, nessuno, ripeto nessuno, che frequenti un berluschino. eppure ci sono. separati in casa. noi fuori ad albeggiare. quelli, dentro a televedere. eppure questa contrapposizione non mi convince più. forse perché non funziona. ché la spina dorsale del paese è moderata, cioè mediocre, anarcoide, accozzaglia di gente diffidente, con un culto radicato per l'illegalità. avrebbe votato un fantoccio qualsiasi. ingurgitato televisioni comunque. un paese di merda. e tanta voglia di farne a meno.



non ne parliamo più!

11.4.06

analisi del voto

???

9.4.06

idioteque

ho messo due x. una sopra l'altra. come per ribadire. la seconda, dal tratto leggermente incerto. poi, mi sono segnato con la matita i due indici... ed è lì che mi son sentito un idiota!

8.4.06

dichiarazioni di voto ovvero del perché se promettessero di abolire pure le tasse universitarie, non farei una grinza

dicono sia stata una bruttissima campagna elettorale. rissosa, bizzosa, nervosa. la peggiore della storia repubblicana. può darsi. quando si comincia ad urlare, s’assottigliano le ragioni. da parte mia, ho cercato di starne alla larga. non ho assistito a nessun pubblico comizio. in tv, ho guardato soltanto i due duelli, ma del secondo in cucina arrivava solo il sottofondo surreale, lei è il moderatore?!?, lo moderi!!!, amici invitati a cena impedivano di seguire. per il resto rapide spulciate a repubblica o repubblica.com. questo perché, a chi segue le cronache politiche trecentosessantacinque giorni all’anno, la campagna elettorale, paradossalmente, non piace. non ci piace quando i politicanti smettono i panni dello stratagemma, del compromesso, del disegno politico abbozzato e dunque aperto a più soluzioni, e passano al vincolo di coalizione, al tutti per uno, uno per tutti, al votatemi per quello che farò, o per quello che non faranno gli altri, al trucco e parrucco et similia. esiste un divario incolmabile tra la politica di tutti i giorni, quella che s’occupa della soluzione pratica dei problemi della collettività (che esalta o affonda le qualità personali) e la politica, deformata, dei giorni che precedono le elezioni. nessuno può negare che persino il berlusconi del lavoro quotidiano a palazzo chigi-grazioli, abbia più dignità della maschera di cera che, oramai da mesi, siamo costretti a subire (o è sempre una maschera di cera?). noi, dunque, con presunzione abbiamo lasciato che la campagna elettorale se la sorbisse chi realmente era indeciso, e ci siamo opportunamente tappati le orecchie, affinché le polemiche elettoralistiche non ci deviassero dalle convinzioni, maturate nei cinque anni di questo governo, nei dodici del berlusconismo, nei dieci dell’ulivo, nei due del partito democratico. nessuna promessa c’avrebbe fatto cambiare idea, essenzialmente convinti dell’inutilità delle promesse. nessuna lettura di programmi dei partiti c’avrebbe distolto, profondamente persuasi dell’evanescenza dei programmi fatti salvi due/tre principi di fondo.

da blogger, poi, avrei voluto contribuire in maniera diversa. il viaggio elettorale, di desantisiana memoria, attraverso il racconto dei partiti minori, lega sud-ausonia e partito umanista, gli unici portati a termine, accolite di estremisti o velleitari, di visionari o cialtroni. avrei raccontato, bene o male, i partiti su cui ho stilato una classifica dei simboli. ma al numero uno, invece del movimento di del balzo, avrei inserito forza italia. sì, avete capito bene! una cavalcata, nei programmi di questi partitini che si chiude con un post su forza italia. ché, morale della favola, in un paese normale o solo nelle mie congetture sul paese normale, forza italia sarebbe rimasto movimento minore, il partito degli aziendali, un tre per cento assicurato e nulla più. poi, il disegno s’è arenato (non forza italia, purtroppo). non so perché. forse il tempo e la fantasia.

domani, voterò l’ulivo alla camera. al senato, under 25, avrei votato DS.

perché non credo che ogni voto-al-centro-sinistra-dunque-abbatti-Berlusconi abbia lo stesso peso!


buon esercizio di democrazia a tutti!

7.4.06

avanspettacolo

Fossi il Cavaliere mi preoccuperei. Che i coglioni, per forza di cose, sono sempre il doppio delle teste di cazzo!!!

Gianfranco Funari, riadattato

6.4.06

definitivo

Berlusconi "socialista" e la nuova destra in Italia
di Valerio Evangelisti da carmilla on line
La versione italiana del fenomeno mondiale chiamato “nuova destra”, e comprendente aspetti disparati ma coerenti come il neoconservatorismo statunitense, il fondamentalismo cristiano, il revisionismo storico, in Italia ha un nome e un cognome: Silvio Berlusconi. Non perché questo monopolista industriale passato alla politica sia individualmente all’origine del fenomeno, ma perché ha saputo farsene il catalizzatore nella penisola, e radunarne in un’unica compagine – almeno per un certo tempo – le diverse espressioni. Ciò malgrado l’assenza di un pensiero univoco e di una cultura unificante, sostituiti da tutta una gamma di atteggiamenti e di prese di posizione contingenti, a brevissimo respiro.
Ora che il governo Berlusconi sembra volgere al fine, è il momento di interrogarsi con pacatezza e lucidità su ciò che ha rappresentato in Italia. Esiste tutta una letteratura che si è concentrata sul personaggio, per sottolinearne le caratteristiche sgradevoli o equivoche, e che ne ha interpretato l’opera, quale presidente del consiglio, in chiave di instaurazione di un regime semi-totalitario.Chi fa propria questa interpretazione di solito non dispone di strumenti critici storico-economici capaci di raggiungere il livello strutturale dei fenomeni; e ciò in quanto per lo più professa un’ideologia liberale o neoliberale – vale a dire la stessa ideologia di cui Berlusconi è alfiere, sia pure in una variante estremistica e tinta di populismo. Se si compartiscono le coordinate ideologiche, diventa difficile situare con precisione sotto il profilo storico o delle idee l’oggetto studiato, perché le strutture contestuali appariranno date e non discutibili. Ci si arresterà quindi all’epifenomeno – specie se un’analisi più approfondita approderebbe al riconoscimento di una responsabilità propria, per non dire di una corresponsabilità.Chi adotta il taglio epifenomenico, tra l’altro, finge di dimenticare che Berlusconi è stato regolarmente eletto, e che i provvedimenti che lui e i suoi alleati di governo hanno adottato, inclusi i decreti e le leggi più aberranti, sono passati non in virtù di presunti “colpi di mano”, bensì con un uso totalmente legale della maggioranza schiacciante offerta loro dal sistema elettorale maggioritario. Chi si è battuto per quest’ultimo ha pochi titoli per denunciare il “regime” di Berlusconi, visto che ha approntato o approvato gli strumenti di cui l’avversario si è poi servito.Dovrebbe piuttosto chiedersi perché gli elettori abbiano votato un personaggio simile, dotato di un programma teso solo a soddisfare egoismi propri e altrui. L’ “offerta Berlusconi” non si sarebbe affermata se non avesse trovato nella società una domanda corrispondente, essenzialmente suscitata da altri.
Di norma, chi critica il Berlusconi “autocrate” e instauratore di un regime è consapevole del fatto che il personaggio gode delle simpatie di una parte consistente dell’elettorato, in alcuni momenti maggioritaria. Tende ad attribuire un consenso così largo al monopolio sui mezzi di comunicazione, e soprattutto sulla televisione (i canali Mediaset, poi, dopo l’ascesa alla presidenza del consiglio, anche quelli Rai). Lo stesso Berlusconi ha d’altra parte dimostrato di attribuire al controllo dei media un valore strategico, e il recente abbandono di ogni parvenza di par condicio in tema di interventi elettorali basta a dimostrarlo.Tuttavia, se l’egemonia sui media costituisce condizione necessaria per creare consenso, non è condizione sufficiente. L’Italia non è l’unico paese occidentale in cui, nel campo della comunicazione, esistono condizioni di monopolio pieno, parziale o di fatto. E’ stata l’Unione Europea, e non già il governo italiano, a esigere che le trasmissioni satellitari avessero in Rupert Murdoch (Sky) un gestore unico.D’altro lato, si è visto ripetutamente come l’unanimità dei media non sempre riesca a condizionare la società, quanto meno di fronte a scelte di fondo. Ne è esempio recente il rifiuto francese della costituzione neoliberale europea, malgrado infinite pressioni medianiche. E che dire, quanto all’Italia, della ripulsa popolare della guerra all’Iraq, fino a obbligare un’opposizione reticente a farla propria, seppure tra mille ambiguità? Di converso, quando un presunto opinion leader come Giuliano Ferrara, con l’appoggio di quasi tutte le forze politiche e di quasi tutti i media, ha indetto una manifestazione a sostegno di Israele, è riuscito a radunare solo una manciata di simpatizzanti.Non basta il potere mediatico a dare ragione delle fortune di Berlusconi, così come non bastano le troppo facili tesi cospiratorie. Bisogna andare più a fondo, il che significa partire da più addietro nel tempo.
Silvio Berlusconi non ha mai nascosto il proprio debito verso Bettino Craxi, per i molti favori ricevuti dal defunto leader socialista. Il debito andrebbe però esteso ad altri lasciti di natura immateriale. L’epoca dei governi di centrosinistra guidati da Craxi fu quella in cui le classi medie italiane presero coscienza di se stesse e rivendicarono il ruolo propulsivo che, fino agli anni Ottanta, era sembrato appartenere agli operai, usciti vincitori dal lungo autunno caldo ’69-’70.Il segnale era venuto dalla marcia dei 40.000 quadri intermedi della Fiat contro l’occupazione della fabbrica, nel 1980. Craxi completò l’opera sfidando direttamente i sindacati sul tema della scala mobile e riportando una vittoria schiacciante. Nello stesso tempo, a partire dal laboratorio di Milano, incoraggiò in ogni maniera l’ascesa di ceti di derivazione medio borghese e impiegatizia, spinti a investire in ambiti non direttamente legati alla produzione, come l’edilizia, le attività di servizio, la borsa; campi nei quali anche capitali modesti, se bene impiegati, potevano condurre a un rapido arricchimento.
Craxi, malgrado l’ideologia apparentemente diversa, fu l’equivalente italiano di Margaret Thatcher. Come lei indebolì fortemente le organizzazioni operaie, spingendole a politiche di conciliazione con il padronato; come lei agevolò la nascita di una borghesia di nuovo tipo, arrogante, intraprendente, sicura ormai di costituire il cuore della società. Si passò dalla timidezza dei ceti medi inferiori e dall’aristocratica distanza di quelli superiori a esibizioni sguaiate, in una corsa alla ricchezza che attribuiva ogni virtù al vincitore e ogni colpa al vinto. Se non si approdò a un vero e proprio “reaganismo” fu solo perché lo stato sociale non fu manomesso che marginalmente. Solo, si cominciò a metterne in discussione, se non la legittimità, quanto meno l’utilità.
Simili tendenze rimasero operanti anche dopo che Craxi fu costretto all’esilio e i maggiori partiti politici italiani furono travolti e distrutti dai processi per corruzione. La prima repubblica, a ben vedere, andava stretta proprio ai nuovi ceti medi rampanti, infastiditi da un’intelaiatura istituzionale che, ancora modellata su basi ideologiche “storiche”, non coincideva con la loro spregiudicatezza.Nella seconda repubblica fu proprio a quei ceti che si rivolse l’attenzione ossessiva delle forze politiche obbligate a ristrutturarsi. Sinistra e destra abbandonarono connotazioni classiste e retaggi ideali per fare delle classi medie l’unico referente, mentre, sul piano delle scelte internazionali, sopravviveva quale solo orizzonte un Occidente mitizzato, a sua volta visto come paradiso dei ceti medi.
I governi di centrosinistra della fase post-craxiana fecero ogni sforzo per spostare il risparmio dei cittadini dai tradizionali titoli di Stato al mercato azionario, mentre cercavano di abbellire la nozione di “flessibilità” per renderla appetibile a ciò che rimaneva della classe operaia – e spingerla così al suicidio definitivo. Questo, certo, in obbedienza ai dettami dell’economia mondiale dopo la caduta del muro di Berlino; ma anche quale scelta ideologica propria, conseguente all’opzione per i ceti medi quale primario referente sociale.Sotto il profilo culturale, cominciarono rapidamente a essere messi in discussione tutti i parametri su cui la prima repubblica era stata edificata, a iniziare da quello fondante: l’antifascismo. Già Craxi aveva promosso lo “sdoganamento” degli ex fascisti, invitati a partecipare attivamente alla vita politica dopo che avevano, a loro volta, eletto i ceti medi a referente e rinunciato alle asperità della loro ideologia (tipo il discorso antidemocratico, sostituito da un blando autoritarismo di tipo presidenzialista, o l’antisemitismo). Durante i governi di centrosinistra del dopo Craxi si moltiplicarono le rivelazioni di “crimini” antifascisti, a opera di comunisti pentiti, e si fece strada la tesi di una pari dignità di chi, nel 1943-45, aveva combattuto su fronti opposti. Tesi che trovò cordiale accoglienza in ambito accademico e nella pubblicistica corrente.Ovviamente, non era nell’interesse di nessuno – nemmeno dei post-fascisti – una piena rivalutazione di Mussolini. Era invece nell’interesse di tutti sommare +1 (antifascismo) a –1 (fascismo), per avere come risultato 0. Bisognava insomma azzerare ogni ideologia, per crearne una nuova, priva di addentellati storici, corrispondente alla richiesta dei nuovi ceti medi. Inclini per natura, come è ovvio, al puro pragmatismo.
E’ in questo contesto che Berlusconi poté affermarsi quale uomo politico di largo seguito e, nel 1994, accedere una prima volta al governo. Molti rimasero stupiti di come fosse stato capace di costituire il proprio partito praticamente da un giorno all’altro, e attribuirono l’evento al solo potere su televisioni e giornali (questi ultimi peraltro di scarso prestigio, almeno nel caso dei quotidiani). In realtà, Berlusconi intuì meglio di ogni altro che, nel vuoto e nella confusione lasciati dalla prima repubblica, ogni avventura politica era possibile, inclusa la costituzione di un partito fondato su palesi schemi aziendali.I quadri che raccolse, oltre che cooptati dal suo stesso impero economico, provenivano proprio da quella classe media “d’assalto” che si era coagulata nei due decenni precedenti e che avvertiva la mancanza di forme di rappresentanza adeguate – rimpolpati da figure secondarie di professionisti della politica sopravvissuti all’ecatombe di “mani pulite”.Ciò, come era avvenuto con Margaret Thatcher, provocò il disgusto dei conservatori tradizionali (ben rappresentati, in Italia, dal giornalista Indro Montanelli), che preferirono trarsi in disparte. Non erano più i ceti medi o medio alti a cui si riferivano a esercitare un’egemonia sociale. Era invece una piccola e media borghesia, spesso giovanile, di recente estrazione plebea, priva di solida cultura, dagli appetiti famelici, incline alla volgarità e allo strepito, edonista, spudorata nell’esibire il proprio cinismo.Che di “egemonia” si trattasse lo rivelarono i risultati elettorali, in cui si vide che la nuova classe era capace di mobilitare le altre, sia superiori che inferiori, anche contro i loro interessi immediati. Quanto al tessuto ideologico, esso era quanto mai confuso e cangiante. I nemici erano chiari: la “sinistra” (Berlusconi sembra non avere mai annoverato in tale schieramento il suo padre putativo, il socialista Bettino Craxi) e il suo equivalente semantico, “i comunisti”. Dove per “comunisti” devono intendersi anche i più timidi keynesiani, i riformisti all’acqua di rose e persino i liberali e i conservatori di vecchio stampo.Quanto alla pars construens, essa era molto meno definita. Si trattava, almeno in origine, di accentuare il liberismo già operante in economia, riducendo ulteriormente le remore poste dallo Stato all’azione imprenditoriale, soprattutto sul piano delle normative e della fiscalità. A ciò, in politica, corrispondeva solo in parte il liberalismo, visto che esso era temperato, da un lato, da una vistosa tendenza al bonapartismo e, dall’altro, da influenze clericali per ciò che atteneva ai diritti civili. La politica estera, per sua parte, era interamente delegata agli Stati Uniti, di cui l’Italia ambiva a essere una sorta di rappresentante in Europa, anche a scapito dei rapporti con gli altri paesi dell’Unione.Se vogliamo cercare analogie, le troviamo, bizzarramente, fuori dal vecchio continente, nelle politiche del presidente messicano Vicente Fox. Ma si tratta di un esercizio sterile. In realtà il “modello Berlusconi”, se tale si può definire, non ha base ideologica dai contorni netti. In certi momenti diverrà catalizzatore di ogni tipo di tendenza reazionaria; in altri si colorirà di populismo. Unica costante, la base sociale di cui dicevo, blandita in tutte le maniere, e un perenne pragmatismo, nemico dei progetti di troppo lunga portata.Le nuove classi medie, giunte al governo dopo avere schiacciato le vecchie, e con esse tutte le altre classi, adottarono dunque – nel leader carismatico prescelto – il punto di vista dettato dalla loro nascita recente. Insofferenza per le costrizioni istituzionali; ricerca dell’impunità; soddisfazione degli interessi immediati a scapito della nozione di “bene comune”; visione incapace di spingersi nel futuro. Ciò che viene di solito attribuito a Berlusconi, appartiene invece ai ceti di cui questi era ed è espressione.Più di recente, alcuni intellettuali di modesta levatura hanno cercato di strutturare questo coacervo di impulsi e di cercare vincoli col pensiero neocon statunitense. Tempo perso. La base che sostiene Berlusconi è irriducibile a un sistema ideologico qualsiasi, e costituisce una specie di “destra apolitica”. In questo senso, e solo in questo, si può parlare di una “nuova destra” in Italia.
Sotto il profilo culturale, continuò ovviamente la voga revisionista, in sintonia del resto con tendenze restauratrici operanti su scala mondiale. La complicità di parte del mondo universitario fu in questo senso determinante, dato che è nelle università che si elaborano le tesi destinate poi a essere riprese, se in sintonia col clima politico, dagli editorialisti dei media più influenti.In Italia ciò assunse le forme – tuttora operanti – di una vera e propria offensiva tesa a ribaltare giudizi consolidati, su momenti storici in cui erano in gioco rapporti di forza. Ancora oggi, nelle università italiane, opera una minoranza molto agguerrita di docenti che riabilita l’Inquisizione contro il libero pensiero, il colonialismo contro le idee di autodeterminazione, i moti reazionari plebei contro i riflessi in Italia della Rivoluzione francese, il franchismo contro la “repubblica dei senza Dio”, ecc. Tesi prontamente riprese e divulgate dai quotidiani, non sempre e solo di destra, e dai (pochi) programmi “culturali” televisivi.
Naturalmente, cuore di ogni revisione resta il giudizio sull’antifascismo, e cioè sulle idee fondanti della repubblica italiana. Qui si è manifestato con maggior vigore uno dei fenomeni che hanno accompagnato le fortune di Silvio Berlusconi: il “pentitismo” di non pochi esponenti, veri o presunti, della sinistra. Tra i sostenitori del premier si contano a dozzine gli ex comunisti, gli ex antifascisti, gli ex militanti dell’estrema sinistra. Nel campo del revisionismo storico, sono stati costoro a giocare un ruolo fondamentale.Un caso tipico è quello del giornalista Giampaolo Pansa. Con un passato di antifascista, collaboratore del settimanale di sinistra (più un tempo che oggi) L’Espresso, si è specializzato in volumi, partoriti a getto continuo, sui “crimini” della Resistenza. La documentazione è dubbia o lacunosa, le imprecisioni sono innumerevoli, ogni episodio è isolato dal contesto. Ma ciò non conta, rispetto allo scopo; che non è rivalutare il fascismo, quanto fare tabula rasa di ogni sistema di valori e di ogni valutazione autenticamente storica, sostituita da una sorta di cronaca nera a posteriori.Un sistema già adottato, da parte della sinistra moderata, nei confronti dei sommovimenti sociali degli anni ’70, letti solo in base al concetto di legalità, strappati al quadro temporale, ridotti a fatti di interesse solamente giudiziario – fino ad approdare, nei casi peggiori, alle teorie cospirative che sono il surrogato, in ambito neoliberale, della filosofia della storia.E’ triste dirlo, ma la “nuova destra” italiana non sarebbe mai sorta senza il concorso attivo della sinistra.
Malgrado uno scenario estremamente favorevole, il progetto di Silvio Berlusconi ha raccolto in ambito culturale risultati miserabili. Sono intellettuali di levatura secondaria quelli accorsi al suo appello, commentatori giornalistici e televisivi, divulgatori senza peso che non sia epidermico, spesso strappati agli alleati di destra o agli avversari di sinistra. Appaiono con frequenza ossessiva nei talk show, nelle trasmissioni sportive, nei programmi di varietà. E’ chiaro che la dimensione mediatica è la più confacente a chi è portatore di un pensiero la cui unica base, liberismo economico a parte, è la guerra contro la memoria e contro ogni forma di profondità.Ancora peggio è andata a Berlusconi e ai suoi seguaci in ambito letterario. Non vi è in Italia alcuno scrittore di rilievo che si dica “berlusconiano”, a parte il manipolo di ignoti che si ritrova sulle pagine della rivista Il Domenicale, stampata in migliaia di copie che regolarmente rimangono invendute (completamente diverso sarebbe il discorso su chi invece si colloca più a destra di Berlusconi e rifiuta il centrodestra in nome della destra pura).Se il calibro mediocre degli intellettuali è sintomatico della non-ideologia di Berlusconi, l’assenza di scrittori alla mensa del premier indica molto di più. Vuole dire che la colonizzazione dell’immaginario degli italiani non è stata totale, visto che non ha coinvolto quanto meno un segmento dei fabbricanti di immaginario. E il discorso potrebbe essere esteso, con differenti articolazioni, a cinema, teatro, arti figurative ecc. Strumenti comunicativi meno immediati della televisione o dei quotidiani, ma capaci di lasciare un’impronta più profonda.L’essere “estranei” a Berlusconi, naturalmente, non significa essere “contro”, né avere colto la sostanza ideologica e sociale del suo sistema. Sta di fatto che il mancato controllo dell’ambito letterario e culturale tradizionale, malgrado il possesso di alcune delle principali case editrici (che pubblicano autori ostili al massimo azionista sia per indipendenza propria, sia perché sono i soli richiesti dal mercato), costituisce un fattore di debolezza. A esso Berlusconi non può porre rimedio, perché la cultura “di lunga durata”, con le sue dinamiche, è ignota a lui e alla maggior parte dei suoi collaboratori.L’ostilità del mondo culturale e letterario può essere valutata, in tutta la sua pericolosità, solo da chi con essa abbia dimestichezza.
Silvio Berlusconi è in crisi e la sua caduta, al momento, appare ineluttabile. Non che i nuovi ceti medi che ha saputo rappresentare per alcuni anni siano scomparsi; tutt’altro, la loro egemonia perdura. Solo che, in una fase in cui le possibilità di arricchimento rapido si restringono, manifestano la necessità di qualcosa di più solido di una forma di governo fatta di nulla, priva di programma, di ideologia, di proposte che non siano contingenti, di visioni ampie. Sicuramente quei ceti, all’allievo di Craxi, preferirebbero oggi un nuovo Craxi. In mancanza di meglio, si volgono al centrosinistra.Un giorno bisognerà riconoscere che Berlusconi è stato, a suo modo, un “rivoluzionario”. Ha sovvertito la vita politica, la comunicazione, lo Stato, ogni istituzione che ha potuto sovvertire. Ma il suo ruolo ricorda quello che gli agitatori giocano agli inizi di una rivoluzione, salvo essere messi in disparte pochi anni dopo da chi possiede un progetto più duraturo.La “nuova destra” italiana, il neoliberalismo, non sono morti, ma certo non hanno più in Berlusconi il loro esponente di punta. Se anche, per miracolo, vincesse nuovamente le elezioni, sarebbe comunque già morto. Ha eretto un sistema fondato sulla finzione, operazione di sicuro successo nel paese che ha dato i natali alla commedia dell’arte e ha un culto per i Pulcinella. Ha reinventato i comunisti per avere un nemico identificabile, ha simulato basi ideologiche per giustificare il proprio empirismo, ha evocato mete chiaramente irraggiungibili credendo di farle concrete attraverso la reiterazione del rituale evocativo, ha spacciato sogni suoi nel tentativo di renderli collettivi. In simultanea – ed è tratto caratteristico – modificava se stesso attraverso ripetuti interventi di chirurgia plastica, nello sforzo (in parte riuscito) di far dimenticare la propria identità di settantenne.Di Berlusconi e della sua “insurrezione” neoliberale, dopo l’abbandono da parte dei ceti medi, rimarrà una maschera. Ma con lui non sparirà la “nuova destra” italiana. Al contrario. La destra vera deve ancora venire.

(Relazione pronunciata a Siviglia, il 27 ottobre 2005, al convegno Nueva derecha: ideas y medios para la contrarrevolución, organizzato dalla rivista Archipiélago e dalla 'Università Internazionale dell'Andalusia - Sezione Arteypensamiento.)

4.4.06

sfasci

meglio coglioni che bassi!

si scriverà d'altro

2.4.06

week end meneghino

in treno fino a milano, munito di faccia comune, un treno davvero speciale, solo donne uno e novanta – sessanta – novanta, torco innaturalmente il collo pur di osservarle ma sgusciano via tra firenze e modena. tre giorni a milano per la laurea (o diploma?) di a. all’accademia brera, atmosfera leggera, estrosi a schiera. laboratorio di scenografia, ciak numero uno, in mezzo a frotte di studenti che continuano a inventare. ma la discussione si rimanda quarto d’ora dopo quarto d’ora, ché il relatore-filosofo, dal nome Strano, tarda, e poi, non c’è colpo di scena, arriva e introduce (ieratico) la tesi, decantando la maturazione non solo intellettuale, ma pure ideologica (!!!) del candidato. il quale, emozionato, avvia la sua prolusione con un simpatico, Benissimo! nel frattempo m’intrattengo con due sue amiche, di cui una, bergamasca, di nome letizia, la quale m’incanta, timida com’è, e delicata. cerco di portarla dalla mia, tra sussurri ed evidente divario di accenti. e una volta chiusa la discussione, a. prende il massimo tra il giubilo dei convenuti irpini, m’invita allo spettacolo di marionette dell’accademia del giorno dopo. e il giorno dopo, dopo quelle cose che si fanno per festeggiare una laurea, cena, foto, ubriacatura, cazzeggio vario, districarsi tra parenti estranei e dopo quelle cose che si fanno perché a milano, puntatina al castello sforzesco, giro alla galleria, intrattenimento a piazza duomo, memoria a piazza fontana, corso accelerato di orientamento in metro, torniamo in accademia. a cercar letizia. che mi racconta come si costruisce una marionetta, dei maestri-artigiani che ancora le costruiscono, della famiglia colla di milano, del professore di sarzana, di bergamo o meglio zanica, del centro sociale pacì pacciana, delle sue biciclettate, di critical mass, dell’appartamento-comune del suo amico a tiburtina, del suo bel mondo. poi lo spettacolo inizia. un quartetto suona mozart. in scena, arlecchino, colombina, dott.balanzone, pierrot. un bel vedere. Ti è piaciuto, Sì, mi è piaciuto moltissimo, Ai tuoi amici non tanto, scalpitano, sbuffano, Boh, non so, perché si capisce se uno è interessato o meno, Certo, dice lei, sorridendomi. deve aver capito che ero interessato davvero come lo sono per il suo bel mondo. purtroppo devo andare, ché i programmi erano altri per il pomeriggio, ci lasciamo senza saperci lasciare, un venti minuti, di battute incerte. dice che a maggio verrà a roma, per il raduno critical mass e magari ci si vede. ma come? non le chiedo il numero di telefono, ché a. m’aveva detto che non ha cellulare (che gran cosa oggidì), allora punto su internet, pure questo scarsamente utilizzato. però strappo la mail, un bacio, una mezza promessa di reincontro, e andiamo via. poi nulla più. se non una serata all’alcatraz, una mattinata persa a sesto dietro un libro di debord, ed il ritorno a combattere di sguardi una che pure non desiste. allora desisto io, prendo la rivista di trenitalia e sorprendentemente in copertina c’è una marionetta. titolo cubitale, il genio e le teste di legno. leggo avidamente l’articolo, sul festival mozart delle marionette , su carlo colla, e allora mi convinco che debbo scriverle. anche solo per assecondare le circostanze…