2.2.09

lettere da un esilio

noi siamo i figli e i nipoti del mondo dei vinti, di un’umanità immobile, tenacemente aggrappata ad una terra che non sempre possedeva. di rado ci si esprimeva ed erano epopee orali di guerre di bande e bande di musica dietro il santo ingioiellato. nel giro di qualche lustro, tutto subì una lacerante mutazione e le campagne furono investite da schegge di comunicazione. la maggior parte degli uomini, benché disorientata dal messaggio, partì abbacinata dal miraggio di ricchezza. noi siamo i figli e i nipoti di quell’emigrazione interna che ora produce segni talvolta piuttosto esteriori. irriducibili afasie o vistose logorree, crudeli detenzioni di corpi o stupefacenti esibizioni di cafonerie, esaltazioni improvvise e continui abbattimenti. il peggior nemico è sempre quello più vicino, articolo ottocentotrentadue del codice civile. il che genera una persistente insufficienza alla vita civile, un estremo bisogno di divisioni, invidie, retro pensieri. noi siamo i figli e i nipoti di una storia mal compiuta che non ci ha fatto italiani perché le visioni di noi erano troppo presuntuose, al limite del ridicolo. la risacca di oggi insegni quanto è difficile inseguire credendosi in testa, quanto è mostruosa l’umiltà di chi si crede indispensabile.

1.2.09

lettere da un esilio

il grosso della retorica politica locale, massimamente alla vigilia delle amministrative, si concentra sul tema del cambiamento. ma è paradossale che lo invochino politici che nel corso dei decenni né siano riusciti a innescarlo né abbiano significativamente modificato la propria idea di cambiamento che essenzialmente riposa nella semplice sostituzione del personale politico attualmente al governo con uomini di loro provata fiducia. una variazione del tema invoca una fantomatica chiamata in campo della società civile, dov’essa tutto pare tranne che civile, civica, intesa a socializzare. l’ossessività con la quale torno sul piano strategico, d’altra parte sollecitato da modelli comunitari di governance per la spesa di fondi destinati allo sviluppo di regioni in ritardo, risiede non nella bontà in assoluto dello strumento, che anzi è altamente complesso e non sempre in grado di garantire il successo dell’operazione di rigenerazione urbana che intende avviare. tuttavia, lo schema del piano, se funzionale, obbliga le élites politiche locali, e non solo le élites politiche, a misurarsi in con il problema del governo di una città in un’ottica strategica, ovvero proiettata al futuro. la città intesa come sistema complesso nel quale il potere pubblico incide con una serie di politiche pubbliche, i cui effetti sono talvolta in conflitto, nei diversi ambiti della sanità, della mobilità, dell’educazione, dei servizi sociali, dell’urbanistica, della sicurezza, del commercio. non un partito, non una leadership illuminata, non un dinosauro politico e la sua clientela sono in grado di riuscire a rispondere con esaustività ad un quesito di tale gravità. eppure il solo impegno a sfidarlo per l’intero, attivando amplissimi meccanismi di partecipazione collettiva, varrebbe il conferimento della rappresentanza politica. qualcuno che abbia il coraggio di affermare che gli è antipatico l’appello ad una meglio non qualificata società civile, quando poi quella risulta essere un’accozzaglia di amici degli amici, ma è prontissimo ad accogliere l’idea dell’ultimo derelitto cittadino, che assieme alla dignità ha conservato un nome e un cognome.

30.1.09

massime recessive

non lavorare al lavoro
è sempre peggio di lavorare

27.1.09

frullato

tempi di lavori prima paranoici poi evanescenti che ritrovi finalmente te stesso una mattina alle dieci, con raggi di sole che calano a picco mentre attendi un bus e ne passano consecutivamente cinque di un’altra linea, probabilmente di un’altra municipalizzata dei trasporti urbani. dolorosi rientri. il sabino più famoso del mondo, il professor cassese, celebrato nella sala consiliare del comune di atripalda, discute l’importanza capitale di scegliere il proprio maestro. fronti corrugate icasticamente paiono ricordare come non sia questione di scarsità della domanda o dell’offerta di maestri illuminati quanto di forti asimmetrie informative che non lasciano concludere negozi. il presente ci evoca certe passate guerre intestine della locale sezione del partito socialista italiano. la posta in palio era un assessorato, la direzione dei lavori, il posto in commissione. poi, venne la caduta della cerzona (la grande quercia). con essa la perdita di un simbolo e di un senso sociale dietro le azioni individuali.

26.1.09

gaetanamando

il documento strategico deve essere pronto entro aprile
in tema di partecipazione peggio della città murgiana

20.1.09

banalità nell'era delle multinazionali

pecore sociali si battono come leoni per salvare il fatturato delle multinazionali
o più probabilmente solo per il posto di lavoro pagato male
usassimo la stessa violenza per un fine pubblico,
sarebbe una pioggia battente di ali di angelo

17.1.09

look back in anger

occorre la tenacia di un fitzcarraldo per replicare non al consenso della gente ma al suo confuso bisogno di chiarezza. le tribolazioni del centrosinistra italiano sono oramai letteratura di genere. la specialità del quale è fonte di ulteriori divisioni. lunedì prossimo, dopo mesi di tempesta giudiziaria e mediatica, in una sala del maschio angioino si celebrerà il consiglio comunale della città di napoli. il primo della nuova giunta iervolino. colei che non intende dimettersi. neanche di fronte all’evidenza di un suo mancato esercizio di controllo sull’azione amministrativa degli assessori della sua squadra. i protagonisti della scena politica campana paiono affetti da una miscela esplosiva di amor proprio e risentimento. in tali condizioni secondo nozioni da oratorio, è obiettivamente complicato servire il prossimo. figurarsi l’interesse pubblico. l’immediato retroterra metropolitano, intanto, è in fibrillazione per i nomi da presentare alle prossime amministrative. poi ancora, per la battaglia intorno al rinnovo delle cariche di maiuscoli e non meglio qualificabili Enti (comunità montane, consorzi per i servizi sociali, piani di zona, autorità d’ambito poco ottimali) dei quali nessuno, probabilmente nemmeno i nominati, conosce le competenze, le utilità, i passati risultati. un elettore del pd dovrebbe prendere atto del buon lavoro della sua leadership provinciale quando la sua direzione riesce a strappare una poltrona ai destrorsi-demitiani? spesso, poi, manca l’accordo sul nome e allora le pagine delle cronache locali annunciano che “il rebus è di natura squisitamente politica”. la politica tribale della spartizione, dei clan, dei clientes, dei brutali rapporti di forza, delle chiamate in correità. praticata com’è, fuori dall’evidenza pubblica, non può essere l’anglosassone politics. non è capace di perseguire ragionevoli politiche (nel senso di policy). nel frattempo, il malessere sociale cresce. la sua pericolosità risiede nel fatto che contagia individui e categorie sociali che non sanno spiegarlo, non hanno i mezzi economici e culturali per distinguere, gli vengono a mancare le opportunità per stordirsi e guardare altrove. nel tempo in cui è paradossale che l’asprezza della crisi sia certificata dalla cessione di kakà al manchester city.

13.1.09

criaturi

certi ingressi di palazzine marginali spaventavano come i moncherini di case ricoperti da spine. umidità ed echi di passate bestemmie, dei nonni, dei fratelli grandi. sui gradini di marmo striato, sostavamo a giocare con i doppioni delle figurine panini. il casellario per la posta era un mappamondo girevole. alcuni suoi battenti erano scardinati e lì la corrispondenza s’ammassava: perché quegli inquilini sdruciti non la ritiravano mai? fuori, i muri inneggiavano l’undici titolare dell’ultimo campionato di serie a e le panchine erano un intreccio complicato composto da un guard rail e due corrimano metallici. erano gli anni di de mita, capo del governo e della balena bianca. il nostro sogno più grande era la costruzione di una porta di calcio.

10.1.09

operazione piombo tufo

dove andare? all’ingresso del palazzo, altri hanno fatto fagotto per sistemarsi dai parenti. Infuria il dibattito:mamma vuole spedire i fratellini da amici in un interrato, papà scherza:“abitiamo al primo piano, basta saltar fuori dalle finestre se c’è un’altra bomba”. decidiamo di tornare a casa.prima di entrare, guardo il cielo. nella notte le stelle sono splendide, pare che brillino più che mai. conto cinque aerei israeliani sopra di noi.
safa joudeh, pag. 5 di la Repubblica


nelle cartine delle operazioni militari pubblicate dai quotidiani, un caccia israeliano è grosso quanto la metà della striscia di gaza, un cingolato un quarto, l’ammiraglia della marina doppia l’estensione di gaza city. altrove, lo spettro della disoccupazione agita i sonni in solitaria meno che certi piatti di carbonara. le camicie spiegazzate avvolgono le braccia inerti della sedia. alla parete, un drappo biancoblu&giallo ricorda certi scorci di boschi bosniaci. probabilmente, ogni sacrificio di un piccolo editore viene ripagato nel momento in cui ottiene dall’autorità il codice isbn per la sua pubblicazione. qualcuno dovrebbe studiare la relazione esistente tra la paura e il bisogno di farsi una doccia. le crisi economiche accelerano il processo per cui certi strani tipi antropologici, deprivati del lavoro, si rifugiano in biblioteca e, dopo un po’, ne escono con nuove idee che cambiano il corso degli eventi (o quantomeno riforniscono di volumi quelle stesse biblioteche). nemmeno più si dibatte delle conseguenze dell’inazione: segue grandinata di soluzioni inadeguate, fuffologiche come la vostra* ignoranza ontologica. come le modelle dalla faccia-di-putin sulle riviste patinate.


* riferito ai miei superiori gerarchici ("perché da un punto di vista intellettuale ed etico non è che li stimi poi tanto", cit. oroscopo ariete di velvet)

5.1.09

intorno alla remota ipotesi di gentrificazione di via francesco tedesco

ogni parco generico di quartiere le cui adiacenze siano prive di varietà funzionale
è inesorabilmente condannato a restare deserto per gran parte della giornata.
a questo punto, si forma un circolo vizioso:
questo “vuoto”, anche se protetto contro le varie forme di degenerazione,
ha scarsa capacità di attrazione perché non dispone di una sufficiente riserva di utenti potenziali, e finisce col diventare terribilmente monotono e deprimente.
nelle città la monotonia e lo squallore crescono su se stesse,
come d’altra parte la vivacità e la varietà;
e questo principio fondamentale,
oltre a reggere la vita sociale della città,
è valido anche per la loro vita economica.

pag.91, vita e morte delle grandi città, di jane jacobs


dopo stasera, ultimo live in programma, chiude i battenti il new revolution, squallido, e in ogni caso impareggiabile locale della caliginosa movida avellinese. a pochi metri sorgerà il parco urbano di santo spirito, che corre adiacente al letto del finestrelle. lì intorno si parcheggiava l’automobile, inzuppandosi di fango le scarpe e il cuore. sempre buio umido intorno e nessuna ipotesi valida di espatrio. poi, è vero, attraeva una quantità non disprezzabile di utenti, perché il resto è peggio o molto distante. stasera la città diventa o più povera o più accorta ai luoghi in cui vive. finché poi, alcuni espatriano.

4.1.09

prova post tipo duemila&nove

ho dei dubbi sulla democrazia.
la partecipazione alla vita pubblica è insufficiente.
la gente è chiamata alle urne ogni quattro anni
e nel frattempo (il governo) fa quello che vuole

josé saramago


è di sicuro uno smottamento lessicale a far sì che i rifondaroli non digeriscano più i fagiolini (intesi come i seguaci dello psicanalista ex amico di faustobertinotti). un qualcosa che deriva dall’eccedenza di parole, smistate da sprovveduti, enfatizzate da parolai, come me medesimo, ignari fino in fondo del potere che esse detengono. cosicché la democrazia rischia di divenire una redistribuzione di nonsense anziché di risorse, con le quali ciascuno può sfrantummarsi come vuole, persino, con un sussulto di dignità, suicidarsi, laddove non gli va. dunque, opera di ingegno potrebbe essere semplicemente chiarificare, decantare, filtrare, se volete, disinfettare.

acqua&neve sulla citta(dina) e bianco a spruzzi intorno. l’ordine visuale urbano in orizzontale potrebbe essere l’acme raggiunto da un secolo a questa parte. ciò che manca è la diversità di usi, di generi e di questioni (al centro del dibattito pubblico). nell’annuale classifica stilata dal sole24ore, i dati certificano il costante divario dal resto del paese, il leggero vantaggio sui vicini di regione. ma ultimi, senza speranza, sul fattore immateriale più importante, l’indice di soddisfazione personale. e poco da aggiungere, se non che i dati sono provinciali, e a nulla serve che a commentarli siano gli amministratori della città capoluogo, per giunta inutilmente gai.

21.12.08

l'arroganza del piccio

siamo qui sulla terra per cazzeggiare.
non date retta a chi dice altrimenti.
kurt vonnegut

prendo e me ne esco dopo aver letto per caso o forse per necessità una frase di burke secondo cui perché il male trionfi è sufficiente che i buoni rinunzino all’azione. poiché l’atac mi indica che per raggiungere da casa mia la feltrinelli di viale libia, un tre chilometri e mezzo, non c’è altro modo che mettere un passo avanti l’altro, di buona lena procedo in direzione opposta all’abituale. costeggio il tratto finale dell’aniene, costantemente nascosto alla vista se non poco prima della nomentana. un monotono susseguirsi di ferramenta, autolavaggi, falegnamerie, autodemolizioni. effetto o causa della distruzione di vitalità urbana? nel cortile di una casupola, un uomo con la coda di cavallo accarezza un bonsai rinsecchito. dopo il circolo lanciani, urla in piscina di palombelle rosse contro le blu, sale dietro le lamiere il respiro del fiume. il suo letto disfatto dalla piena finalmente fa la sua apparizione circondato rami di stracci. un'anatra vola rapida. oltre le strisce pedonali, il quartiere africano. chiedo ad un paio di passanti la strada. mi indirizzano al sottopassaggio della stazione ferroviaria. all’estremo opposto un quindicenne ultras avanza fiero della sua sciarpa giallorossa. emergo a viale etiopia, e m’attardo a decifrare i messaggi dei fascisti, la cui strada si situa dove si trova la volontà. all’angolo paolo di nella vive. il bonus aziendale esaurito facilmente a fatica. zigzago in libreria come la palla di un flipper. per individuare il libro che chiuda la rosa. un giallo parigino di simenon la spunta su saramago, manganelli, heller, mcewan, yates. mani tese per il sud del mondo del mio collega sottosopra. una pizza rossa alla casilina. il circolo degli artisti. la specchiata convinzione di un’omologazione laddove pure si eviterebbe. la solitudine per purezza ideologica, alla luciano bianciardi. che infatti come finale nemmeno si capisce.

16.12.08

lucky ljubljana, ugly luciana

acquistare solo ora dalla truppa cingalese che attecchisce nelle stazioni non appare l’investimento adeguato aldilà delle spire deflattive che avvolgono l’economia reale. bisognerebbe prendere atto che la pioggia è un dato strutturale ed evitare di aprire i copertoni ad ogni scagazzo di pioggia purchessia. che poi farsi largo tra code di pedoni armati di parapioggia macroscopici è una sfida che mette a rischio testa, occhi e fede. domani marchionne dalla felpa blue troverà finalmente il socio in un bistrot fumoso all’antica, simbolicamente lontano dagli speed date, discorrendo di filosofia indiana. bush figlio è stato visto provare un paio di scarpe da trezza padre che liquida tutto e vende agli stranieri. berlusconi non è mai esistito, è soltanto la raffigurazione dei nostri peggiori incubi civili, lo capiremo quando si saranno esauriti questi anni di merda.

8.12.08

prima o poi: il mammozio!

prima poi arriverà davvero il tempo di vivere assieme
ed ogni stanza dell’appartamento avrà un colore diverso
ci saranno tutti eccetto il verde dell’irpinia che sfolgorerà fuori
perché, hai ragione, forse non conviene aspirare ad un loft sulla tangenziale
perché, ha ragione il sociologo inglese marito di un’altra sociologa di fama,
prima o poi dall’economia post industriale si tornerà a quella artigiana
chi sa costruire avrà da mangiare
io per me so intrecciare ghirlande di carta
dalle buste di plastica creare maschere
poc’altro
ma non manca la voglia d’imparare
rubando ad altrui produzioni
a saper metter insieme semplici palle di stoffa
due occhi di plastica e una striscia di lana rossa a far da bocca
pare si ottenga un simpatico pupazzo, qui dove il brand è tutto:

il mammozio

3.12.08

la caduta

non mi sono mai sentito così bene,
almeno da quando ho il blog, la luce, la riflessione.
non dipende da altro che dal sentire la mia misera vita stretta tra le dita (grignani)
è bastato relativizzare le pene ed enfatizzare tutto il resto
inchini deferenti alla vita che viene, spalle grosse ai marosi
quando ognuno gioca la sua partita io son quello che smista sorrisi
fino a sempre scompagnato perché
sento private le disfatte pubbliche
vivo pubblicamente i miei disagi privati
sicuro siano giuste chiavi diverse?
che talvolta cedere, conceder(si) sia la decisione buona
oltre al naturale processo di eliminazione (agnelli)
morendo per abele

1.12.08

lettera ad un boss mai nato

peccato che i buoni capi si circondino o di onesti ma mediocri o di intelligenti ma farabutti. 
(il guaio è che i cattivi capi si circondano di mediocri farabutti.)

30.11.08

il rimpasto di natale

nel vagare dei tuoi occhi, un lampo, quella che sembra una stella cadente in orizzontale sono solo fanali nel buio che scendono lenti dal contrafforte che si staglia da qualsiasi punto di fuga della nostra memoria. lì, come qui, evidentemente, respiri sincopati che riscaldano l’abitacolo. e scrosci di pioggia battente sul tetto. che quando smette attacca il vento. l’autoradio rilancia musica leggera: mango, minghi, i mogwai. ai bordi della strada un frigorifero, risentito, da le spalle alle finestre della casa dalla quale è stato allontanato. un assessore al comune si è suicidato. trame sociali, tremore ai polsi. i quarantaquattro cantieri del pica picchettano il centro. la sistemazione di una piazzetta semicentrale valorizza il verde scrostato di un palazzo abominevole. fuori sito, lievita l’ammasso periferico di villette, avvocati, figlie vallette. un assessore al comune si è dimesso. lasciando ai posteri, debiti mastodontici che costringono a contenere le spese. questo natale, niente pista sul ghiaccio, luminarie esose, castagne all’addiaccio. solo amore e poesia. e pace agli uomini di buona volontà

27.11.08

la gigantesca scritta gina lebole

muoversi come trulli è un lungo tirocinio, lo sai
per scansare i lamenti che piombano depotenziati
lavoro alacre per un obiettivo che si sottrae
o forse quel che manca è la condivisione
oltre pochi attimi di compassione
quel che disturba è il fondo degli uomini
non sei niente se non conosci il fondo degli uomini
la lente a contatto asciuga la pupilla
e l’urgenza del pianto sgorga fuori tempo
l’abito talare è un gessato nero
è macchiato di spruzzi di bianco
non è forfora
ma briciole di documenti di seconda mano
a notte fonda, in un ufficio buio, mi faccio strada con un laser blu
ombre di consulenti caduti m’accompagnano
quando non si amano i contenuti s’armano i contenitori
il teorema cui soccombiamo
allegri, sorridenti, ironici
fino a che smettiamo l’abito

11.11.08

revolutionary road

limpido: oggi il cielo è così limpido
come acqua chiara dentro gli occhi tuoi
che bagna gli occhi miei
io raccoglierò tutti i petali caduti dalla tua orchidea
tutti i giorni spesi dentro quell’idea
quei giorni che non torneranno mai
(…)

verano – moltheni


il problema è che l’ufficio non è un open space. come il resto del creato di nostra pertinenza. il problema è che l’edificio di fronte non è né un grattacielo né un palazzo in vetrocemento. ma pericolosamente qualcosa di intermedio. e lo spiazzo antistante culmina con una scultura moderna che è un accrocchio di brandelli di metallo. come lo spazio suburbano della sera, nulla di pianificato, dispersione di superfici e di vite. che temono il cambiamento perché potrebbe cambiarle. nessuno che abbia un’idea precisa di chi sia veramente. da una parte, un’assurda tensione al conformismo. dall’altra, torsione interiore perché siamo distanti nell’ideale di giustizia, nelle abitudini, nel disimpegno. sfibrato il tessuto civico, anemia pubblica: cura del ferro.

p.s. volevo ripromettermi nuovamente di non scrivere più. per non permettermi di rimasticare pensieri altrui perché comuni a tutti gli uomini. poi, però, nei miei indugi domestici mi sono trovato immobile al vetro del balcone, stupidamente impressionato perché appannato dal primo contrasto stagionale tra la temperatura esterna e il tepore di casa. l’immagine mi ha portato indietro a certi pomeriggi d’infanzia, quando, facendomi spazio tra le stoviglie della cucina, m’issavo alla finestra della cucina, spostavo i rami delle piante e disegnavo dueocchiunnasoeunaboccacheride. un attimo fa, ho ripetuto quel gesto e ho sentito il fluire angoscioso dei miei pensieri finalmente umanizzato.

5.11.08

il supermartedì


Caro Senatore Obama,

Ci uniamo al popolo del suo Paese e di tutto il mondo nel congratularci con lei per essere diventato il nuovo presidente eletto degli Stati Uniti. La sua vittoria ha dimostrato che nessuna persona, in nessun luogo al mondo dovrebbe astenersi dal sognare di volere cambiare il mondo affinché diventi un pianeta migliore.

Prendiamo atto e plaudiamo al suo impegno di sostenere la causa della pace e della sicurezza in tutto il pianeta. Confidiamo inoltre che lei faccia rientrare nella sua missione di presidente anche la lotta alle piaghe della povertà e della malattia in tutto il pianeta.

Le auguriamo forza e decisione nei giorni e negli anni difficili che le stanno davanti. Siamo sicuri che lei alla fine conseguirà il suo sogno, quello di rendere gli Stati Uniti d'America un partner a pieno titolo di una comunità di nazioni dedite ad assicurare pace e benessere a tutti.

Con i miei più sinceri auguri

Nelson Mandela
immagine da qui

31.10.08

pericolo di pencolo

voglio un coltello che dipani il gomitolo nel petto
dove si sistema l’ansia, si raggruma il peso di tanti ieri
voglio occhi leggeri e vestiti normali
librarmi sulla città, metterci le mani
un posto di lavoro si giudica da quello che si osserva dalla finestra
poi, la vita e/è tutto il resto
l’amore che ci metti
questione di progetti
non sempre i passi sono proprietà privata
ad esempio quando si pencola per altrui pene
ma poi abbarbicati a questa pietralata, nulla si smuove
tranne sacchetti dell’immondizia che vorticano sul balcone
un pezzo di paese si rivolta
i restanti nove marciscono nello stesso brodo
diseducazione civile
fino a quando soprassedere?
quanto vale colpevolizzarsi?

28.10.08

il tramonto dell'occidente

ultimamente il sole tramonta prima ad occidente mentre crisi finanziarie globali investono realmente il portafoglio dei miei genitori, con un palinsesto di malattie, con un cagnolino che muore. alle lenti giganti non può più sfuggire la realtà, per quanto sono estese, dunque tocca socchiudere gli occhi più spesso, o scolare i fondi di bottiglia? un ragioniere, un tempo, non puntava sul talento, s’accontentava delle partite della nazionale, delle tribune elettorali, delle risse alle assemblee di condominio. ora, probabilmente la “dotazione umana” non è cambiata, solo che tutti hanno fretta di diventare qualcuno, e per di più farlo sapere in giro. facebook è diventato il nuovo gioco nazionale, nascondersi è fuori moda. saremo per sempre impigliati dalla rete? eppure, in giro, ci sono ancora giovani anziani che tutt’ad un tratto si sono rinchiusi in casa, parassiti della Madre, mai s’è capito se loro schifavano il mondo o viceversa, credo ne parli pure saviano nella sua, per altre ragioni, citatissima inchiesta. forse ha ragione l’anima cristiana la quale ha ricordato che nel corso di un’intera vita, non si può amare più di un esiguo numero di persone. dopodiché, aggiungo umilment'io, le reti smisurate sono soltanto marketing, per forza di cose, e diversamente dall’altro, slegato dal territorio: in definitiva, una speculazione.

27.10.08

23.10.08

milizia crumiri

sfrigolano le tempie sotto luci al neon oltremodo invadenti. le ore vuote di adesso, trascorse in cattività, rispetto alle passate perdono in immaginazione, campi verdi e orizzonti prossimi. quindici anni fa internet non esisteva, gracchia la segretaria inglese alla giovane apprendista. le piace madonna, è stata pure al concerto. esco. sulla strada del ritorno, incontro sempre una coppia ultrasettantenne. lui indossa un curioso giubbotto catarifrangente arancione. s’appoggia con una mano al bastone e con l’altra al braccio della moglie che osserva ogni suo passo, amorevole. di solito arrivano fino all’incrocio con monti tiburtini e poi tornano dietro. un giorno li vidi seduti a scrutare ciò che passava: un flusso insensato di automobili che scorre per l’altrove. un grappolo d’uva dalla tigre del deserto, cooperativa di maghrebini iperattivi, riaccorda con le stagioni. il decreto gelmini spinge i giovani all’amore. svolto per il mio vicinato. è buio pesto. sgorga sull’asciutto un fiotto d’immaginazione.

22.10.08

vaiasso

21.10.08

blasfemia

il mio stipendio resta fisso
come un chiodo in fronte a gesù cristo

19.10.08

sahara

la letteratura esordiente indiana è di gran fattura perché narra le tumultuose trasformazioni in atto in quel paese. dunque si paga un ulteriore scotto del fatto che qui nulla accade e, nonostante quanto si dica, arduo è ritrarre il fisso. per raggiungere il bar sahara ci sono tre scalini da superare; danno su una pavimentazione orrenda, anni ’70 sulla quale si potrebbe pattinare. i vecchi malaticci e abietti del quartiere magari proprio allora qui si trasferirono. ora, furtivi, scendono in fila da una scorciatoia che costeggia il piccolo parco. discorrono della puntata al superenalotto. uno di essi intona un’aria con la sua voce malandata da baritono. ciò che si vede intorno è in gran parte merito loro. non avendo la forza di reagire, nessuno ha il diritto di fargliene una colpa. un'altra vecchia tromba, dalle pagine del giornale, esorta i risparmiatori ad approfittare della caduta dei corsi azionari e detta la sua regola aurea: “sii cauto quando gli altri sono avidi. sii avido quando gli altri sono cauti.” la applico subito alla feltrinelli, le librerie sono l’unico mercato in cui mi muovo con agio. spendo i miei 86 € in saggi ponderosi che difficilmente avrò tempo di chiudere. poi m’arrovello al brulicare delle migliaia di corpi sul corso del consumo. quanta violenza infliggiamo al prossimo quando si decide di agire? da piccolo ero buddista. poi, non so perché, m’affascinò una certa idea di rivoluzione.

16.10.08

quello che avrei capito della paesologia

la paesologia è una forma di attenzione.
è uno sguardo lento, dilatato, verso queste creature
che per secoli sono rimaste identiche a se stesse
e ora sono in fuga dalla loro forma

la paesologia ha due fili:
uno di pietas e l’altro di necrofilia


franco arminio, da vento forte tra lacedonia e candela.
esercizi di paesologia



gli esercizi di paesologia, un vagabondaggio irrequieto, senza posa attraverso i nostri paesi arresi, chiusi nell’abitacolo della propria auto o trascinando passi pesanti in centri (dis)abitati è lo schiudersi al prossimo di un certo tipo antropologico sopravvissuto a secoli di chiusure e sottosviluppo. la comunità provvisoria, una forma di paesologia di gruppo, dunque in astratto non praticabile, tende a dissolvere lo spesso strato di desolazione da cui l’esercizio di paesologia nasce. grazie ad arminio, dunque, non si guarderà più questi paesi allo stesso modo. e chissà se ciò dipenderà dalla sua poesia civile o dalla sua azione comunitaria/politica. i presupposti della prima negherebbero gli effetti dell’altra. è una benedetta incoerenza per il futuro della nostra terra.

un tufo al cuore

con questa operazione 
eviteremo di creare inutili doppioni di opere pubbliche,
come nel caso dei mattatoi di avellino e atripalda, 
entrambi non utilizzati
luigi tuccia, "delegato" per il comune di atripalda  



con un protocollo di intesa siglato ieri l’altro, la provincia di avellino, il comune capoluogo e quattro dei comuni limitrofi (atripalda, monteforte, mercogliano ed aiello del sabato) si mettono in gioco per firmare un piano strategico per l’area urbana. un documento, s’auspicherebbe partecipato, che individui un percorso di amministrazione il quale mobilitando risorse materiali e umane, pubbliche e private, porti alla città sviluppo. e lo sviluppo, occorre ribadirlo, ha un’accezione oltreché economicista, principalmente sociale: dai servizi pubblici efficienti, all’occupazione, dalla lotta all’esclusione sociale, ai livelli d’istruzione e così via. in maniera strategica il direttore dei lavori, l’assessore donato pennetta ha rimarcato i mali che, dal suo punto di vista, attualmente affliggono l’area urbana così come disegnata e per la cura dei quali si rende necessaria un’azione sovracomunale ovvero pubblico/privata (?): la riqualificazione dei bacini del sabato e del fenestrelle e il rilancio dell’insediamento industriale di pianodardine. in generale, non sarebbe difficile elencare una serie di ritardi dell’amministrazione pubblica locale e degli altri attori sociali che impattano negativamente sul grado di competitività del territorio, che risente dopotutto dello stato di profonda crisi in cui versa l’intera area metropolitana di napoli. ragionare su temi così delicati appare in ogni caso macchinoso dal momento che gli unici soggetti coinvolti ad oggi sono gli amministratori già in carica. non si capisce quindi perché serva un piano strategico, ovvero uno strumento di amministrazione straordinario se poi non si innova la governance e restano protagonisti i consigli comunali (o peggio le giunte), senza che si individui alcun organismo/comitato/associazione (anche permanente, sicuramente aperto) di coordinamento e controllo del progetto. dunque noi tutti, di fatto, non parteciperemo al processo in cui si valuterà il merito delle proposte/azioni/visioni, nonostante i pur dieci/cento convegni in agenda. manca la trasparenza e non basterà per recuperare, stampare in centomila copie (tanti sono gli abitanti dell’area vasta) il documento finale. la cui ideazione, tra l’altro, secondo il sindaco galasso, ha tempi piuttosto brevi se è vero che “entro la fine del mandato consegneremo il nostro disegno complessivo per far diventare l’area urbana punto di riferimento per l’intera provincia”. et voilà!

* fonte, il mattino


per farsi qualche idea:

15.10.08

tagliar la corda

metà di ottobre e il sole è ancora alto
un tempo, quando sapevo scrivere non mi attaccavo al clima
saper scrivere è sfrondare i pensieri in cerca delle parole
tutti possiedono dei pensieri 
pochi investono sulle parole 
ancor di meno ne ottengono profitto
le scuole di scrittura suggeriscono di tener conto del pubblico
il mio pubblico era composto delle mie cento personalità in eterna contraddizione
un continuo parlarsi l’un sull’altra
tanto ricca era la discussione nella testa, tanto povera la mia comunicazione
poi sopraggiunse l’urgenza di distillare il mio profilo pubblico
sono ancora in azione
il risultato è che qualcuno dei miei io s’è defilato
tenue è diventata la sua voce
come un angolo della mia coscienza in cui ricordo di aver avuto una corda
ma ora quella corda non suona più
sarà allora tempo di tagliarla

13.10.08

geografia economica

il nuovo nobel per l'economia è paul krugman, professore di economia e relazioni internazionali all'università di princeton. è un neo keynesiano, laddove la qualifica-omnibus assuma un qualche tipo di significato. poco più che cinquantenne, avrebbe meritato il premio già una quindicina d'anni fa. non a caso, da tempo si diletta come editorialista sul new yorker.

in italia, commenta entusiasta giorgio ruffolo, classe 1926, è un neo-keynesiano che ebbe il suo momento di gloria, a cavallo tra i '50 e i '60, come capo ufficio studi dell'ENI di Enrico Mattei come e responsabile della programmazione economica del ministero La Malfa, prima esperienza al governo del centrosinistra, poi disastrosamente fallita. da tempo è un apprezzato saggista ed editorialista di repubblica.

10.10.08

stanchi morti

la situazione di estremo disagio psicofinanziario che stiamo attraversando si manifesta in tutta la sua evidenza quando leggi, da repubblica.it, che milano risale al quattro per cento, che è un meno quattro per cento, risultato parziale disastroso solo un mese fa. eppure noi non si ha nessun titolo in ballo in borsa. nemmeno il trattamento di fine rapporto si è scelto di destinarlo ai flessibili fondi pensioni e deperisce in azienda così come prevedeva la vecchia disciplina legislativa. ci accusano di essere, a pranzo e a cena, bloccati nel nostro bozzolo, mobili solo nella spola avellino-roma, provinciali irrecuperabili, mentre la ryan air generation in un solo week end riesce a raggiungere Parigi, Stoccarda, Londra, Calcutta, Padova, Orio al Serio e poi subito tornare dietro. L’euforia irrazionale non contagia. D’altra specie sono i sintomi.

p.s. i broker che si disperano in borsa, mani nei capelli, se ne fottono dei risultati negativi, sono solo stanchi morti dei turni massacranti.   

8.10.08

il primo giorno del creato


foto di diane arbus

dopodiché sopraggiunse la gelata delle borse e ci ritrovammo a corto di parole perché mai avevamo assistito ad una cosa simile mentre la gente attorno proseguiva a discutere di fantacalcio o al massimo, obbligata, si preoccupava del proprio libretto di risparmio. e noi che avevamo studiato keynes&milton friedman, malaccio per carità, a spizzichi e Bocconi come tutto, verificavamo allibiti che niente potevano lo scavar buche a conto del governo e le iniezioni di liquidità delle banche centrali. per difenderci emotivamente, orfani per un paio di giorni pure dei bus air, ci legavamo ossessivamente agli strumenti di networking sociali, in cui imbastivamo contatti improbabili, seguito di reti dalle maglie impalpabili. dio salverà l’america, i suoi figli. capitalismo meno saccheggio ché alternative non si presentano. m’aggrappo ad una biografia di enrico mattei e un’agenda colore rosso. l’intercity delle sei e ventotto lascia una manciata di minuti per un bacio dolcissimo. rimaniamo sempre noi, gentili, disutili e stronzi, nel paese, in sofferenza, in cui tutto sembra normale. come il primo giorno del creato.

6.10.08

the casualties


da qui


Alla fine del Sermone della Montagna il Signore ci parla delle due possibilità di costruire la casa della propria vita: sulla sabbia e sulla roccia. Sulla sabbia costruisce chi costruisce solo sulle cose visibili e tangibili, sul successo, sulla carriera, sui soldi. Apparentemente queste sono le vere realtà. Ma tutto questo un giorno passerà. Lo vediamo adesso nel crollo delle grandi banche: questi soldi scompaiono, sono niente. E così tutte queste cose, che sembrano la vera realtà sulla quale contare, sono realtà di secondo ordine. Chi costruisce la sua vita su queste realtà, sulla materia, sul successo, su tutto quello che appare, costruisce sulla sabbia. Solo la Parola di Dio è fondamento di tutta la realtà, è stabile come il cielo e più che il cielo, è la realtà. Quindi dobbiamo cambiare il nostro concetto di realismo...

Papa Benedetto XVI, da qui

27.9.08

per il formicoso. contro i toni apocalittici

ho un serbatoio pieno di titoli per i miei post a venire. a volerla sintetizzare, la mia ultima produzione descrive o l’alienazione da travèt (con l’ispirazione che mi coglie tendenzialmente in metropolitana, linea b, fermata cavour). o gli effetti del ritorno in provincia (con l’ispirazione che mi coglie guardando la linea di montevergine che si staglia all’orizzonte… ché dietro c’è napoli e il mare!). sul resto, taccio per lo più. la scena politica nazionale mi dà un senso di nausea. non mi abituo alla ciarlataneria della maggior parte dei suoi rappresentanti e dell’’assoluta maggioranza dell’attuale classe di governo. apparirebbe dunque irragionevole ricercare le buone pratiche in periferia. ma intanto, siamo qui e i pensieri passano. ovviamente l’asfissia generale impatta negativamente sugli uomini e sulla blogosfera. l’entusiasmo iniziale su un certo, auspicato, contributo che essa avrebbe potuto fornire al dibattito pubblico sono via via svanite, in città, per il fallimento di diverse esperienze di blog collettivi fino ai semplici aggregatori (l’ultimo tentativo è di paolo pilone). la stessa, meritevole per certi versi, battaglia di arminio e della comunità provvisoria per il formicoso anima un’irpinia che orgogliosamente si definisce “altra”. che dunque interpreta la propria come una lotta contro il capoluogo, sia provinciale che di regione, i loro politici, i loro fallimenti. separare le microstorie, però, non sempre serve. l’attuale irrilevanza della politica irpina, anche quella che si riscopre la sua vocazione per il territorio, attivando una riserva intatta di mobilitazione culturale, è infettata dal risentimento. un risentimento che è montato in decenni di arretratezza, dopo un post terremoto di mala amministrazione, sprechi e devastante distribuzione di prebende clientelari. ma se si guarda al futuro, il risentimento e la separazione non servono come la paura e la chiusura. ci si difende legando le nostre storie a quelle simili e alle più diverse, intercettando flussi di creatività, immaginando nuovi spazi per la condivisione e l’accrescimento del bene comune. per dirla semplice, il contesto è assai complesso. essere apocalittici non aiuta.

25.9.08

le mani sul (piano del)la città

a sup (strategic urban planning) process is "the definition of a city project that unifies diagnoses, specifies public and private actions and establishes a coherent mobilization framework for the cooperation of urban social actors. borja, castells (1998), da qui


avellino rischia di distinguersi per essere l'unico posto al mondo in cui il pensiero strategico sulla città è in testa ad un nugolo di assessori... che se la cantano e se la suonano, come da programma (2000-2006).

22.9.08

pietralata in fiamme

un altro compagno di strada emigra
(costruire un'italia nuova per chi rimane o per chi se ne va?)
intanto sento scoppi regolari
corro fuori
una cortina di fumo e fiamme si spande sul quartiere
la banlieue si rivolta?
rimarrei a casa
ho un accenno di cervicale
(no, soltanto una sigaretta spenta male)

21.9.08

pedestrianism

ho una gran voglia di sentirti lontano
e do ai miei desideri una mano
perché io so che tu non vuoi ridere più

tu sei preziosa come una finestra
quando ti vuoi buttare giù
gentile come un orologio, svelta
a dire oggi non ci sono più
io mi perdo in un oceano di parole
te l’ho prometto che non bevo più
ma insegnami quel gioco nuovo, guardami
c’è un mazzo buono tutto per noi
almeno qui, fammi vincere
non m’importa la verità
almeno qui, fammi vincere
non m’importa ma…

per carità o per amore
spiegami come si fa
a fare di un bisogno solo un desiderio…

oceano - dente


via dei serpenti
quanti rimpianti
un giorno, qui o altrove, qualcuno mi spiegò la differenza con i rimorsi
ma io dimentico
dimentico tutto a velocità consistente
non fanno una strategia i miei giudizi taglienti
i marciapiedi di monti, contatto involontario di mani vicine
nella testa una canzone di non amore che non so
come una qualsiasi parola giusta nell’aria grigia
confronto la tua fronte, l’affronto, sì, sì, è giù in fondo
occhiali con la montatura spessa, nera
un’agendina giapponese senza marchio
giocare a fare gli indifferenti, che cosa stupida
galleria sordi col cerume nelle orecchie
un taschen sproporzionato schiaccia di peso una farfalla, la sua borsa
hanno smantellato il caffè fandango
un dente in meno sulla mia bussola
la mandibola che a furia di masticare amaro è il muscolo più in forma di cui dispongo
m’arruolo, basta interpretare più maschere, basta attraversare la strada
bussare al forte, passare le visite mediche, i test sui fiori
finire al caffè della libreria di mel brooks, l’attore
quando sarò demente del tutto, ricorderò questo particolare
girare cento volte una scena non verrebbe mai uguale
intensità, pathos e parole
eccetto i risultati
211- il dissapore fa 61

come uscire dalla crisi

vendere al neonato organismo federale u.s.a., al 65% del loro prezzo nominale, gli unici titoli tossici di cui disponiamo, le ecoballe, che impacchettano rifiuti rischiosi e meno rischiosi, come gli strumenti finanziari, pur di salvare il formicoso e un'ipotesi di sviluppo

17.9.08

al dopolavoro, laboratorio di scrittura

la mia esposizione a wikipedia.org, e al grosso dei network sociali cui sono iscritto, s’è ampiamente ridotta nell’ultima settimana. il motivo è che sto lavorando seriamente. in un file excel inserisco alcuni dati sul sistema sanitario nazionale. stamattina, su uno dei fogli del file, quello di sintesi, le colonne disponibili si sono esaurite per eccesso d’informazione. non credevo potesse accadere. d’altra parte le mie nozioni “da office” sono limitate. eppure basterebbero solo quelle per guadagnarmi il plauso dei superiori. ogn’altra conoscenza specifica, di settore, pare superflua, sotto i raggi del neon che aspirano la materia grigia. l’obiettivo è preparare un documento che, dopo aver superato una serrata serie di approvazioni intermedie, ottenga un assenso dal sottosegretario di turno. da quel minimo, impercettibile movimento della testa, e da come sarà interpretato dai presenti alla riunione decisiva, verrà sulla società per cui lavoro una pioggia di denaro o di merda. poi per la salute della gente, prendetevela con i medici. a quella riunione non ci potrò essere. se sono garbati, dopo un pezzo mi tradurranno quanto si è detto a mozzichi comprensibili per un junior imberbe. intanto per chiudere il compito, resto sotto il neon un’altra settimana. il vecchio capo mi dice che la cosa sarà utile per la mia carriera. non vorrei che, passata una settimana, cominceranno a decantarmi l’utilità di un’esperienza all’estero dopodiché mi mandano in libia su un progetto da scafista le cui criticità sono le condizioni atmosferiche e le ronde della guardia costiera. penso a cose di così scarso peso mentre faccio ingresso nella stazione della metro. la filodiffusione trasmette una canzone di luca carboni, questa. mio cugino gli somiglia: amava silvia e tifa ancora per il liverpool. nel vagone una sedicenne rumena canta una canzone di mina, questa. imita la sua voce perfettamente. un filippino in felpa la osserva imbambolato, attorcigliato al sostegno rosso. intanto io scrivo sul nokia, intanto io chiudo. 'notte!

15.9.08

i testi di vasco rossi

david foster wallace si è tolto la vita
non capivo molto dei suoi scritti
non capisco molto anche arbasino
molti non capiscono i miei
insieme ad arbasino non mi suiciderò
diversamente da lui nessuno se ne accorgerà

egotico
sei uno stupido
piove fuori
dentro muori

lehman brothers finalmente è fallita
tre miei conoscenti sono in mezzo alla strada
in europa sono seimila
inseguono i futures sul loro smartphone
ho perduto my futures, shock out

erratico
sei uno rapido
piove fuori
in fronte ai muri

oggi ho lavorato all’eur alla salute
in una strada che è urbanistica a venire
ho scoperto un mio stakanovismo che non sapevo
lontani gli occhi, lontani i pensieri
senza te vicino sarei stato fermo

ematico
il cuore si ricompone
piove fuori
come ieri

domani no
poropò po pon

14.9.08

il papà di giovanni

crescere significa tenere a bada la curiosità morbosa che cova dentro di noi

13.9.08

sabato di san sabino

il malanimo che serbo dentro è riposto contro il fastidio, indifferibile, di dover crescere. un chiodo fisso ficcato nella mia fronte che col tempo arrugginisce. potrei davvero lanciarmi nella scrittura. tendere alla direzione del corriere (dell'irpinia). in cui, ho scoperto da poco, un mio conoscente è diventato l'inviato di nera. d'altra parte giocare d'autoironia è un difetto perché la maggioranza si prende fin troppo sul serio. e persino quando non è, lo sembra. e persino quando parla di politica. mentre il paese scorre veloce verso la recessione, il sabato è in piena, impetuoso. all'altezza di via gramsci è a un metro dall'esondazione. trasporta con sé un masso dalla forma irregolare, che rimbalza, divertendo i curiosi, sul greto di cemento. magari mantenesse sempre la portata. come gli abitanti delle terre che bagna, capaci di imprevisti, ma rari, lampi di genio, il suo, dunque, è un problema di continuità. le piste ciclabili, allora, uniscano le rive dei fiumi in secca, dal fenestrelle al calore, prima che s'esaurisca pure il carburante. e siamo costretti ad attendere l'apparizione, magari un altro secolo e mezzo, di un'altra madonna di lourdes per puntare tutto sul turismo religioso e la vendita di immaginette sacre.

11.9.08

diario di uno stupido

sei come un purosangue
che non ha mai perso una corsa,
sei tu che vieni avanti,
sei rara come una sorpresa.
ma che buffa che sei,
ma che buffa che sei,
il denaro per te è un giornale di ieri.
ma che buffa che sei,
ma che buffa che sei,
ogni cosa che fai
ha troppi strani motivi,
tranne una, e la sai: l'amore…

ma che buffa che sei – piero ciampi

esalò l’ultimo respiro della sua vita numero quattro. non ricordava quante gliene rimanessero in questo ennesimo racconto di distopia, di regole sballate, utili a far ragionare la gente. si rianimò frustrato dalla gomitata di un vicino di metro, nella nebbiolina di vapore composta dai respiri affannosi. pensieri ossessivi già tormentavano la sua rinascita. come cambiare alloggio. dove trovare il danaro che ultimamente gli veniva a mancare. come individuare il lavoro che finalmente lo nobilitasse. negli ultimi giorni, preferiva scendere una fermata prima per incontrare sul viale del ritorno il sole che tramontava. non che fosse per lui un’esperienza insolita ma lo aiutava a rilassarsi, a riordinare. la periferia gli sembrava meno dolorosa e benché gli fosse costato molto abituarsi ai ritmi di quel quartiere, non escludeva potesse rimanerci ancora, abbandonandosi ad un destino di rinuncia. forse, e fu doloroso per lui ammetterlo, allora capì di essere stato, in passato, troppo ingenuo con le cose della vita perché aveva sopravvalutato la propria intelligenza.

9.9.08

8.9.08

la signora esse

la signora esse batte pietralata palmo a palmo e la sua andatura vacilla ai colpi dei pensieri bui che l’affliggono. i suoi capelli sono arruffati, bicolori. ha uno sguardo da ragazza e la pelle che gli anni la macchiano. indossa gonne sopra il ginocchio che mostrano gambe forti e sotto scarpe grosse. i suoi occhi sono nero petrolio e s’illuminano quando avvertono l’accenno del sorriso altrui. altrimenti restano ingabbiati in orbite cerchiate da un trucco che deturpa. la signora esse un giorno mi passò davanti e vomitò a più riprese null’altro che alcool rappreso, continuando, imperterrita, a camminare. ne rimasi turbato. la sua presenza è familiare a chiunque frequenti la zona. come accade in occasioni simili, c’è chi si scansa e chi solidarizza. avevo conosciuto una fotografa che apparteneva al secondo gruppo. mi raccontò che la signora esse, un tempo, era una pittrice affermata. poi qualcosa si ruppe e la sua vita si accartocciò. le aveva chiesto di posare per i suoi scatti e la signora esse, sulle prime, ne sembrò entusiasta. per poi dimenticarsene subito. una mattina la incontrammo a boulevard tiburtini, le dicemmo buongiorno, la signora esse ci rispose con un sorriso clamoroso. non ricordo se la ragazza le accennò del servizio fotografico. ricordo che la signora esse le chiese, precipitosa, è il tuo ragazzo?, evidentemente lontana da noi, soddisfatta di correre in uno dei suoi mondi paralleli. scrollammo le spalle, divertiti dalla cosa. e lei, ancora, è un bel ragazzo, scappando via, a modo suo, trotterellando. di notte solitario, attraverso lo stesso viale desertico, e sogno di osservare i suoi quadri di ragazza. che mi incantano. che raccontano la violenza di un amore.  

4.9.08

12:17

cosa è cambiato?
lampioni verdi 
luci arancioni abbagliano le crepe dei muri
spegnendo stelle di città
cosa è cambiato?
sulla mia fronte
una vena fa angolo
e pulsa al ritmo dei miei vaniloqui

strade periferiche
per gente che non si sa annusare
strade marginali
per chi vive nel domani

cosa è restato?
il numero degli autobus
che scorrono in spazi temporali impensabili
per la gente che li attende
cosa è restato?
l’angolo del tuo balcone
coperto da un cartellone
che mi nasconde, che mi confonde

strade deserte
pompe di benzina e sfasciacarrozze
strade chiuse
e chi spera di oltrepassarle

contiamo i cassonetti della differenziata
costruiamo rovine con gli scheletri delle automobili
giochiamo a nascondino aprendo i cancelli
riempiamo di pagine autobiografiche le palizzate
ascoltiamo i lamenti dei vecchi
sorridiamo all’amore
persino quando fugge


correndo, corrodendo

2.9.08

oblivion

gli uomini – questa la mia ultima, strampalata teoria - si dividono in due sole categorie. i primi trovano gusto a distinguersi con i trucchi più esasperati, eppoi le vesti sgargianti, gli orpelli, finanche il timbro della voce, finendo per nascondersi persino a se stessi, dunque diventando inaccessibili, omologhi in buona sostanza di molti altri. poi c’è chi si crede del tutto assomigliante al prossimo suo, quale che sia la sua lingua, il colore della pelle, il cielo di provenienza e le sue stelle. quest'ultimi si concedono all’altro con fiducia cristallina, scovando mille diversità, rendendosi conto di quant’è fondo il mondo. in definitiva, una battaglia non sempre evidente tra gli alternativi che son eguali e gli egualitari che son alternativi.

mi torna difficile tornare, con insulsaggini come questa. eppure, lasciarla come incipit mi torna utile per il ragionamento che vado a incominciare. ho smesso perché mi sembrava di dismettere una buona parte di ciò che ero. poche ore fa un amico - anche lui sparito d’un tratto senza perché, improvvisamente, con la repentinità dell’azione che oggi va molto di moda, dopo che il postmoderno ha svuotato ogni tipo di ragione – mi ha scritto che la vita è piena di cesure. stupide, senza senso. gli ho risposto che le cesure servono eccome, spesso da esse origina una nuova vita. poi se no, pazienza. mi preoccupano di più le censure. il mondo d’oggi muore perché è soffocato dalla censura. per cui ignoro i sentimenti di chi mi è accanto, il suo reddito, la sua propensione ad assassinarmi.

una società la cui coesione è assoluta non è malata di questi germi. cooperare per estirparli richiederebbe un investimento sul prossimo che è suicida allo stesso modo della vita che conduco. i miei tarli mentali sono complicati da condividere. inestricabili con essi vi sono una serie di ragioni affettive, sentimentali, familiari, geografiche. un magnete i cui due poli sono l’insignificanza e la gloria: l’errore più nero della nostra generazione. credevo di leggere molto come estati fa, e invece ho osservato paesaggi senza nemmeno tormentarmi. ho vissuto in pace procrastinando i dubbi e mai ho scritto, nemmeno in brutta.

che basta poco cambiare lavoro, donna, paese, convinzioni. oppure semplicemente, come è capitato a me, confusamente abbozzare, e vivere di poco. ci sono romanzi che raccontano personaggi di dispersione indubbiamente più riusciti di quanto sia io. questo spazio privato rimane tale e probabilmente continuerò a inzepparlo di sbreghi linguistici fin quando reggo. però sappiate che il più è stato già detto, il meglio è già stato dato. infine, che il resto è sempre altrove. tra quelli che paiono uguali, eppure uguali non sono.

20.7.08

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16.7.08

tossine ritardo 211

scarabocchiare al buio sul balcone affacciato su un budello di strada che è un prisma asimmetrico di obbrobri edilizi. qui, dove ho imparato che per l’uomo di oggi il “cosa fare?” conta quanto il “dove vuoi farlo?” (ed eventualmente “con chi?”). avendo da un pezzo pressoché deciso cosa fare, tentare di individuare il luogo nel quale esercitare, è diventata la mia ossessione quotidiana. dopotutto non è tanto difficile leggere la scorza di un uomo. eppure così spesso si soprassiede. sull’edificio più alto del forte di pietralata, luccica una stella cometa. dei bambini fracassano al muro bottiglie di vetro. su un attico adibito a sala da pranzo, due coppie discutono animatamente delle prospettive economiche dei suoceri. mi sento una larva. soffro per questa prossimità che è distanza siderale. per il gap che esiste tra ciò che desidero (il cui impatto è soltanto collettivo) e ciò che al momento posso ottenere (per un tornaconto esclusivamente individuale). una larva sotto scacco perché ogni via d’azione intermedia mi ripugna. il danno della morte di dio è che poi tutti finiscono per sentirsi dio. tra questi, i peggiori, son quelli come me, che pretendono pure di avere i poteri.

13.7.08

scivolo lungo cupa dei muti

calato frettolosamente prima che smaltissi la mansione, con le suole delle scarpe che si disfacevano su quello strano tipo di asfalto di gomma che talvolta s’attacca ai miei passi, a casa m’accoglie l’ennesimo vuoto emotivo. quando capita, non sempre reagisco con tenacia. anzi spesso, mi trincero nell’ammutolimento più ostinato. finendo per girovagare in automobile come nei peggiori gialli che ritraggono killer seriali. l’alba successiva è ancora peggio. come se la tratta milano manocalzati, dopo aver schiuso possibilità, chiuda bruscamente le porte di domani. i miei pensieri non si tengono e non mi resta che fuggire di nuovo. un’ossessione recente mi porta a lauro, da un bosco che pare mai terminare, con un castello che è un intruglio di stili architettonici e poco fuori una cava, risucchiata la collina per disastri urbani delocalizzati. si capisce che non è più irpinia perché gli uomini non hanno timore di passeggiare a torso nudo. a sera, ritrovo affetto, comprensione e favella. ogni cosa m’appare migliore. il mondo è difficile a emendarsi. eppure, il culo che c’abbiamo, è che, nel peggiore dei casi, resta sempre qualcosa da cui ripartire.

10.7.08

haiku d'artigiano

senza tremare
esamini le labbra
ai tiburtini

9.7.08

storia di un normale preicaro

ho venticinque anni. lavoro da dieci mesi. ho iniziato in stage. sei mesi. dopo il secondo, mi hanno assicurato la loro intenzione di prendermi con un contratto a tempo indeterminato, da subito, con retribuzione adeguata. guadagnavo 740 € netti. il mio stage è durato sette mesi. il nuovo contratto di apprendistato è a due anni. la retribuzione netta ammonta a 1'020 €. per nove ore di lavoro medie giornaliere (lorde). gli straordinari non sono retribuiti (dunque non detassati). un’ora di pendolare all’andata, un’ora di pendolare al ritorno. 420 € di affitto mensile. 30 € di abbonamento ATAC. i restanti 570 € per mangiare, bere, viaggiare, credere. lavorare mi piace. tra l’altro non mi resta il tempo per pensare… che la mia collega si fotte il capo.

8.7.08

voglia di volgo

ieri sera sono uscito sudaticcio dall’ufficio e un amico mi ha prestato la sua stanza per cambiarmi d’abito. ne sono uscito con un pantaloncino corto, una t-shirt dell’irlanda e le scarpe sono rimaste le stesse, le classiche. ci siamo fiondati alle terme di caracalla, alla festa dell’unità, ciao, bella invece che bella ciao, il colore verde al posto del rosso, e i pini delle terme di caracalla come quinta quieta. vasco delle luci della centrale elettrica, accompagnato alla chitarra da giorgio canali, ha sputato i suoi crampi di dolore da anno zero. poi le mascherine da morto dei ragazzi allegri non riescono a scuotermi eppure fingo di sì. acquisto l’ultimo di bianciardi. il libraio dell’usato mi dice che sarebbe inutile comprare bianciardi in meridiano, sarebbe come ammazzarlo. gli dico, guarda che è un antimeridiano, e la casa editrice non è la mondadori ma la isbn, quella con le copertine bianche e il dorso delle pagine gialle. no, niente, non la conosce. le scarpe, intanto, sono tutte polvere. senza aprire dibattiti, rincasiamo su strade umide, punteggiate dai chioschi dei paninari obesi. domani non avrò più camicie da mettere. mi rassicura (?!?) gerardo marotta su youtube, un discorso contro la privatizzazione dell’acqua che finisce in requisitoria contro i professori carrieristi, i politici cretini e il volgo di napoli che mai si è fatto popolo. amen!

7.7.08

trasformisti Vs transformer

i demitiani, per evitare un epilogo negativo, chiedono la rappresentanza in giunta in considerazione dello scenario politico cambiato dopo le elezioni, insieme alla condivisione delle indicazioni negli enti di servizio. da qui eppoi qui




un avo di berlusconi era di parolise

le strade di milano mi mordono le scarpe che mi mordono i piedi ed è un’autoafflizione tutto sommato leggera. dopo che un treno, di tutti laureati, ha prodotto idee a profusione e un ritardo clamoroso. la moleskine affonda nello zainetto neroarancione. i due telefoni nelle tasche a tracollo. la convention aziendale luccica a tempi alterni, coazione a ripetere: il servilismo, l’imborghesimento, la piccineria intellettuale. non guarirò mai dalle nebulose di pensieri scuri così come la tratta ad alta velocità mai unirà l’est con l’ovest. scopro che la mia non è passione per la scrittura. ché non sento il bisogno fisico di scrivere ma quello psicologico. motivatori cogli stivali straparlano di gruppo, di collaborazione, della fede negli obiettivi. sociologi ravellesi decantano l’ozio creativo quando questo è stato annientato dall’azienda che gli paga l’onorario tremila volte e tremila ancora. in ogni caso, non una multinazionale perché offre lavoro per intero italiani. poi la festa a tempo perso, è occasione per le giovani donne di offrirsi agli sguardi dei superiori, al solito modo delle segretariette secche, quelle che pur addette ad una mansione infima, mettiamo all’affrancatura della busta, si attaccano talmente alla questione, che lo scrivere lettere diventa processo accessorio rispetto alla loro affrancatura. uno dei gatti di vicolo dei miracoli allieta la serata smeralda ed è il momento topico in cui subentra l’ennui, in cui germina il vomito. un consulente ko mi implora di tornare su progetto. ho paura per le sorti del mondo, qui più che a scampia. conati insopprimibili sulle luci notturne di milano. la mattina, su corso como, i salumieri lucidano il selciato. il barista che mi prepara un triplo caffè esamina le curve della pancia della figlia. riesco a perdermi in metro, giallo rossa, e ventilatori che spruzzano gas bianchi, spaventevoli a vedersi, ma pare siano da refrigerio. sulla panchina di sesto rondò è bello telefonare in piedi. il soviet d’italia sbianca. il mio amico artista è una specie che va protetta, in quanto amico, in quanto artista. mi piace che si scommetta dal basso, mi piacciono la mobilità sociale, le scale mobili, la scala quaranta. meno mediobanca e i suoi giochetti da quartierone against quartierino. se solo fossimo più consapevoli, potremmo rivoltare (quantomeno) una città come un calzino. ma da solo non vado nemmeno più a vienna. la struttura urbanistica di milano è semplice e senza dossi. nel frattempo, sogno napoli e il rinascimento. mi riposo nel cortile di brera mentre ingabbiano il palazzo. napoleone benedice gli studenti svagati. io che ricamo pezzi perduti di memoria pur non trovando un cesso per pisciare. il ponte della ghisolfa è un prurito mortale. rinuncio all’aperitivo, al pianeta cavallo, per i soliti guasti gastrointestinali. poi, scopro che anche qui è un vivere di dicerie. un palazzo rosa nei pressi di piazza wagner è il contraltare del condominio di cipressi a pietralata. monza ha una buona densità umana. niente da condividere. gli umori precipitano perché si intravede il ritorno e l’agenda degli incontri, già sguarnita, è ora sgombra. domenica mattina al centro sarca non trovo la repubblica. non c’è niente che trovi più alienante del centro sarca. siamo tutti sulla stessa barca. speriamo non torni il tempo per l’arca.

1.7.08

mangiare con le mani

un senso a questa vita
passa inevitabilmente sulle mie dita

30.6.08

nomen omen


franco vittoria, nuovo presidente provinciale partito democratico

28.6.08

avellino: forme




25.6.08

del crumiro che s'appassiona al lavoro, autofottendosi

oggi pomeriggio, partecipavo ad una riunione di lavoro, col capo del mio team, il capo del mio progetto e due dirigenti del ministero in cui sto lavorando. in silenzio, prendevo appunti. si chiacchierava di più e del meno, del futuro della pubblica amministrazione, del ciclone brunetta, della deresponsabilizzazione dei manager pubblici, dei pochi incentivi per i funzionari, della spropositata preponderanza delle strutture di supporto rispetto a quelle core, della esiguità degli stipendi per il personale, della scarsa collaborazione tra le strutture dipartimentali, della necessità di un bilancio zero based budgeting invece che incrementale, dei danni dello spoils system, dell’urgenza di una politica strategica invece che demagogica, dei pregi del lungo termine contro i sussulti degli annunci, ebbene ad un certo punto, non sapevo più se quei discorsi li stavo ascoltando per davvero o meno, che un paio di brividi mi hanno scosso, perché sono le chiacchiere che voglio fare senza mai trovare il tavolo adatto. casomai, ora quello che c’è da fare, è profferire parola. ogni tanto.

22.6.08

le formiche di avellino

di recente, mi allieta fare di frequente armi e bagagli, benché le destinazioni siano sempre quelle, roma, avellino, in ping pong. questa volta col treno alta velocità che però verso aversa rallenta perché i binari non lo permettono e i subappaltatori nemmeno. nel giorno in cui il processo spartacus, dal nome dello schiavo che si rivoltò contro il senato romano, condanna all’ergastolo il boss schiavone tanto a rivoltarsi contro il senato e le istituzioni oggi c’è il capo del governo. i vicini di treno sono due manager che dopo essersi annusati per un po’, decidono che è tempo per fidarsi, e sparlano dei colleghi, della loro immoralità. ogni tanto danno uno sguardo distratto al blackberry o mi scrutano di sottecchi, abbassando la voce nei passaggi maligni più azzardati. napoli si annuncia con le prime palazzine di periferia e un cimitero sulla collina che è un gioiello. più tardi, dopo che il bus air ha sorpassato pericolosamente un incrocio di mezzi a motore incastonati, esposti allo sguardo di mille occhi sui balconi, lo raggiungiamo quel cimitero. del pianto, si chiama, s’affaccia sul golfo sul quale si specchiano il vesuvio e un milione di sofferenze e colline butterate di cave di ghiaia per produrne calcestruzzo, pilastro dell’economia criminale, poi disastro urbanistico e civile. avellino è poco oltre quelle montagne. nella galleria dell’autostrada che la annuncia chiudo gli occhi, ma questo già l’ho scritto. per scaramanzia o soltanto per l’incanto di un risveglio finora sconosciuto. ma è ancora disseminazione illogica di villette di aiuto geometra e amministratori irreprensibili solo del giardino di casa. il giorno dopo, bevo un crodino a cesinali, a spasso per il corso, che s’allunga lentamente. pure sulle sue pietre grigie è una disseminazione di gomme da masticare, che diventano puntoni neri, rifiuti che si fanno stella. il piano strategico cittadino regali ai bambini che giocano una bicicletta per tre super santos. ai vecchi che siedono sul muretto del convitto, tavoli allestiti alla conversazione. il tuo corpo mi serve per non partire continuamente da me stesso. non mi credi perché tutto questo che è intorno è una diffida a non fidarsi. ma noi siamo il nuovo e parliamo male solo all’ospedale. gli ultimi duecento metri del corso verso piazza libertà, sono interrotti dai lavori, gabbie per curiosi della messa in opera, i pedoni le aggirano remissivi, come un corteo di piccole formiche, che si limitano al loro compito e, per tutto il resto, s’affidano al volere della regina.