6.8.07

il giovane e il mare (back to 2002)

Le mani stringevano nervosamente in un pugno cumuli di sabbia che dunque ricadevano su se stessi, perdendosi, indistinti, nel mare di sabbia sottostante che si stagliava di lì a pochi metri sul mare azzurro spuma. E, a sua volta, il mare azzurro spuma, le cui onde ritmicamente sbattevano sulla battigia, si infrangeva, sulla linea dell’orizzonte, nell’azzurro pallido del tramonto. Da dove viene questa spossatezza dell’anima? Questo dolore continuo per il velo che si frappone tra l’esperienza e la comprensione delle cose? Che diavolo di importanza può avere la mia interazione col prossimo quando non distratto, inautentico, inopportuno, inane come me ma con giustifica? Posso conoscere solo le mie ragioni, forse nemmeno tutte. A mia discolpa c’è che nemmeno oso infiocchettarle in un discorso logico che pesi torti e ragioni, d’altra parte, proprio questo atteggiamento di chiusura per gli interlocutori rappresenta il massimo affronto. Per quanto mi riguarda esistono l’incomunicabilità delle parole e l’evidenza dei gesti. Ed è per questo che sono arrivato qui, al mare, a ritirare il mio pacco di umiliazione, perché il momento era propizio, il tempo di uno schiaffo in faccia, del reset traumatico da cui ripartire. Del resto sui fili del telefono già si leggeva, a chiare lettere, la fine. Nulla da spiegare, non riesco ad ascoltarti, è una lingua divenuta improvvisamente sconosciuta alle mie orecchie la tua. Io sono venuto soltanto a vedere: il corpo esanime del nostro amore, in putrefazione altroché. Forse perché non avevo ancora conosciuto la morte di persona e devo dire che l’evento in sé impressiona in modo tale da render molli i sensi, vanifica ogni reazione. Ho visto il tuo volto mutare d’espressione, deformarsi, imbruttirsi in un ghigno animalesco. Ho visto le tue bugie prender forma sulle tue labbra come bolle di sapone. Ho visto i miei passi perdere di consistenza, i miei discorsi di lucidità, i miei pianti di scorrevolezza. Nel frattempo nuvole di parole continuavano ad addensarsi sulle nostre teste, dal loro umore scaturivano momentanei riavvicinamenti, collere violentissime. Poi, persino le parole hanno cominciato a diminuire in frequenza, col tempo s’ingrossavano i silenzi, i sordi risentimenti. Ora gli occhi gonfi fissavano quella distesa immensa di acqua che incontrava un pezzo di costa qualunque. È tutto inutile, la Natura non collabora, a volte è persino meno espressiva degli uomini. Da lì ho rotto per sempre con quella donna. Ho rotto per sempre con il mare!

3.8.07

le proposte culturali dei GIOVANI per AVELLINO 2008

(perché non si creda che qui si critica ma non si propone), ecco di seguito un insieme di proposte, giovani& creative che, il prossimo agosto, ravvivano l'asfittico panorama culturale cittadino:

1) l'ECOTUNNEL: un lungo serpentone colorato che attraversi una delle arterie principali della città, in cui esporre oggettistica di design e moda ricavata dai rifiuti. Giovani creativi utilizzando scarti industriali realizzano, per lo più artigianalmente, prodotti piacevoli, finanche "alla moda" come
borse , vestiti o oggetti di arredo. L'ecodesign è divenuto, in breve tempo, la frontiera alla quale anche molte aziende del settore oggi puntano. Per saperne di più, qui;



2) Drive In Cupo di mezza estate: lì dove decine di giovani coppiette ogni sera si scambiano dolci effusioni, nell'ampio parcheggio dello stadio Partenio, proiezione trisettimanale di films, la cui visione, data una certa disposizione delle auto, è possibile da bordo, senza di fatto che sia intralciato lo scambio d'affetto di cui sopra;



3) MUSICASTELLO: programma di musica classica, jazz, rock, pop, a giorni o settimane alterne, nell'unica arena della città, piazza castello, antistante il teatro Gesualdo (possibili anche rappresentazioni teatrali all'aperto) nonché prossimo al Conservatorio Cimarosa;



4) AVELVINO IN BORGO: la festa del Vino, autentica ricchezza dell'Irpinia, che lustri a festa e riconnetta al tessuto urbano il centro storico, i suoi vicoli: ché paradossalmente tra musica popolare, balli, degustazioni enogastronomiche e tanto vino locale, a qualcuno possa tornare la memoria;

5) CHI RIDE FOTTE A CHI CHIAGNE: gigantografie in bianco e nero attaccate sui muri scrostati delle periferie dimenticate dei volti dei suoi abitanti, ritratti disperati, perplessi, depressi, di fianco gli amministratori, i politici, i potenti, naturalmente sorridenti, superbi, solari. Esempio di street art, alla maniera di quanto ha realizzato un giovane creativo francese nella striscia di gaza. L'effetto, vi assicuro, è dirompente!

2.8.07

libere considerazioni dopo partecipazione alla fronda

Ho ritrovato ad Avellino esemplari perfetti di un certo tipo di intellettuale del Sud, intelligente, pessimista, che contempla se stesso e i suoi malanni come un capitolo della storia.
Guido Piovene, Viaggio in Italia

Nel minuscolo cortile di Palazzo Greco, ieri sera, si è discusso, dinanzi ad un pubblico minuto ma attento, del Viaggio Elettorale di De Sanctis, appena ripubblicato dalla locale casa editrice Mephite. Relatori il giornalista di Repubblica Napoli, Marco Lombardi, il “paesologo”, Franco Arminio, e l’ispiratore del ciclo di incontri agostani in Via Duomo di “La città visibile. Movimento di alternativa civile” (questo era il primo appuntamento) nonché curatore del libro, Prof. Toni Iermano. Poche note di ragguaglio sul testo: nel freddo gennaio del 1875, il Professor Francesco De Sanctis, già ministro della Pubblica Istruzione nei primi governi unitari di Cavour e Ricasoli e autore della celebre storia della letteratura italiana (del 1870), attraversa il collegio di Lacedonia, la sua terra (era nato a Morra) per raccogliere il consenso attorno alla sua candidatura al Parlamento. Sarà l’occasione per descrivere le condizioni di arretratezza materiale e civile che incontra sulla sua strada e che, proprio in quegli anni, ispireranno le analisi dei meridionalisti. Il testo è ancora attuale? A parere di Marco Lombardi (cui tocca l’introduzione dell’incontro e le lodi di rito), nonostante siano mutate molte delle condizioni ambientali del tempo, rimane un “divario civile” da colmare (poi, a dir il vero, si perde quando illustra le sue ultime “odissee politiche”). Per Franco Arminio, addirittura, sarebbe necessario invitare (o costringere, addirittura) i politici locali (ma non solo) a leggere un’ora di De Sanctis al giorno, perché applicando, oggi, solo un rigo di quello che lui scriveva (centotrentadue anni fa) si otterrebbe grande beneficio. Poi si lamenta (da ipocondriaco?) della scarsa attenzione che la stampa tributa a questi eventi (ma ora ci sono i bloggers); invoca di fermarsi tutti, di riaprire una “questione De Sanctis”, un “dibattito pubblico”, reading e “rivoluzioni toponomastiche”, ché è una vergogna che lui abiti in Via Caravaggio n.1 e non in Via De Sanctis, per dire. Iermano, per finire, parte dalla ricostruzione delle sue, oramai storiche, dimissioni dalla carica di assessore alla cultura nella città capoluogo (rivela come quella fatidica sera fu in grado, per la prima volta di raggiungere casa, a piedi, senza il solito codazzo di fastidiosi questuanti, e fu un’autentica Liberazione), per concludere sui mali della politica locale, ignorante, codina, trasformista, barbara che ritiene Grandi Opere non quelle letterarie (alla De Sanctis) ma piuttosto quelle cementizie, potenzialmente portatrici di nuova distruzione morale. Insomma, c’è poco da stare allegri. Non mancano gl’intellettuali, quello che manca è lo spirito costruttivo, la convinzione, pur se dissimulata, che si possa, alla fine (del tunnel), trasformare lo stato delle cose, il “siamo solo noi” compiaciuto e improduttivo, la considerazione, profondamente errata, di cominciare la rivoluzione redimendo la testa dell’Idra di Lerna (che, guarda caso, fa capo sempre al panzer di Nusco) e solo di seguito impegnandosi a dare un’interpretazione della società attuale (dei Giovani), da cui si dimostra (forse) l’insopportabile inclinazione a vivere una sorta di complesso di inferiorità nei confronti della politique politicienne, quando si fa politica, come rappresenta la signora del pubblico che interviene (non per porre domande sul libro) ma perché rotta dall’eterno interrogativo che tormenta gli autoctoni (resto o vado via?), coi gesti quotidiani, dal condominio, dal come si sorbisce il cappuccino, al bar sotto casa (il finale è enfatico).

1.8.07

ad un passo dall'assunzione, capitombolo! pateticamente reagisce. ogni conforto lo sconforta

Ci riferiamo all’iniziativa di selezione citata in oggetto. Al riguardo Le comunichiamo che i risultati da Lei conseguiti nelle fasi finali del percorso selettivo, La collocano al di fuori degli idonei alla selezione medesima…


temo che se non mi aggrappo strenuamente con la punta della biro al foglio possa venir sbalzato di colpo in orbite lontane o peggio sprofondare nei pressi degli abissi, del nocciolo duro, magmatico, che risiede, dicono, al centro esatto della terra, tenendola insieme tutta. la comunicazione arriva dritta, capo&collo, nonostante l’attesa durasse da lungo termine e avesse paralizzato ogn’altra utile attività, congelato ogni ulteriore decisione sull’aspetto da assumere da qui a dopodomani. ora, un leggerissimo cerchio alla testa lascia deragliare liberamente i pensieri. un'eco e come se il destino si fosse ripresentato alla porta di casa, chiedendo insistentemente istruzioni sul da farsi. e io barricato dentro, incapace di affrontarlo, che attendo il momento giusto per presentarmi all’uscio, e dignitoso affrontare il suo sguardo.

26.7.07

piangere sull'epo versata

Peggio di noi non si può stare,
credimi!
L’alta marea ci porterà via,
contaci!
….
Seven! SEVEN!
È il numero degli alberi
Dio solo sa se questa città ha alberi


Canos – Verdena


Un lampo e m’accorgo che l’ombra cala nella mia stanzetta tropicale, e mi precipito alla finestra, e scorgo che la prima nuvolaglia del mese s’appresta a coprire finalmente il solleone. Nuvolaglia passeggera. Se giusto un attimo dopo i raggi m’accecano e sono costretto a distogliere lo sguardo, “la capa gira”, sbalzo di pressione, come un sacco tracollo sul letto. Sul comodino, fogli di giornale spandono il proprio odore di stampato, devo costringermi a scrivere, penso, o non imparerò mai a farlo. Ritorno a stamattina, quando ipnotizzato dalle immagini, quasi mi commuovevo alla visione delle prodezze di robybaggio, chissà se per immedesimazione. Ché ieri sera, a calcetto, ho segnato in rovesciata il goal della vita, cross lentissimo dalla sinistra, io in fuorigioco da mezz’ora, capisco che è la volta buona per provare, mi distendo a terra ad attenderlo, ne vien fuori un destro all’angolino, portiere sgomento, avversari e non basiti, degna esultanza stile “marcelo salas”. Non capiterà più. Di sport in sport, finisco col teleincollarmi alla cronaca di bulbarelli e cassani del tour de france. Mai stato un ciclista all’altezza, ne sono uno spettatore appassionato fin dai successi di indurain, accoppiata “giro&tour”. È il giorno dell’esclusione di Rasmussen, capoclassifica, non per l’ennesimo caso di positività, ma per aver nascosto alla sua squadra dove si allenava. Già ammonito dalla sua federazione e dall’UCI, per essersi sottratto, prima dell’inizio del Tour, a dei controlli antidoping, gli organizzatori della corsa hanno fatto pressioni sulla sua squadra perché si decidesse ad allontanarlo. A svelare l’errore del corridore danese è servita la testimonianza di Davide Cassani, che lo aveva visto allenarsi in Italia, sulla Marmolada (e non in Messico come aveva dichiarato). In telecronaca Cassani, ex corridore, sembra mortificato per l’accaduto e accenna ad una telefonata (con un fil di voce) di Rasmussen, ad esclusione consumata, che l’avrebbe fatto piangere. Spera che un giorno possano tornare a guardarsi negli occhi, a testa alta, senza rancore. La sua voce è alterata. Il quadro è devastante. La regia della tv francese s’attarda sui campi di girasole che voltano le spalle alla corsa dalla quale manca il giallo del primato. Non riesco a distogliere lo sguardo dal disfacimento. Peggio di noi non si può stare, credimi!

Molti mi chiedono cosa ci resto a fare, al Tour. Ci resto per raccontare quello che succede tutti i giorni, esattamente come i colleghi che in una guerra raccontano i danni collaterali, e nessuno gli chiede di andarsene dall’Afghanistan o dall’Iraq se per sbaglio è stata centrata una scuola o un mercato. Credo che questo sia il nostro lavoro, non è tornandomene che cambierei la situazione (gravissima) del ciclismo.
Se ne sentono tante, in questi giorni. Una spassosa l’ho letta su un giornale francese: “Bisognerà smettere di fare del ciclismo una metafora della vita”. Padronissimi, ma perché? Forse che nella vita non ci sono imbroglioni che vincono a mani basse? Nella vita va sempre bene agli onesti? Nella vita la competizione è leale, senza trucchi, senza raccomandazioni, senza spinte chimiche o politiche, senza complicità diffuse? Questo ciclismo è perfetto, come metafora della vita. Infatti è malato, come può ammalarsi (o drogarsi) un amico o un parente. Proprio per questo ha bisogno di presenza (di attenzione, di vigilanza) e non di lontananza.
Secondo me, nel 2008 mezzo gruppo sarà disoccupato, e anche questo è un prezzo da pagare. Ecco perché non me ne vado e spero di esserci, a Brest, nel 2008. Perché il ciclismo pulito può essere, a seconda dei punti di vista, un’utopia, una speranza, un affare, una barzelletta, o più semplicemente molte cose da raccontare. Di una giornata come quella di ieri, tanto per dire, non ci si può lamentare.

Gianni Mura, su Repubblica di oggi

25.7.07

spiattellare

credo di aver aperto un blog per intercettare i passaparola. non perdetevi l'ultimo sole!

21.7.07

cosa vuoi fare da grande?

l'abachista al mercato, il pescatore d'altura, l'entemologo sociale, il lettore forte demotivato, il malato immaginario, il caporedattore in bretelle, il cineasta ansioso, lo storiografo puntiglioso, il biografo di Mazzini, il filantropo parsimonioso, l'assistente meridionalista, il fotoreporter di pace, il freelance franco, l'imprenditore brusco, il taxista pettegolo, il ceramista solitario, il pittore naif, il politico di commissione, il viaggiatore refrattario, il barbiere filosofo, il tennista galantuomo, il ciclista da gregario, il violinista in quartetto, il gelataio "limone&fragola", il rivenditore di carta, il vigile urbano, il vagabondo di cuore, lo stivatore di Colombo, lo scompaginatore di protocolli, il portalettere dei poeti, l'ambasciatore degli umili, il cinesiologo per hobby, il fisionomista di professione, l'agricoltore scenografo, l'urbanista immaginifico, il....

18.7.07

quando girava figa da queste parti


inspiegabili rivelazioni

cazzo, se mi prendessero*
col cavallo sbizzarrito d'ombra
gratificazione senza inquadramento
ma poi prendono gli irregolari?
prendono i velleitari?
chi ha larghe vedute, almeno a parole
cento orizzonti
con cui confondersi
in cui perdersi
datemi una strada, intanto
durante il passo, prometto**,
troverei la chiave giusta!

*martedì 17 luglio 2007, a margine del colloquio di lavoro in cui ho svelato di esser un blogger
** non prometto da quando promisi di riportare dietro, il giorno dopo, il modellino ferrari preso a prestito dal mio amichetto di giochi: dovrebbe essere ancora in qualche scatolone, su in mansarda. In ogni caso...

16.7.07

salvamme 'o munno

inerpicandosi per pendenze ragguardevoli: sentieri mediterranei
il festival di musica world più importante al mondo!
(a detta dell'organizzatore)
ieri sera khaled, e il suo rai
(e se domani toccasse a me?)
gente che si scompiscia ai suoi gorgheggi
beati loro
di poco a lato, khaled fouad allam a ballar
una piccola comunità scopre la sua vocazione
coesione
ma per alcuni è tutto grazie all'onorevole!

15.7.07

resa dei conti

il comitato promotore provinciale del pd sarà composto di 65 teste (o più?). resta dunque lettera morta quanto avevo scritto in proposito. effettivamente sconto gli effetti di una ridotta "voice", manco d'influenza, insomma. sono libero di concludere che, alla luce dei fatti, i potentati locali non abbiano bene inteso le regole del gioco. e la loro ansia di partecipazione, davvero esagerata allo scopo, li spinge ad occupare qualsivoglia carica pubblica senza che, per un attimo, si fermino ad interrogarsi sulle funzioni di quella carica. il gazebo del pd allestito a piazza libertà più che alle idee della gente comune, è esposto al vento della indifferenza. auguri!

14.7.07

(rovinoso) citazionismo

la più rovinosa invasione subita dall'italia è stata quella degli italiani


ennio flaiano

13.7.07

il rischio del solipsismo in agguato dietro la lettura delle avventure di eroi solipsistici


ho urgente bisogno di raggranellare cinquantacinque monete dal valore di un euro l'una da investire prontamente sul primo meridiano dell'opera di saul bellow (1944-1959), di cui sono venuto a conoscenza oggi, un'esigenza insopprimibile, comprensibile forse solo da chi ha nei confronti di uno scrittore, di un poeta, di un artista, in senso lato di un maestro, una riconoscenza infinita perché da quell'incontro, spesse volte immaginario, è scaturita l'intuizione della profondità (talvolta declinabile in bellezza) dell'esistente.


recensione meridiano della repubblica, il corriere della sera, il giornale; ancora su bellow dal curatore della raccolta, guido fink, infine giuseppe genna


bozzetto del celebre ritrattista della new york review of books, david levine

12.7.07

il partito che è partito

si è deciso, da tempo, che il partito democratico nasca federale, promanazione politica del territorio, d'altra parte l'italia è o non è la terra dei cento, dei mille campanili? certamente lo è (si ripete da anni). così il "comitato promotore nazionale della costituente del partito democratico", il famigerato "comitato dei 45", allo stato dei fatti il massimo organismo deliberante del futuro partito, oltre al compito di individuare le regole (criticabilissime) sulla base delle quali si concorrerà il 14 ottobre per la elezione della Costituente, regole queste definite ieri notte, deve assicurarsi che i comitati provinciali avviino la fase costituente nei territori con l'obiettivo di aprire le porte alla partecipazione dei cittadini. In più, i comitati provinciali debbono svolgere funzioni di garanzia verso tutti coloro che intendono partecipare attivamente al processo. La costituzione di tali organismi territoriali (alcuni dei quali già costituiti) è oramai imminente, essendo il termine ultimo per la loro presentazione il 30 giugno. Sulla base di una regola non formalizzata, da vecchia politica, il comitato dovrebbe essere composto seguendo la regola dei tre terzi: un terzo di esponenti dei DS, un terzo della Margherita, un terzo espressione della società civile. Napoli, prima città campana ad aver nominato il suo comitato promotore provinciale, non si è accontentata di soli 45 membri, si è arrivati a più di sessanta, con l'innesto di noti esponenti della società civile, quali il comico francesco paolantoni e l'attrice lina sastri. Salerno, solitamente in controtendenza, in polemica antipartenopea (o antibassolino?), ha invece varato un comitato ristretto di cui fanno parte solo 9 elementi. Ad Avellino, intanto, fervono i preparativi. Le segreterie provinciali dei DS e della Margherita pare abbiano deciso di tener fuori dal comitato promotore gli amministratori di punta, ma non le seconde linee, distinzione oltremodo sottile. Se poi la Margherita dispone di un ampio bacino di maggiorenti locali da cui pescare, è più difficile individuare personalità della società civile. Chi, da queste parti, è sinceramente interessato al futuro del partito democratico, indipendentemente dal futuro politico della nomenklatura attuale (o strapassata) alzi la mano. In assenza di nomi, (eugenio corsi per paolantoni, sonia aquino per la sastri?), sarebbe preferibile mantenere un profilo basso, costituire, come fatto a salerno, un comitato ristretto, e aspettare che esca qualcuno fuori per la presentazione delle liste. Termine ultimo, il 21 settembre! Intanto sulla home page del sito del nascente partito, è già partito il count down!



per ulteriori informazioni, rassegna stampa , iMille, rischio regole 1 e 2

11.7.07

quando mi prendevano per massimo di prato

la mia segreteria telefonica (attiva quando ho il cellulare spento, spesso), oggi, si è riempita di messaggi vocali imploranti risposte urgenti da un certo massimo, da verifiche successive risultanti provenire dalla zona prato/montecatini terme/chianciano (prefisso +057), effettivamente voci di chiara cadenza toscana, voci di madri preoccupate, amici guasconi, donne sospettose. addirittura lo sportellista della banca (il credito popolare) esige che il nostro si faccia vivo al più presto. che l'abbia combinata davvero grossa? il leggero fastidio iniziale si tramuta in sincera apprensione. dài massimo, sei perdonato per aver scelto il mio numero di cellulare come copertura, però esci fuori, non far lo scemo...

10.7.07

ciò che i fans da tempo aspettavano

finalmente il sito ufficiale di gigione e jo, a nome del capo ditta però, ché non è tempo per i ragazzi

9.7.07

contraddizione in termini

più scrivo meno comunico
più schivo meno munifico
siam campioni del fondo!

8.7.07

nessuna spiegazione

2 febbraio 1936, anno XIV

Diario

Oggi siamo andati a fare una bella passeggiata
e siccome ci stavano i bambini di prima che
non arrivavano, abbiamo arrivati alla minieri
dello gesso. Arrivati alla miniere il maestro
ci ha fatto voltare, la quale nel ritorno,
alla cabina il maestro ci ha condotto per il mulino.
non posso dir altro perché
non ci hanno fatto nessuna spiegazione.

6.7.07

non alzo più commenti!

il paese è pieno zeppo di dietrologi, i quali sono convinti che i concorsi pubblici siano truccati, i premi letterari già assegnati, i pubblici funzionari politicamente "ammanigliati". Poichè è arduo smentire tali dicerie che, naturalmente, si fondano sul riconoscimento di evidenti dati del carattere nazionale, si aggiunga, a margine, che uno degli aspetti del suddetto carattere è appunto il vizio perdurante di delegittimare il rispetto delle regole (retorica anti Stato) dimodoché sia meno fastidioso ignorarle.

5.7.07

analisi comparata di progetti di vita

roma o morte ?

4.7.07

rosso garibaldi


3.7.07

tra gru e nocciole

Il carattere degli Irpini era indomito e fiero,
strettamente legato all'ambiente chiuso e ristretto delle montagne
e influenzato dalle difficili ed aspre condizioni di vita proprie dei pastori,
solitari e taciturni per necessità,
per cui la gente irpina era per natura diffidente e scontrosa,
ostile agli stranieri.

dalla voce irpini di wikipedia.it

salendo in città(dina)
spuntano gru gialle e nocelleti
le facciate degli edifici neutre
tutt'al più
palazzo ercolino contro torre fanzago
firmo per il referendum elettorale
ottavo della lista
accarezzo l'idea di aprire una libreria in piazza
organizzarvi, il martedì, un cenacolo
invitarvi a intrattenere uno che vive di scrittura
la libreria guida pecca da 'sto punto di vista
il titolo che gli chiedo è disponibile al punto vendita di salerno
arriverebbe dopodomani
meglio le poste
meglio salerno?
donne pettorute locali imitano nei modi matrone napoletane
giovani calvi ne bramano la bellezza
nanà la chiamammo così per via di zola?
una scritta vermiglia in terra indica il passaggio pedonale
baby pensionati osservano i lavori al corso appoggiati alle grate
(perché non consentirgli di dare una mano?)
i lavori al corso che procedono lentamente ma in trasparenza
un musicista locale allieta gli amici scarpinando su e giù per il viale
è l'organizzatore della rassegna musica in irpinia
un uomo valente può correggere le storture causate da mille ignavi
solo facile moralismo
quando si crede che basti poco per risollevare le sorti della città?
forse è proprio consapevolezza del "poco che ci vuole" a rendere tutti inermi
solo la disperazione ci smuove?

2.7.07

omaggio a meneghello

Eravamo una trentina, ora più ora meno, e infine quando fummo alla Fossetta, verso la fine di maggio, trentasei. C'erano altri reparti non lontani, il Castagna a sud e a ovest, i comunisti a est; alla mattina qualche volta li sentivamo sparare; c'erano partigiani di qua e di là, ma intendiamoci, c'era molto più Altipiano che partigiani. Il luogo era vuoto, un deserto. In certi momenti questo si sentiva forte. "Mi pare di essere nella Tebaide" dicevo a Lelio.
Cose da non dire a Antonio, private, irrazionali. Lui rappresentava ciò che è equilibrato, e non volevamo esibirgli i nostri squilibri: cose oscure, che nemmeno lui poteva schiarire.
Questa faccenda della Tebaide c'è per me in ogni altra fase della guerra, è una componente fissa; ma qui sui monti alti si sentiva tanto di più. Era il posto migliore per isolarci dall'Italia, dal mondo. Fin dal principio intendevamo bensì tentare di fare gli attivisti, reagire con la guerra e l'azione; ma anche ritirarci dalla comunità, andare in disparte. C'erano insomma due aspetti contraddittori nel nostro implicito concetto di banda: uno era che volevamo combattere il mondo, agguerrirci in qualche modo contro di esso; l'altro che volevamo sfuggirlo, ritirarci da esso come in preghiera.
Oggi si vede bene che volevamo soprattutto punirci. La parte ascetica, selvaggia, della nostra esperienza significa questo. Ci pareva confusamente che per ciò che era accaduto in Italia qualcuno dovesse almeno soffire; in certi momenti sembrava un esercizio personale di mortificazione, in altri un compito civico. Era come se dovessimo portare noi il peso dell'Italia e dei suoi guai, e del resto anche letteralmente io non ho mai portato e trasportato tanto in vita mia: farine, esplosivi, pignatte, mazzi di bombe incendiarie, munizioni. Era un cumulo grottesco. In cima a tutto c'erano le pentole soprannumerarie, la corda, gli ombrelli ripiegati dei paracadute; sotto il grande strato dei sacchi dei viveri; sotto ancora lo zaino rigonfio, pieno di calze e di palle; e sotto lo zaino, io. Avevo abbandonato ogni tentativo di tenere le membra bilanciate in modo razionale, sfruttando la struttura del nostro scheletro, che convenientemente sfruttata consente di tener su i quintali senza sforzo speciale dei muscoli. Reggevo invece tutto col puro sforzo dei muscoli e sentivo il baricentro scapparmi di qua e di là come un uccellino spaventato. Forse ce l'avrei fatta, perché il peso si assesta da sé, e un equilibrio finisce col nascere; ma Bene che mi camminava dietro, mi domandò per prendermi in giro: "Credi tu che continuerà la prosa ermetica, dopo la guerra?" e io cominciai a declamare contro questo tipo di prosa, e Vassili, che ci camminava di fianco si mise a ridere, essendoci solo sacchetti e pignatte, e questa voce concitata che usciva dal mucchio; e così anche Bene e io cominciammo a ridere, e i miei muscoli crollarono e finii in una scafa col mio carico.
C'era inoltra la sensazione di essere coinvolti in una crisi veramente radicale, non solo politica, ma quasi metafisica. Ci spaventava non tanto il collasso degli istituti, e delle meschine idee su cui era fondato il nostro mondo di prima, quanto il dubbio istintivo sulla natura ultima di ciò che c'è dietro a tutti gli istituti, la struttura della menta stessa dell'uomo, l'idea di una vita razionale, di un consorzio civile. Sentivamo la guerra come la crisi ultima, la prova, che avrebbe gettato una luce cruda non solo sul fenomeno del fascismo, ma sulla mente umana, e dunque su tutto il resto, l'educazione, la natura, la società.
Bisogna pensare che il crollo del fascismo (che ebbe luogo tra il '40 e il'42: dopo di allora era già crollato) era sembrato anche il crollo delle nostre bravure di bravi scolari e studenti, il crollo della nostra mente. Ora si vedeva chiaro quanto è ingannevole fidarsi delle proprie forze, credersi sicuri. Penso onestamente che ogni italiano che abbia un po' di sensibilità debba aver provato qualcosa di simile. Non si poteva dare la colpa al fascismo dei nostri disastri personali: era troppo comodo; e dunque pareva ingenuo credere che rimosso il fascismo tutto andrebbe a posto. Che cos'è l'Italia? che cos'è la coscienza? che cos'è la società? Dalla guerra ci aspettavamo queste e mille altre risposte, che la guerra, disgraziata, non può dare. Tutto pareva che fosse quasi un nodo, e questi nodi venivano al pettine. Che cos'è il coraggio? e la serietà, e la morte stessa? Non è più finita: che cos'è l'amore? che cos'è la donna?
Stupidaggini: non si può chiedere alla guerra che cos'è la donna; almeno quelle due o tre volte che gliel'ho chiesto io, non mi ha risposto niente. Sta il fatto che noi i nodi li vedevamo venire al pettine, e ci pareva di sentire che perfino dietro la politica, la regina delle cose, ci sono forze oscure che lei non governa. Anche il fascismo è forse collegato con queste forze oscure. Il mondo è misterioso, e questo si sente molto di più quando si vive un pezzo in mezzo ai boschi.




da I piccoli maestri, Luigi Meneghello

1.7.07

memorie di villaggi poco trafficati

We know a place where no planes go
We know a place where no ships go

(Hey!)No cars go
(Hey!) No cars go
Where we know

...

Between the click of the light and the start of the dream
Between the click of the light and the start of the dream
Between the click of the light and the start of the dream
Between the click of the light and the start of the dream

Little babies, let's go
Women and children, let's go
Old folks, let's go
Don't know where we're goin'

No car go - Arcade Fire

latrati di cani randagi o domestici per modo di dire, nutriti cogli avanzi del desco familiare, avanzi di palati che non lasciano nulla perché quotidianamente sopraffatti da una fame atavica, animalesca, che tutto ingurgita con foga che impressiona i forestieri. per strade dove non passano auto, di rado i trattori, dai motori che spandono i propri ruggiti, questi ruggiti che si rincorrono per le valli dal verde che riempie, in un niente spenti da quelli più familiari della natura. la strada che qui chiamano "via nova", non per distinguerla dalla vecchia, più probabilmente dalla stessa senza asfalto. l'asfaltatura che ricopre lo sterrato, rompe l'isolamento millenario, corrompe per sempre psicologie premoderne, l'onorevole ministro che porta il progresso a bordo dell'elicottero, immagini che trapassano le generazioni, generazioni che sfoltiscono perché si è costretti a lasciare terra e madri. la miniera chiude. il palazzo del signore, il tempo lo scortica. chi resta s'inebria colla gloria locale, per giunta mal promossa. per chi resta il dovere è quello di recuperare pezzi di memoria o adoperarsi perché questo non sia un tempo dimenticato da chi seguirà?

30.6.07

dilemma salingeriano

ma dove finiscono parcheggiati i camper d'inverno?

29.6.07

discorso ai nuovi italiani

passo, del discorso al lingotto, in cui W, in quattro e quattro = otto, riassume il senso della mia tesi di laurea alla specialistica, in maniera alquanto diretta:


E poi, penso ad un Partito democratico che lavori duramente alla riqualificazione della spesa pubblica: ogni anno, ci si scatena in una lotta durissima per limare ai margini i capitoli di spesa, in più o in meno, senza mai gettare lo sguardo sulla parte più consistente della spesa, quella che si ripete ogni anno, senza che ci si chieda se serve davvero a qualcosa. Le pubbliche amministrazioni devono invece giustificare l'utilità di tutte le somme che richiedono, non solo di quelle aggiuntive: giustificare fin dal primo euro ogni richiesta di stanziamento, valutare fino all'ultimo euro come sono stati utilizzati i soldi dei contribuenti.


Il Presidente dell'Anpi, Massimo Rendina, in un telegramma, così ha espresso il suo apprezzamento per le parole di W:


CI IMPEGNIAMO SOSTEGNO TUA PROGETTUALITA' RIVOLTA BENE COMUNE

28.6.07

eventi paranormali

alla mia casella posta da blogger, disponibile in alto a destra, giunge poco di più che sporadico spam. ma ieri sera, la rivelazione:

Da:
stefano
A:
maynardo@libero.it
Oggetto:
ho bisogno del gelatino
Ricevuto il:
26/06/07 19:18

ciao ascolta a mia figlia piace ti piace il gelatino..dove e come posso scaricarla visto che dal mio programma di musica non ci riesco

e tutto, credo, per questo vecchio post sulla mitica coppia. Come aiutare il nostro amico?

p.s. ieri sul treno bologna-roma, ho assistito, mio malgrado, alla conversazione-più-surreale-del-mese, tra il guru daniel lifschitz, pittore, scrittore e molto altro, avviato da lungo tempo su cammino neocatecumenale e giovane ciellino ammirato. Potremo mai salvarci?

26.6.07

il dispatrio

.

il sosia di nino manfredi aveva un hobby: le radio

calura insopportabile
di notte, botte di sete mi spingono al frigo
in cui mi serro
memoria del sosia di nino manfredi
il quale, a suo tempo, mi consigliò
di ricavare sollievo
bagnandomi con acqua fresca i polsi
provaci, è efficace
poi se evitassi di bere la sera prima
riesce pure meglio

24.6.07

spicciati

meglio perdere contatti in modo consistente
che contatto con la realtà circostante
dopodiché qui non si chiarisce in quale dimensione
tra la virtuale e la reale
pari i colpi e più mi difenda
studio sì, il veltronismo e la veltroeconomics
parigi e i suoi misteri
con un compasso sulla carta geografica
segno i miei spostamenti futuri
ché avellino is burning
e io (quasi) spacciato

20.6.07

qui come lì

Misuro il mio esser provinciale con la rinuncia, una volta espatriato, a voler registrare le lancette alle sopravvenute esigenze di fuso. Dopodiché lo sbarco a Lisbona fila liscio. Se non fosse per il primo di innumerevoli tassisti (la donna del punto informazioni dell’aeroporto, con cipiglio, aveva tenuto a precisare che tutti i taxi della capitale sono bianchi, e subito che ne spunta uno nero e verde mare) il quale commenta le prossime elezioni alla camera municipale, uscendosene che la politica è tutta una melma nei paesi latini, e la izquierda (la sinistra) non è più quella di una volta, è una pseudo izquierda, una izquierda di destra, per capirci. Scatarra di continuo, una brutta tosse lo affligge, ha un coincecao nel cognome, e ci porta dove indicato. Il piano è il quarto. Le coinquiline che ci ospitano sono tre. Dopo sfuggenti convenevoli, si scende in perlustrazione, si scende in città. Restiamo subito colpiti dalla presenza di moltissimi stabili abbandonati e sbrecciati, persino nella baixa. Superiamo il campo martiri della patria, pieno di galline, anatre, pavoni e ubriaconi. Più in là, statua enorme di medico guaritore, inzeppata di ex voto: devozione popolare. Primo miradouro (belvedere), prima incontro con erasmus vicentina, primo tram giallo in discesa iper ripida. Utilizzo la toilette (memoria) di un centro sociale, arredo vintage e da cui proviene musica anni ’50. All’Accademiu, lì dove non te l’aspetti, un campo da basket al terzo piano e accanto giovani donne che imparano la danza del ventre. Il palazzo dell’Alentejo. Assaggiamo (e gettiamo senza aver gradito) un pessimo liquore di ciliegia. Praca do commerco. Adamastor che dalle pagine di Ricardo Reis si trasmuta nella “piazza degli scoppati”. Fernando Pessoa, immobile dinanzi la Brazileira toglie il gusto a qualcosa. Più significativa la statua dello Chiado. Una gran brezza ci costringe al ritorno. Di sera, la prima delle feste erasmus, al muro gigantografia del topo di casa, e Ginevra in un angolo a spiegare al mio amico intontito, cos’è il desassossego, qual è il fascino della città, che può sembrare pure brutta, ma. Mai più incontrata, eppure ogni sera allungavamo il collo. Giusto avremmo desiderato descrivergli l’incanto per le scoperte dei giorni a venire. Il castello dei mori, che pure mi è costato un vaffanculo dall’italia, e certe stradine e certe macerie di alfama. Compreso un pranzo ignobile in mezzo ad un isola pedonale, nel quartiere che si preparava alla gran festa di sant’antonio, festoni sparsi ovunque, e poster giganti di artisti quali Jessica, Anna Ritta e ToZé Morais. L’Oriente di Calatrava (e altri ancora). La grigliata di erasmus italiani con barbecue approssimativo e discorso chilometrico con una tizia di alba sul tema del divorzio (sul quale c’è stato da poco un referendum in Portogallo), su veltroni e le sue chances, sul diritto alla casa, e altre cose che, dopotutto, ti tengono lontano dal mondo. Una coinquilina di fianco, riconoscendomi a stento, mi dice, sì, ma tu chi sei? Il giorno dopo, ci rendiamo conto di come le donne portoghesi soffrano, sopra la media europea, di zoppia e strabismo, forse per via dei saliscendi sconnessi e di antiche tare genetiche. Una di queste, in metro, ci chiede come sta il papa, bene, grazie, gli riporto i tuoi saluti. L’odore di muffa dei vecchi androni. Riempirsi di Superbock ché la Sagres costa un euro. Prima di arrivare a Sintra, una giovane donna ride della nostra capacità a prendere le misure con la macchina obliteratrice locale. Quasi mi innamoro della sua risata ma poi desisto. Sulla sommità del castello dei mori (un altro) ricevo telefonata dall’italia di convocazione ad un colloquio di lavoro, e se mi buttassi giù? Un sito internet conferma che un amico di famiglia è riuscito a guadagnare un assessorato divertente, così come preannunciava, orgoglioso, il figlio. Con una Seat Ibiza, in strade semi deserte, raggiungiamo prima Batalha, poi Porto (splendida al primo colpo d’occhio). Uno scazzo da brillo per una festa drum & bass, quasi compromette l’armonia. Una bevuta di porto in cantina ricompone gli animi. Coimbra, la studiosa, si presenta vuota e poco interessante. Ci lamentiamo del sorriso mancante di una patatina smile, coll’impressionante cameriera del pizza hut. Degli erasmus tedeschi ci raccolgono e ci portano all’unica festa della città. Dove siamo bravi ad imbastire, con chiunque ci capiti a tiro, un noto gioco di calcio, la “tedesca”, che scopriamo chiamano “brazileira”. Con uno spagnolo, si discute del carattere degli italiani, partendo dall’utilità del contropiede. Lui ne approfitta e mi fa una menata sulla inutilità degli scioperi generali (ce n’è stato uno in Portogallo il 30 maggio, pare grandioso). Oceano a Negres e vicino Caldas de Reinha, col cameriere amante di calcio che ci scruta quasi fossimo quello che sempre avrebbe voluto essere: un tifoso dell’italia. Di ritorno a Lisbona, la maschera di Giangi, il vicentino, che bestemmia con DIO PEPE!, brinda con CION CION!, e canta, impostato, una lacrima sul viso. Le folle oceaniche della notte del dodici giugno, vigilia di Sant’antonio, tutta Lisbona in strada, tra barrio alto fino al castello. L’alba, di nuovo sotto Adamastor, incelofanato. La tomba di Pessoa, la torre di belem, il pasteis de nada e la vacanza che corre a conclusione. Insomma molto bene, se non fosse per qualcosa da registrare. Perché è come se mancasse la parola fine. Qui come lì.

19.6.07

a (ri)leggere i quotidiani

Il sofà della camera è comodo, le molle, dopo tanti corpi che vi son seduti sopra, si sono umanizzate, formano un leggero avvallamento, e la luce della lampada sulla scrivania illumina con buona angolatura il giornale, non sembra neanche un albergo, questo, è come trovarsi a casa, in seno alla famiglia, al focolare che non ho, se mai l’avrò, sono queste le notizie della mia terra natale, e dicono, Il Presidente del Consiglio, accompagnato dalla fedele moglie Flavia, ha partecipato alla solenne inaugurazione della restaurata cattedrale di Noto, che nome curioso, non ricordo dove si trovi, ah, in Sicilia, è assolutamente splendida, più di quanto immaginassi, dichiara, mentre finge di ignorare il coro di fischi che lo attende all’arrivo ai piedi del duomo, Scandiscono slogan, urlano, Buffoni!, Venduti!, per quanti politici che si vendono, quello della politica dovrebbe essere il mercato più liquido in giro, Il monumento è il gioiello del barocco siciliano, la cupola e le navate crollarono miseramente sotto il peso dell’incuria e delle crepe aperte dal terremoto del ’90 il 13 marzo millenovecentonovantasei, novantasei, avevo dodici anni, è naturale che non ricordi, Ariano Irpino protesta contro la riapertura della discarica di Difesa Grande, giorni fa il Commissario Straordinario per l’emergenza rifiuti in Campania Guido Bertolaso, proprio ad Ariano era stato circondato mentre si trovava a bordo della propria auto dalla folla che gli aveva impedito di scendere dalla vettura, si cerca una mediazione, il sindaco Gambacorta è stato convocato a Roma, una matassa intricata questa dei rifiuti, quasi si dovrebbe affiancare al tributo di scopo (la TARSU?) ad una paganeggiante invocazione alla potenza delle scope, Parte in salita il vertice per il Documento di Programmazione Economica e Finanziaria, scontro sulle pensioni, Rifondazione Comunista si oppone, contrapposizione che si ripete da anni tanto da poter immaginare pensionati che hanno scampato i tagli per decorrenza dei termini, L’Airbus ha progettato il Super Concorde che permetterà di raggiungere New York da Parigi, in appena due ore, nel duemiladodici è previsto il primo volo, avrò ventinove anni scarsi, purché sia in grado di pagare il biglietto a cifre che toccano i duecentomila dollari secondo i calcoli attuali, purché abbia qualcosa da fare nella Grande Mela arrivandoci dalla Francia, La facoltà di Economia dell’Università di Modena e Reggio Emilia si posiziona terza nella classifica stilata dal Censis, dietro Padova e Trento, escluse le private, mangiate in un boccone, rimanere all’università senza clamore, prospettiva da cogliere subito o perdere per sempre. La pagina che riferisce tranquillamente simili orrori cade sulle ginocchia di Maynardo, addormentato. Una folata improvvisa ha fatto tremare i vetri, il caldo si abbatte con la forza di un’onda. Per le vie deserte di Roma vaga iridescente lo spirito del tempo.


Scopiazzatura di pagina del romanzo di Saramago, L’anno della Morte di Ricardo Reis

18.6.07

rebus (a progetto)

c'è che se t'allontani un attimo dalla rete, ne vieni travolto, tenti di riprendere il filo, ma i fili son cresciuti a dismisura, niente a che vedere con quanto lasciato. c'è che se t'allontani un attimo dall'italia, rientrando, guardi tutti stralunato, ogni singola (e solita) stortura nazionale con dose di disgusto potenziata, e altro che jet lag, è questione di fegato (ri)cominciare. c'è che, a rigore, dovrei raccontarvi di lisbona, porto, coimbra, joel silva e tutti i fenomeni che m'hanno accompagnato durante il viaggio in terra lusitana, ma pochi attimi fa, un tizio di modena mi ha offerto di collaborare con la sua università con un dottorato, io che vorrei il titolo quasi senza frequentare, con altre responsabilità, altri traguardi possibili. io, insomma, che più confuso, come ora, non sono stato mai. c'è chi sfida la mia sostanza, e io, costretto, a rispondere, a tono, a poca distanza.



l'avellino è in serie b, a termine di una partita sofferta, quasi mal giocata, e decisa da un gol capolavoro di un giovane panchinaro che, durante tutta la stagione, s'era distinto per il poco che ha combinato. poi il pitone mannaro ed evacuofelice hanno timbrato la festa. questo già lo sapete. volevo solo confessare che io ho festeggiato, ingannevole, con la sciarpa, biancoverde, dello sporting lisbona: a futura memoria!

6.6.07

sto un po' fuori...


...mi raccomando le piante!

3.6.07

corsi di recupero

il governatore della banca d'italia, mario draghi, nella sua relazione annuale, tra gli innumerevoli dati messi in fila, ha ricordato che un quindicenne meridionale su cinque si trova in una condizione di "povertà di conoscenze" che ne segnerà, inevitabilmente, le chances di vita future. ma c'è di più: secondo un'indagine ocse, riportata oggi da tal alessandro de nicola sul sole 24 ore, "si arriva al paradosso che il 4 affibbiato allo studente del nord vale quanto un 6 o un 7 nel sud. la capacità in matematica del primo è superiore a quella del secondo, anche se quest'ultimo ha tre voti in più."

scoprire le proprie "insufficienze a distanza"- dato per certo che il divario, nel breve torno di tempo che ci separa dai nostri anni scolastici, non sia mutato - offre la medesima sensazione del ritorno di un'eco fragorosa che riporta un insulto, per di più statisticamente dimostrato, alla nostra intelligenza e addossa un'ombra indelebile sui nostri stentati risultati scolastici. tuttavia, invece di reagire scompostamente e mostrare, con orgoglio, quel che, bene o male, sappiamo, preferiremmo di gran lunga, e da meridionali, sostenere, magari con profitto, lezioni di recupero serale nei licei del nord che volenterosamente volessero ospitarci.

29.5.07

al duck sindaco

il polo vince al nord, titola il giornale. tenesse almeno lì, l'allarme per il surriscaldamento del pianeta risulterebbe meno pressante. tralasciando i non sense, mal riusciti, e pure l'analisi del dato nazionale, che a rigor di logica non esiste, essendo un'accozzaglia di dati locali assommati spesso malamente, mi limito a commentare l'elezione comunale di Atripalda, sulla quale si è già scritto. Al Duck Laurenzano è il nuovo sindaco della città dei fiumi (espressione, quest'ultima, coniata dalla ex sindaco, ora Presidente della Provincia, Alberta de Simone). il Laurenzano in questione vince col sostegno della Margherita (di De Mita Presidente e De Mita nipote), dei DS (di Alberta de Simone), dei Socialisti Italiani e del Movimento dei Repubblicani Europei. Suo fratello, Eugenio, cinque anni fa, perse la stessa carica, candidandosi col centro destra. Al Duck è già consigliere provinciale, eletto in quota Margherita. Il suo capogruppo è De Mita nipote. Avrà dalla sua tredici consiglieri (quattro della Margherita, sette dei DS, uno dei Socialisti Italiani). L'ultimo degli eletti, il socialista italiano, ha raccolto centotrentasei preferenze. Cinque anni fa, era il candidato a sindaco dei Liberi, una lista civica che raccolse tre centinaia di voti. La lista al Centro per Atripalda disporrà di sei consiglieri. Il capolista, tal la Sala raffaele, uomo di Gerry, con i suoi centonovantuno voti, sarà costretto a contendersi l'ultimo posto disponibile con tal Strumolo Attilio, che pure ha raggiunto la stessa soglia, probabilmente a dadi, oppure a colpi di fioretto. Gerry, eventualmente, gli terrà bordone. Arturo Iaione non ha tirato come l'avversario e ha ottenuto, come voti diretti al candidato sindaco, centoquattordici x (leggi ics) in meno, che non sono sufficienti, tuttavia, a volerle sterilizzare, a colmare lo scompenso che deriva dalla somma delle preferenze ai candidati di lista. Alleanza Nazionale raccoglie cinque centinaia di voti circa, e un consigliere. Rifondazione Comunista rastrella centotredici ics, sei candidati a secco, nessun consigliere, decisamente peggio rispetto ad un lustro fa. Su venti consiglieri, una sola donna, Annunziata Palladino, detta Nancy, DS; un solo giovane, Andrea Montuori detto Daniele, DS: fuochi d'artificio!

28.5.07

23.5.07

un post per te

nel passaggio di stato da studente a inoccupato
ho messo a tacere ogni nota di rilievo
ma fra un po' risfodero l'ipod
mi tappo le orecchie con le cuffie
e parto
(devo dedicarle un post, altrimenti non ci crede)
(devo dedicarle un post, altrimenti l'occasione passa)
di quindici giorni passati meno pericolosamente non si può
scorpacciata di quotidiani al mattino
appunti distratti nel bloc di pomeriggio
birra media di media di sera
e peccati di lingua
(devo dedicarle un post, finora non è efficace)
(devo dedicarle un post, finora confusione)
vuoi star con me?
NO
vuoi uscire con me?
NO
ho mille pensieri nella testa
una mitragliata di NO che rimbomba
eppure COPS ci appassiona
nel locale preferito vuoto e buio di venerdì
a commentare la diffusione di crack in america
sottovoce come al cinema
e ai due posti di lato i gestori fanno uguale
guarda che il canone bianco epilettico t'ama
non aver paura
un post per te
non te l'aspettavi eh?
NO
so che siamo ambedue per il "facile o niente!"
ma se serriamo i denti
un accordo si trova
meno liquido
meno

21.5.07

il buon governo come utopia

ATRIPALDA – Piazza Umberto I, verso sera, è semi colma, c’è subbuglio per i comizi che, secondo molti, decideranno l’esito della sfida elettorale per le amministrative di domenica prossima. Subito un colpo di scena. Dopo l’intervento del candidato di Alleanza nazionale, gli uomini di Gerry Capaldo, riuniti sotto l’ombrello della lista civica, Al centro per Atripalda, disertano il palco. Uno dei candidati di una lista avversaria, sotto anonimato, ci confida che la defezione è dovuta al timore di quanto avrebbe poi potuto dire il più atteso di tutti, Ciriaco De Mita (l’unico, in effetti, a disporre di voce su wikipedia, persino in turco). Dopo la trasmissione di ripetute versioni della canzone popolare (quella di fossati, intervallata dalla più recente degli afterhours), e un fugace assaggio del “cielo è sempre più blu” del compianto Gaetano, si parte col comizio. Introduce, piuttosto cantilenante, ma è un must qui, una giovanissima donna, che da verifiche successive non pare essere nemmeno tra le candidate, ma è quanto di più vicino alla rupture tranquille promessa dalla lista. A farle da cornice, e solo tra i riconoscibili, o non in quarta fila, Mario Sena, L.Gesù Anzalone, il segretario provinciale del MRE, il sindaco di Avellino, Giuseppe Galasso, la presidente della provincia, Alberta De Simone, infine, apparentemente distratto sulla destra, “il Presidente”, Ciriaco De Mita. Prende la parola il candidato a Sindaco, AlDuck Laurenzano, che per fedeltà alla bandiera, ha anteposto, talvolta, la politica alla famiglia, in quanto entità non altrimenti scalfibile. Che lo accusano di essere un uomo ambizioso, ebbene sì, lo ammette, lo è, perché un uomo senza ambizioni, è senza fantasia, è un uomo piatto (rattrappito, aggiungiamo noi, colpiti dall’enfasi). Insomma, che se c’è un uomo che ha tradito, questi è Gerry Capaldo, d’altronde la Margherita è una soltanto, e la presenza del Presidente scioglie ogni dubbio. Per discutere dei problemi concreti e dei programmi, ci sarà tempo (noi no, però), perché non vuole di certo rubare tempo al prezioso parterre. Dunque, parola alla De Simone. Mentre in alto, sul balcone del secondo piano del palazzo retrostante, parecchio fatiscente, nell’ombra, una donna nerovestita, assiste rapita. Simbolicamente o meno, resterà, per tutto il tempo del comizio, il riferimento più alto della piazza. L’Alberta si rivolge, ecumenicamente, agli atripaldesi, con voce mozza, prossima alla commozione, o è solo stile? Ha molto ricevuto dalla città ma molto ha dato e ancora ha da dare. In qualità di Presidente della Provincia. Cui, lascia intendere, gioverebbe interloquire con un’amministrazione dello stesso colore. D’altronde, non è stata lei, forse a finanziare il parco archeologico, 3 milioni di euro, per l’antica Abellinum? Non è stata lei ad aprire il primo centro dell’impiego della cittadina, nei pressi del centro servizi (ed è bellissimo, assicura)? Non è stata lei a programmare il pieno recupero del fiume Sabato, corso d’acqua principale della “città dei fiumi”, così da goderne tutti? E ancora si potrebbe fare, in un’ottica sovracomunale, tanto da contare di più, e scalare più facilmente le classifiche per ottenere i finanziamenti regionali (magari comunitari). Una metropolitana leggera che colleghi avellino alla stazione, ad esempio (e atripalda?), o comunque un deciso rafforzamento delle infrastrutture di trasporto verso l’università e i due corridoi europei (ché Baronissi non ci superi in strategicità). Che si punti sulla vocazione commerciale della cittadina, sui giovani colti, preparati, intelligenti: nugoli di teste bianche approvano. Insomma, si punti su Alduck Laurenzano. Nel frattempo, è sopraggiunta una leader nazionale, mica capperi, ché la posta in palio è bella grossa. Si tratta del segretario (mai segretaria) del Movimento Repubblicano Europei, Luciana Sbarbati. Che pur partendo in sordina, non potendo nominare né il nome del paese che la ospita, né il nome del candidato sindaco che sostiene, si riprende subito, e finisce, per la geografia, come un fiume in piena. Rivendica la laicità del suo partito, non certo il laicismo sfrenato, l’assurdità delle due piazze contrapposte (San Giovanni Vs Piazza Navona), la passione che è necessaria in politica. Dopodiché, e in nome dell’interesse generale, cui ognuno dovrebbe richiamarsi, richiama pure la spinosa questione dei rifiuti (di striscio evocata da Alduck, per il quale, tutto sommato, Atripalda rimane pulita). Dai giornali appare un dramma, ma da vicino (ora che ha girato un po’ di paesi della zona) è decisamente peggio. Talvolta, non si può nemmeno immaginare di aprire le persiane, una volta spalancate le finestre. Ebbene, in nome dell’interesse generale, una classe politica consapevole dovrebbe prima decidere, poi imporre la sua decisione, anche a comunità restie ad accettare contro il loro interesse immediato, in virtù di una decadenza del concetto di politica che è un'eredità degli anni del berlusconismo (non ancora finiti). Seguono applausi. Commovente sullo scadere del suo intervento, il tentativo malriuscito, di una donna più che appariscente, di passare al segretario, un foglietto, con su scritto il nome del proprio candidato, da sparare a tutto volume alla piazza (che ottimo volano elettorale sarebbe stato), scaduto in un nulla di fatto. D’altra parte la Sbarbati, ad ascoltar il consiglio, avrebbe rischiato di danneggiare il suo secondo microfono. Dopodiché il Presidente, De Mita. Che tra lezione di politologia e aneddotica paesana (quand’ero giovanotto, mi ricordo…) crea il silenzio tutt’intorno, aggroviglia il fluire del discorso e, quasi mai, ricerca l’applauso. In primo luogo, e piuttosto sbrigativamente, mette in chiaro le ragioni del suo sì al partito democratico, ché dopotutto si rimane nel centrosinistra, sebbene sia stato, sulle prime, scettico, ma quando iniziano i processi, i percorsi, si discute insieme, si cercano le soluzioni, e solo se non convincono, si fa un passo indietro. E lui, ribadisce, nei processi (sottinteso, politici) non si tira mai indietro. Rivendica (e questo lo dice alla Sbarbati che è una laica) la sua discendenza popolare che non assume le prescrizioni della gerarchia facendone norma, ma non può prescindere dalla dimensione religiosa di ciascuno (dalla trascendenza), dai vincoli solidaristici che ne discendono (e a dispetto di chi riduce tutto a transazione, alla dimensione economica). Il tutto infarcito di digressioni impensabili. Persino all’accertata nocività della cura Di Bella. Questo per dire che mica l’agenda politica può seguire l’emotività della gente. Giammai, deve governare i processi. Come per l’emergenza rifiuti: la gente vuole che la questione si risolva (il servizio sia prestato), mentre la classe politica locale (che, en passant, ultimamente lo allarma perché sottosviluppata) si “prende” l’emergenza e lascia, in strada, i rifiuti. La politica è altro. Solo quando non si trovano soluzioni alla malattia, si ricorre alle fattucchiere (e ce n’era una a Guardia de’ Lombardi, che era una… si blocca per evitare di scadere nel vituperio). Poi, torna alla questione di Atripalda. Precisa, e mai un affondo, che è un amico della famiglia Capaldo. Una delle sorelle, all’inizio della sua carriera (quanti decenni fa) era una delle sue più accese sostenitrici. Amico del padre. Amico di Pellegrino, una delle intelligenze più vive in campo economico-finanziario, nel nostro paese. E – suspense- era e rimane amico di Gerry Capaldo. Al quale aveva offerto, la penultima volta che l’ha incontrato (e l’ultima?), al congresso regionale della Margherita, la candidatura a sindaco. Ma lui aveva tentennato, allorché, gli aveva dovuto ricordare che se non si fosse candidato, si sarebbe dovuto decidere (con enfasi estrema). Decidere il suo allontanamento? Gerry Capaldo che difende una politica del ricordo, l’aveva seguito, per amicizia, ma forse senza convinzione, nell’avventura nei popolari, e poi nella margherita. Concede all’avversario addirittura, le sue preoccupazioni, intorno al progetto del PD, sono legittime, ma passare al centrodestra, è decisamente troppo. Poi, con personaggi di dubbia risma. E allora, allarga le braccia e chiama la piazza a decidere chi tra Iaione e Alduck Laurenzano meriti di più, per qualità personali, storia politica e quanto altro. Scrosci, inevitabili, di applausi. Lista avversa, appoggiata da uomini dell’Udeur. Chiede se Mastella è venuto a chiedere voti. Gli rispondono di no. Perché si è vergognato, aggiunge sarcastico. Mastella che ricerca non il centro politico, quanto il centro famiglia. Insomma, non c’è molto da almanaccare. Basta saper lavorare (e questo non lo dice solo alla De Simone), basta saper dare risposte alla cittadinanza, e il centro sinistra (almeno qui) non può perdere. Qui, che il centrodestra esiste solo per distrazione del centrosinistra. E, ad Atripalda, dove da ragazzo, negli anni del liceo, e con i genitori che avevano un negozio di stoffe, venne a comprare un vestito (non da Passaro, come gli suggerisce la folla, che poi striglia, perché non importa). Vestito che pagò 10'000 lire, e che il padre, da esperto, riconobbe essere di buona fattura. Questo per dire che si deve scegliere, e ben scegliere, come lui fece all’epoca. Scegliere Alduck Laurenzano. Chiude e la piazza si svuota, solo un capannello intorno al Presidente. Oggi replica la lista, Al centro per Atripalda. E se c’è una cosa più giusta delle altre, tra le innumerevoli dette stasera, lo si deve, di nuovo, a De Mita, il quale se la prende con chi, tra i candidati, e leggendo i programmi e le dichiarazioni ai mezzi d’informazione, spara enormità come si candidasse alla carica di governatore del mondo, assumendo posizioni sulla guerra, la povertà nel mondo, sul rapporto stato e chiesa. In realtà, si tratta di governare una piccola cittadina, seppure è “la città dei fiumi”, governarla bene, e già sarebbe tanto, se si riuscisse a consentire a tutti di spalancare liberamente le finestre. Dietro piazza Garibaldi, giovani della Rifondazione Comunista, suonano e ballano. Nessuna eminenza grigia. Vinca il migliore?


Per cronache più minute e meglio avvertite, si legga qua e qua

15.5.07

harry e i fratelli

Ai marines stelle&strisce di stanza in iraq è stato vietato l’utilizzo di Utube e myspace e altre cianfrusaglie. Rischiavano di fornire informazioni riservate al nemico. D’altra parte, la velocità della rete telematica a disposizione della truppe occupanti risultava parecchio rallentata, ultimamente. Il principe William, immalinconito dall’ultima disavventura sentimentale, ha attivato un profilo sul network face box. Suo fratello, il simpatico Harry, ha fatto armi e bagagli, e ha raggiunto il suo battaglione al fronte iracheno. Essendo, attualmente, il terzo in linea di successione al trono, è improbabile che il Principe sia impiegato in prima linea. I terroristi/resistenti si immolerebbero volentieri per ottenere il suo scalpo. Più probabile resti in retroguardia, a smaltire il lavoro d’ufficio. Se il divieto posto per i soldati americani fosse allargato a tutte le truppe della coalizione, Harry, di fatto, non potrebbe né leggere né commentare il “muro” del fratello.

11.5.07

Per non morire da...

Credevo che a saperne di più il mio problema si sarebbe semplificato, e forse era bene completare la mia istruzione. Ma da quando ho lavorato per Robey, sono giunto alla conclusione che non potevo utilizzare nemmeno il dieci per cento di ciò che sapevo già. Ti faccio un esempio. Ho letto della tavola rotonda di re Artù, quand’ero ragazzo, ma a che mi servirà mai? Il sacrificio e gli sforzi mi hanno toccato il cuore, che dovrei fare dunque? Oppure prendi i Vangeli. Come credi di poterli mettere in pratica? Macché, non sono utilizzabili! E allora corri ad accatastarci in cima altri consigli ed altri nozioni. Qualsiasi cosa si limiti ad aggiungere nozioni che non puoi utilizzare è solo un pericolo. Comunque, ce n’è fin troppa di questa roba, ecco che cosa ho capito, troppa storia e troppa cultura da seguire, troppi particolari, troppe notizie, troppi esempi, troppe influenze, troppa gente che ti dice di essere come loro, e tutta questa enormità, abbondanza, turbolenza, questo torrente impetuoso come le cascate del Niagara. E chi dovrebbe interpretarlo? Io? Non ho abbastanza testa per padroneggiare tutto. Mi sento portar via, guarda! un uomo potrebbe passare così quaranta, cinquanta, sessant’anni entro le mura del proprio essere. E ogni grande esperienza avrebbe luogo solo entro queste pareti. E ogni conquista resterebbe entro queste pareti. E anche ogni fascino. E perfino l’odio, la mostruosità, l’invidia, il delitto, sarebbero là dentro. Questo non sarebbe che un sogno tremendo, spaventoso, dell’esistenza. È meglio scavar fossi e prendere gli altri a badilate piuttosto che morire fra quelle quattro mura.

da Le avventure di Augie March – Saul Bellow

La fototessera digitale, altrimenti detta badge, che, consentendomi di superare il posto di guardia degli uscieri in armi, mi permette di entrare, immune, nel campus universitario, ha una seconda funzione, sconosciuta ai più, benché utilissima, o quantomeno lo è stata per la “mia educazione”. Durante la sessione di esami, quando altrove la tensione scalfisce la tranquillità degli studenti, per chi non se la sente di affrontare l’incertezza del confronto col cattedratico di turno, la nostra benemerita istituzione accademica offre pacchetti vantaggiosi, 3 (esami)x 2, e via dicendo, a seconda delle ambizioni di media e di carriera, a seconda della generosità di ciascuno. È proprio il codice a dieci cifre del badge, che opportunamente digitato sul touch-screen del sottoscala che offre l’accesso al famigerato caveaux, dove un uomo della segreteria, impeccabilmente vestito, conclude la transazione, consultando tariffari e aggiornando registri. Il giorno dopo, l’esame vero e proprio passa via liscio, il professore firma il libretto ligio, tu esci fuori e sorridi al vento. Peccato per chi biasima solo perché ne resta fuori!

Un’aula smisurata così non l’avevo mai vista. Forse perché non si trattava di un’aula. Eravamo ad uno dei padiglioni della fiera di roma: migliaia di banchi, matite, teste. Tre giorni dopo l’undici settembre, affrontavamo, smilzi, il test d’ingresso per l’università. Il numero chiuso impediva all’intera massa frignante di entrarvi a mani basse e a mani basse prendere. Da parte mia, tormento (o tormentone dei primi mesi): tentativo abborracciato di scansare nullafacenza certa, risucchiato com’ero dai doveri di un futuro da qualcosa. Ma poi, e prevedibilmente, il “tanto per provare” bastò. Certo per un pelo. Perché a metà prova, pensai m’avanzasse tempo per guardarmi intorno e godermi quel dannato lavorio di sospetti brocchi, fieri di arrivare. E nel rimanere indietro, ritrovavo il gusto di metter in sospensione un’adesione mai accreditata. Dei minuti finali ce ne tolsero tre, ché la voce già malferma del rettore ci chiamò al silenzio per le vittime del disastro delle torri. Dacché io riflettei che il continuare a scrivere non m’impediva di rispettare quella richiesta. Pochi secondi e un paio di attendenti si avventarono contro la mia persona e per poco non ne fui cacciato, da subito. Pochi giorni e i caccia americani cominciarono i bombardamenti sull’afghanistan. Pochi giorni e si chiuse una, breve, stagione di speranza.

Innanzi al portone sbarrato della sala colonne, all’interno della quale, solerte, la commissione d’esame decide la mia sorte, emetto sudore copiosamente, mi mangio le labbra nervosamente. Sono stato il primo della giornata ad essere chiamato dentro. Non volevano neppure che leggessi le mie sporche slides. Il mio relatore m’ha subito intimato di arrivare alle conclusioni del lavoro. Poi, poiché m’attardavo a recuperare il discorso, sapientemente preparato, mi ha assestato una domanda sulla contabilità nazionale, di cui tardo a comprendere la potenziale portata. Ma nonostante i miei voli pindarici, approvavano entusiasti, si davano di gomito, fossi capitato in un manicomio? Fuori, riprendo alla memoria quello che è successo, mentre intorno, i pochi sopraggiunti, mi incitano, mi rassicurano, mi detergono la fronte. Un uomo, tarchiato e col pizzetto, tirato in lucido e dal pesante accento siciliano, mi si para davanti e mi chiede di dipingergli la scena. Gli sbiascico due parole, poi, evidentemente, visto che non ne ho più, mi presenta la referenza, è il padre di w.g., mica cazzi. Avrei dovuto essere più gentile. Ma il tempo è poco. Si aprono i battenti. Gli uomini in toga sono lì ad attendermi. Gli uomini in toga sono tutti in piedi. ‘Fanculo a tutti!

Senza personaggi così, la teoria secondo la quale, tutto sommato, la mia università, a livello faunistico, non si differenzi molto dalle altre, perderebbe il suo peso specifico. C’è da obiettare che gran parte dei “personaggi così”, a tempo debito, si sono ritirati, si sono insabbiati, al meglio, si sono lasciati sfilare, oberati da esami, a loro detta, insostenibili. I primi due che conobbi, per esempio, in una mattina di ottobre, vecchia un secolo oramai: il palermitano indolente che soffriva di saudade e, forse, abbandonò l’idea di studiare già prima di salire. Con cui elaborammo sapidi scherzi verbali, durante le lezioni infinite del primo anno, in aule gremite e, dunque, con obiettivi mobili in abbondanza. E a.p., casco di capelli, primi anni novanta, di anzio, tifosissimo della roma, e di una puntualità che lasciava intendere un desiderio di non deludere le attese. O ancora, l’ascolano filosofo, con lunga coda di cavallo, con cui conversavamo, tra il colto ed il ridicolo, nel parchetto, di come tutto lì intorno ci stesse riducendo come in una batteria per polli. Di lì a poco sparì. In una batteria per polli la sorte peggiore spetta al pollo soppresso o al pollo riprogrammato?

Sino al giorno, in cui, smarritomi per una storia d’amore andata a male, capii l’importanza di calibrare bene i miei passi e sostituii una mia vecchia teoria - per la quale era inutile conservare, nella rubrica telefonica, i numeri di coloro che ritenevo avrei perso facilmente lungo la strada – con una nuova, ancora non accantonata, in cui mi sarei tappato il naso e sarei stato più attento alle pubbliche relazioni. Tanto da finire, da osservatore, a gozzovigliare ad una tipica festicciola (universitaria) del giovedì, dall’altra parte del tevere, assediato dalla gioventù che di giorno, accuratamente, evitavo, e prendere il mio look come un’attenuante. Oppure al cinema d’essai, di domenica, accanto alla chiesa - da cui, dopo la funzione del pomeriggio, defluiscono sciami di giovani benpensanti e illibati – a godersi pellicole armene, ultime a cannes, di bianco immacolato e silenzio rimbombante. Poi, chiudere la serata con un passito, col giornale del giorno dopo, che ti annerisce i polpastrelli e appaga il tuo bisogno di informazione, forse già prima di leggerlo. Il giorno successivo, lo stesso giornale, nell’aula otto, avrebbe scatenato il solito dibattito sul “giornalismo schierato”, sull’italietta della malora.

I commenti successivi:
◙ Sei stato un po’ arrogante col professore, se mi permetti, l.
◙ Io non posso chiedere niente a te, tu niente a me, l.
◙ Non vedi l’ora che finisce tutto, eh? Da vero anti-social!, f.
◙ Ubriacati, sbracati, impazzisci, r.
◙ Mi devo un po’ riprendere dalla giornata, a.
◙ Ora non ci vedremo mai più, vero? M.
◙ Lo sai che sei un grande? Prendi per culo e parli in faccia, f.
◙ Fai finta di essere affettuoso, m.
◙ Ora ho capito perché tuo fratello ha sempre preso le mazzate, p.
◙ Grande!, g.
◙ Se verrai a trovarmi, tortellini, f.
◙ Ho sbagliato numero. Comunque, auguri!, a.
◙ Ovviamente, con il massimo?, g.
◙ Non sono venuto ché si è rotta la centralina dell’auto, q.
◙ Vado via ché devo mandare una mail al professore, s.
◙ Stai tornando (magro) come una volta, g.
◙ Ti conviene rimanere qui; fai una vita diversa, no?, s.
◙ Ora raccogli tutte le occasioni: lavorolavoro!, m.
◙ Ora, sei passato di status, l.
◙ Bell’ambasciatore!, f.

Niente è stato uguale all’ultimo anno universitario. Tra mensa, aule studio, biblioteca, per la prima volta mi sono sentito parte del tran tran quotidiano, quasi fossi uno studente normalizzato. Proprio quando gli esami erano finiti, o quantomeno si cercava ogni genere di giustificazione per cercare il modo di non accelerare, senza esser mazzolati finanziariamente dalla scure che si abbatte sui fuoricorso. Ci siamo riusciti. Eppure, è finita. Ci teneva stretti il timore di perdere la parte più preziosa della nostra giovinezza. Sbagliavamo. Difficile abolire il tempo per i rimpianti ma, almeno, non bisognerebbe programmarlo con largo anticipo. Ora, col culo scoperto, cercheremo di non deluderci, di non soffrire troppo per i successi annunciati di chi, finora nostro simile, ne anellerà di sostanziosi, e a catena, ma svendendosi anima e corpo. Saremo ancora in cerca dei maestri di vita, che la nostra università, pure a pagarla oro, o forse proprio per questo, non è stata in grado di offrirci. Cercheremo di scoprire chi siamo, e se l’imprinting universitario si rivelerà una falla o una arma. In ogni caso, dovremmo ringraziare per sempre, le maschere che hanno allietato le nostre lunghe giornate: l’usciere rauco e l’usciere capellone, il vigilantes capo e il vigilantes scemo, il professore in bermuda e il professore balbuziente, la bibliotecaria assillante e la bibliotecaria ammiccante, infine, posterina, per l’ispirazione.

Ore nove e un quarto: preciso come uno svizzero. A sei giorni dalla discussione, devo presentare il lavoro, rilegato, al professore sgusciante. Prima, vado a prelevare il suo assistente, che, fedelmente, o finto tale, mi ha seguito in questi mesi, e che arriva, in ritardo, già trafelato. È bell’in tiro. Non vorrei che, come l’altra volta, fosse, in presenza del professore, più a disagio di me, fino a biascicare le frasi, a dimenticare l’essenziale. Mi offre subito un caffè, mentre sputa fango sulle amministrazioni regionali. Poi, prendiamo di corsa un taxi a via delle province. Dobbiamo raggiungere il Professore, che ha un consiglio di amministrazione al quartiere Parioli. L’assistente comincia ad armeggiare col contenuto della sua borsa, in cerca di un foglietto su cui ha appuntato la scaletta della mia tesi e altre informazioni preliminari da presentare al cospetto del Professore. Comincia a sudare. Di buona volontà, gli dico che potremmo riscrivere il tutto e, tremolante per gli scossoni dell’andatura, stilo l’elenco. Nel frattempo, il taxista, intruppatosi nel traffico, chiede la strada ad un rom, di turno al semaforo. Ne ottiene una scrollata di spalle dispiaciuta. Fortunosamente arrivati a destinazione, si fa ironia sui prezzi degli attici in zona. Dopodiché con manovra repentina, l’assistente mi lascia giù ad aspettare, perché non è il caso, perché non ce n’è bisogno. Finisco per passeggiare nervosamente, superando vecchiette smancerose con cani e giovani uomini impettiti. L’assistente scende dopo cinquanta minuti, colla battuta pronta: “trovato qualche appartamentino interessante?”. Scende pure con una fame dannata, si sbafa tre tramezzini in pochi secondi, poi si conversa di letteratura, di egitto e di Lisbona, di kharma personale e di vino locale. Scopro che ha una manciata di cognati. Entra nel tram e paga il biglietto. Io glielo timbro ma proseguo nella corsa da portoghese. Se salisse il controllore, mi pagherebbe la multa? Dalle parti di villa torlonia, mi lascia ripetere il discorsetto, e, conveniamo, che l’affanno si compensi coll’emozione del giorno a venire. Lo convinco, ma credo basti poco. Di nuovo, sotto casa sua, mi strattona con presa da basket player u.s.a., e mi incita, “spaccagli il culo, a questi, vecchi, rincoglioniti ed eterni!”. C’avrei provato, non m’hanno dato nemmeno il tempo. Si accomodi, grazie!