6.8.07
3.8.07
le proposte culturali dei GIOVANI per AVELLINO 2008
1) l'ECOTUNNEL: un lungo serpentone colorato che attraversi una delle arterie principali della città, in cui esporre oggettistica di design e moda ricavata dai rifiuti. Giovani creativi utilizzando scarti industriali realizzano, per lo più artigianalmente, prodotti piacevoli, finanche "alla moda" come borse , vestiti o oggetti di arredo. L'ecodesign è divenuto, in breve tempo, la frontiera alla quale anche molte aziende del settore oggi puntano. Per saperne di più, qui;
2) Drive In Cupo di mezza estate: lì dove decine di giovani coppiette ogni sera si scambiano dolci effusioni, nell'ampio parcheggio dello stadio Partenio, proiezione trisettimanale di films, la cui visione, data una certa disposizione delle auto, è possibile da bordo, senza di fatto che sia intralciato lo scambio d'affetto di cui sopra;
3) MUSICASTELLO: programma di musica classica, jazz, rock, pop, a giorni o settimane alterne, nell'unica arena della città, piazza castello, antistante il teatro Gesualdo (possibili anche rappresentazioni teatrali all'aperto) nonché prossimo al Conservatorio Cimarosa;
4) AVELVINO IN BORGO: la festa del Vino, autentica ricchezza dell'Irpinia, che lustri a festa e riconnetta al tessuto urbano il centro storico, i suoi vicoli: ché paradossalmente tra musica popolare, balli, degustazioni enogastronomiche e tanto vino locale, a qualcuno possa tornare la memoria;
5) CHI RIDE FOTTE A CHI CHIAGNE: gigantografie in bianco e nero attaccate sui muri scrostati delle periferie dimenticate dei volti dei suoi abitanti, ritratti disperati, perplessi, depressi, di fianco gli amministratori, i politici, i potenti, naturalmente sorridenti, superbi, solari. Esempio di street art, alla maniera di quanto ha realizzato un giovane creativo francese nella striscia di gaza. L'effetto, vi assicuro, è dirompente!
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2.8.07
libere considerazioni dopo partecipazione alla fronda
Guido Piovene, Viaggio in Italia
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1.8.07
ad un passo dall'assunzione, capitombolo! pateticamente reagisce. ogni conforto lo sconforta
temo che se non mi aggrappo strenuamente con la punta della biro al foglio possa venir sbalzato di colpo in orbite lontane o peggio sprofondare nei pressi degli abissi, del nocciolo duro, magmatico, che risiede, dicono, al centro esatto della terra, tenendola insieme tutta. la comunicazione arriva dritta, capo&collo, nonostante l’attesa durasse da lungo termine e avesse paralizzato ogn’altra utile attività, congelato ogni ulteriore decisione sull’aspetto da assumere da qui a dopodomani. ora, un leggerissimo cerchio alla testa lascia deragliare liberamente i pensieri. un'eco e come se il destino si fosse ripresentato alla porta di casa, chiedendo insistentemente istruzioni sul da farsi. e io barricato dentro, incapace di affrontarlo, che attendo il momento giusto per presentarmi all’uscio, e dignitoso affrontare il suo sguardo.
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31.7.07
la crisi stagionale nel mercato delle badanti ucraine: dove investire!
da Piccola posta, di Steno (1955)
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26.7.07
piangere sull'epo versata
Peggio di noi non si può stare,
credimi!
L’alta marea ci porterà via,
contaci!
….
Seven! SEVEN!
È il numero degli alberi
Dio solo sa se questa città ha alberi
Canos – Verdena
Un lampo e m’accorgo che l’ombra cala nella mia stanzetta tropicale, e mi precipito alla finestra, e scorgo che la prima nuvolaglia del mese s’appresta a coprire finalmente il solleone. Nuvolaglia passeggera. Se giusto un attimo dopo i raggi m’accecano e sono costretto a distogliere lo sguardo, “la capa gira”, sbalzo di pressione, come un sacco tracollo sul letto. Sul comodino, fogli di giornale spandono il proprio odore di stampato, devo costringermi a scrivere, penso, o non imparerò mai a farlo. Ritorno a stamattina, quando ipnotizzato dalle immagini, quasi mi commuovevo alla visione delle prodezze di robybaggio, chissà se per immedesimazione. Ché ieri sera, a calcetto, ho segnato in rovesciata il goal della vita, cross lentissimo dalla sinistra, io in fuorigioco da mezz’ora, capisco che è la volta buona per provare, mi distendo a terra ad attenderlo, ne vien fuori un destro all’angolino, portiere sgomento, avversari e non basiti, degna esultanza stile “marcelo salas”. Non capiterà più. Di sport in sport, finisco col teleincollarmi alla cronaca di bulbarelli e cassani del tour de france. Mai stato un ciclista all’altezza, ne sono uno spettatore appassionato fin dai successi di indurain, accoppiata “giro&tour”. È il giorno dell’esclusione di Rasmussen, capoclassifica, non per l’ennesimo caso di positività, ma per aver nascosto alla sua squadra dove si allenava. Già ammonito dalla sua federazione e dall’UCI, per essersi sottratto, prima dell’inizio del Tour, a dei controlli antidoping, gli organizzatori della corsa hanno fatto pressioni sulla sua squadra perché si decidesse ad allontanarlo. A svelare l’errore del corridore danese è servita la testimonianza di Davide Cassani, che lo aveva visto allenarsi in Italia, sulla Marmolada (e non in Messico come aveva dichiarato). In telecronaca Cassani, ex corridore, sembra mortificato per l’accaduto e accenna ad una telefonata (con un fil di voce) di Rasmussen, ad esclusione consumata, che l’avrebbe fatto piangere. Spera che un giorno possano tornare a guardarsi negli occhi, a testa alta, senza rancore. La sua voce è alterata. Il quadro è devastante. La regia della tv francese s’attarda sui campi di girasole che voltano le spalle alla corsa dalla quale manca il giallo del primato. Non riesco a distogliere lo sguardo dal disfacimento. Peggio di noi non si può stare, credimi!
Molti mi chiedono cosa ci resto a fare, al Tour. Ci resto per raccontare quello che succede tutti i giorni, esattamente come i colleghi che in una guerra raccontano i danni collaterali, e nessuno gli chiede di andarsene dall’Afghanistan o dall’Iraq se per sbaglio è stata centrata una scuola o un mercato. Credo che questo sia il nostro lavoro, non è tornandomene che cambierei la situazione (gravissima) del ciclismo.
Se ne sentono tante, in questi giorni. Una spassosa l’ho letta su un giornale francese: “Bisognerà smettere di fare del ciclismo una metafora della vita”. Padronissimi, ma perché? Forse che nella vita non ci sono imbroglioni che vincono a mani basse? Nella vita va sempre bene agli onesti? Nella vita la competizione è leale, senza trucchi, senza raccomandazioni, senza spinte chimiche o politiche, senza complicità diffuse? Questo ciclismo è perfetto, come metafora della vita. Infatti è malato, come può ammalarsi (o drogarsi) un amico o un parente. Proprio per questo ha bisogno di presenza (di attenzione, di vigilanza) e non di lontananza.
Secondo me, nel 2008 mezzo gruppo sarà disoccupato, e anche questo è un prezzo da pagare. Ecco perché non me ne vado e spero di esserci, a Brest, nel 2008. Perché il ciclismo pulito può essere, a seconda dei punti di vista, un’utopia, una speranza, un affare, una barzelletta, o più semplicemente molte cose da raccontare. Di una giornata come quella di ieri, tanto per dire, non ci si può lamentare.
Gianni Mura, su Repubblica di oggi
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25.7.07
spiattellare
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21.7.07
cosa vuoi fare da grande?
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18.7.07
inspiegabili rivelazioni
*martedì 17 luglio 2007, a margine del colloquio di lavoro in cui ho svelato di esser un blogger
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16.7.07
salvamme 'o munno
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15.7.07
resa dei conti
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14.7.07
(rovinoso) citazionismo
ennio flaiano
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13.7.07
il rischio del solipsismo in agguato dietro la lettura delle avventure di eroi solipsistici
recensione meridiano della repubblica, il corriere della sera, il giornale; ancora su bellow dal curatore della raccolta, guido fink, infine giuseppe genna
bozzetto del celebre ritrattista della new york review of books, david levine
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12.7.07
il partito che è partito
per ulteriori informazioni, rassegna stampa , iMille, rischio regole 1 e 2
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11.7.07
quando mi prendevano per massimo di prato
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10.7.07
ciò che i fans da tempo aspettavano
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9.7.07
contraddizione in termini
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8.7.07
nessuna spiegazione
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7.7.07
6.7.07
non alzo più commenti!
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5.7.07
analisi comparata di progetti di vita
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4.7.07
3.7.07
tra gru e nocciole
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2.7.07
omaggio a meneghello
da I piccoli maestri, Luigi Meneghello
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1.7.07
memorie di villaggi poco trafficati
We know a place where no ships go
(Hey!)No cars go
(Hey!) No cars go
Where we know
...
Between the click of the light and the start of the dream
Between the click of the light and the start of the dream
Between the click of the light and the start of the dream
Between the click of the light and the start of the dream
Little babies, let's go
Women and children, let's go
Old folks, let's go
Don't know where we're goin'
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30.6.07
dilemma salingeriano
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29.6.07
discorso ai nuovi italiani
Il Presidente dell'Anpi, Massimo Rendina, in un telegramma, così ha espresso il suo apprezzamento per le parole di W:
CI IMPEGNIAMO SOSTEGNO TUA PROGETTUALITA' RIVOLTA BENE COMUNE
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28.6.07
eventi paranormali
Da:
A:
maynardo@libero.it
ho bisogno del gelatino
26/06/07 19:18
ciao ascolta a mia figlia piace ti piace il gelatino..dove e come posso scaricarla visto che dal mio programma di musica non ci riesco
e tutto, credo, per questo vecchio post sulla mitica coppia. Come aiutare il nostro amico?
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26.6.07
il sosia di nino manfredi aveva un hobby: le radio
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24.6.07
spicciati
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20.6.07
qui come lì
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19.6.07
a (ri)leggere i quotidiani
Scopiazzatura di pagina del romanzo di Saramago, L’anno della Morte di Ricardo Reis
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18.6.07
rebus (a progetto)
l'avellino è in serie b, a termine di una partita sofferta, quasi mal giocata, e decisa da un gol capolavoro di un giovane panchinaro che, durante tutta la stagione, s'era distinto per il poco che ha combinato. poi il pitone mannaro ed evacuofelice hanno timbrato la festa. questo già lo sapete. volevo solo confessare che io ho festeggiato, ingannevole, con la sciarpa, biancoverde, dello sporting lisbona: a futura memoria!
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6.6.07
3.6.07
corsi di recupero
scoprire le proprie "insufficienze a distanza"- dato per certo che il divario, nel breve torno di tempo che ci separa dai nostri anni scolastici, non sia mutato - offre la medesima sensazione del ritorno di un'eco fragorosa che riporta un insulto, per di più statisticamente dimostrato, alla nostra intelligenza e addossa un'ombra indelebile sui nostri stentati risultati scolastici. tuttavia, invece di reagire scompostamente e mostrare, con orgoglio, quel che, bene o male, sappiamo, preferiremmo di gran lunga, e da meridionali, sostenere, magari con profitto, lezioni di recupero serale nei licei del nord che volenterosamente volessero ospitarci.
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29.5.07
al duck sindaco
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28.5.07
23.5.07
un post per te
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21.5.07
il buon governo come utopia
Per cronache più minute e meglio avvertite, si legga qua e qua
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15.5.07
harry e i fratelli
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11.5.07
Per non morire da...
da Le avventure di Augie March – Saul Bellow
La fototessera digitale, altrimenti detta badge, che, consentendomi di superare il posto di guardia degli uscieri in armi, mi permette di entrare, immune, nel campus universitario, ha una seconda funzione, sconosciuta ai più, benché utilissima, o quantomeno lo è stata per la “mia educazione”. Durante la sessione di esami, quando altrove la tensione scalfisce la tranquillità degli studenti, per chi non se la sente di affrontare l’incertezza del confronto col cattedratico di turno, la nostra benemerita istituzione accademica offre pacchetti vantaggiosi, 3 (esami)x 2, e via dicendo, a seconda delle ambizioni di media e di carriera, a seconda della generosità di ciascuno. È proprio il codice a dieci cifre del badge, che opportunamente digitato sul touch-screen del sottoscala che offre l’accesso al famigerato caveaux, dove un uomo della segreteria, impeccabilmente vestito, conclude la transazione, consultando tariffari e aggiornando registri. Il giorno dopo, l’esame vero e proprio passa via liscio, il professore firma il libretto ligio, tu esci fuori e sorridi al vento. Peccato per chi biasima solo perché ne resta fuori!
Un’aula smisurata così non l’avevo mai vista. Forse perché non si trattava di un’aula. Eravamo ad uno dei padiglioni della fiera di roma: migliaia di banchi, matite, teste. Tre giorni dopo l’undici settembre, affrontavamo, smilzi, il test d’ingresso per l’università. Il numero chiuso impediva all’intera massa frignante di entrarvi a mani basse e a mani basse prendere. Da parte mia, tormento (o tormentone dei primi mesi): tentativo abborracciato di scansare nullafacenza certa, risucchiato com’ero dai doveri di un futuro da qualcosa. Ma poi, e prevedibilmente, il “tanto per provare” bastò. Certo per un pelo. Perché a metà prova, pensai m’avanzasse tempo per guardarmi intorno e godermi quel dannato lavorio di sospetti brocchi, fieri di arrivare. E nel rimanere indietro, ritrovavo il gusto di metter in sospensione un’adesione mai accreditata. Dei minuti finali ce ne tolsero tre, ché la voce già malferma del rettore ci chiamò al silenzio per le vittime del disastro delle torri. Dacché io riflettei che il continuare a scrivere non m’impediva di rispettare quella richiesta. Pochi secondi e un paio di attendenti si avventarono contro la mia persona e per poco non ne fui cacciato, da subito. Pochi giorni e i caccia americani cominciarono i bombardamenti sull’afghanistan. Pochi giorni e si chiuse una, breve, stagione di speranza.
Innanzi al portone sbarrato della sala colonne, all’interno della quale, solerte, la commissione d’esame decide la mia sorte, emetto sudore copiosamente, mi mangio le labbra nervosamente. Sono stato il primo della giornata ad essere chiamato dentro. Non volevano neppure che leggessi le mie sporche slides. Il mio relatore m’ha subito intimato di arrivare alle conclusioni del lavoro. Poi, poiché m’attardavo a recuperare il discorso, sapientemente preparato, mi ha assestato una domanda sulla contabilità nazionale, di cui tardo a comprendere la potenziale portata. Ma nonostante i miei voli pindarici, approvavano entusiasti, si davano di gomito, fossi capitato in un manicomio? Fuori, riprendo alla memoria quello che è successo, mentre intorno, i pochi sopraggiunti, mi incitano, mi rassicurano, mi detergono la fronte. Un uomo, tarchiato e col pizzetto, tirato in lucido e dal pesante accento siciliano, mi si para davanti e mi chiede di dipingergli la scena. Gli sbiascico due parole, poi, evidentemente, visto che non ne ho più, mi presenta la referenza, è il padre di w.g., mica cazzi. Avrei dovuto essere più gentile. Ma il tempo è poco. Si aprono i battenti. Gli uomini in toga sono lì ad attendermi. Gli uomini in toga sono tutti in piedi. ‘Fanculo a tutti!
Senza personaggi così, la teoria secondo la quale, tutto sommato, la mia università, a livello faunistico, non si differenzi molto dalle altre, perderebbe il suo peso specifico. C’è da obiettare che gran parte dei “personaggi così”, a tempo debito, si sono ritirati, si sono insabbiati, al meglio, si sono lasciati sfilare, oberati da esami, a loro detta, insostenibili. I primi due che conobbi, per esempio, in una mattina di ottobre, vecchia un secolo oramai: il palermitano indolente che soffriva di saudade e, forse, abbandonò l’idea di studiare già prima di salire. Con cui elaborammo sapidi scherzi verbali, durante le lezioni infinite del primo anno, in aule gremite e, dunque, con obiettivi mobili in abbondanza. E a.p., casco di capelli, primi anni novanta, di anzio, tifosissimo della roma, e di una puntualità che lasciava intendere un desiderio di non deludere le attese. O ancora, l’ascolano filosofo, con lunga coda di cavallo, con cui conversavamo, tra il colto ed il ridicolo, nel parchetto, di come tutto lì intorno ci stesse riducendo come in una batteria per polli. Di lì a poco sparì. In una batteria per polli la sorte peggiore spetta al pollo soppresso o al pollo riprogrammato?
Sino al giorno, in cui, smarritomi per una storia d’amore andata a male, capii l’importanza di calibrare bene i miei passi e sostituii una mia vecchia teoria - per la quale era inutile conservare, nella rubrica telefonica, i numeri di coloro che ritenevo avrei perso facilmente lungo la strada – con una nuova, ancora non accantonata, in cui mi sarei tappato il naso e sarei stato più attento alle pubbliche relazioni. Tanto da finire, da osservatore, a gozzovigliare ad una tipica festicciola (universitaria) del giovedì, dall’altra parte del tevere, assediato dalla gioventù che di giorno, accuratamente, evitavo, e prendere il mio look come un’attenuante. Oppure al cinema d’essai, di domenica, accanto alla chiesa - da cui, dopo la funzione del pomeriggio, defluiscono sciami di giovani benpensanti e illibati – a godersi pellicole armene, ultime a cannes, di bianco immacolato e silenzio rimbombante. Poi, chiudere la serata con un passito, col giornale del giorno dopo, che ti annerisce i polpastrelli e appaga il tuo bisogno di informazione, forse già prima di leggerlo. Il giorno successivo, lo stesso giornale, nell’aula otto, avrebbe scatenato il solito dibattito sul “giornalismo schierato”, sull’italietta della malora.
I commenti successivi:
◙ Sei stato un po’ arrogante col professore, se mi permetti, l.
◙ Io non posso chiedere niente a te, tu niente a me, l.
◙ Non vedi l’ora che finisce tutto, eh? Da vero anti-social!, f.
◙ Ubriacati, sbracati, impazzisci, r.
◙ Mi devo un po’ riprendere dalla giornata, a.
◙ Ora non ci vedremo mai più, vero? M.
◙ Lo sai che sei un grande? Prendi per culo e parli in faccia, f.
◙ Fai finta di essere affettuoso, m.
◙ Ora ho capito perché tuo fratello ha sempre preso le mazzate, p.
◙ Grande!, g.
◙ Se verrai a trovarmi, tortellini, f.
◙ Ho sbagliato numero. Comunque, auguri!, a.
◙ Ovviamente, con il massimo?, g.
◙ Non sono venuto ché si è rotta la centralina dell’auto, q.
◙ Vado via ché devo mandare una mail al professore, s.
◙ Stai tornando (magro) come una volta, g.
◙ Ti conviene rimanere qui; fai una vita diversa, no?, s.
◙ Ora raccogli tutte le occasioni: lavorolavoro!, m.
◙ Ora, sei passato di status, l.
◙ Bell’ambasciatore!, f.
Niente è stato uguale all’ultimo anno universitario. Tra mensa, aule studio, biblioteca, per la prima volta mi sono sentito parte del tran tran quotidiano, quasi fossi uno studente normalizzato. Proprio quando gli esami erano finiti, o quantomeno si cercava ogni genere di giustificazione per cercare il modo di non accelerare, senza esser mazzolati finanziariamente dalla scure che si abbatte sui fuoricorso. Ci siamo riusciti. Eppure, è finita. Ci teneva stretti il timore di perdere la parte più preziosa della nostra giovinezza. Sbagliavamo. Difficile abolire il tempo per i rimpianti ma, almeno, non bisognerebbe programmarlo con largo anticipo. Ora, col culo scoperto, cercheremo di non deluderci, di non soffrire troppo per i successi annunciati di chi, finora nostro simile, ne anellerà di sostanziosi, e a catena, ma svendendosi anima e corpo. Saremo ancora in cerca dei maestri di vita, che la nostra università, pure a pagarla oro, o forse proprio per questo, non è stata in grado di offrirci. Cercheremo di scoprire chi siamo, e se l’imprinting universitario si rivelerà una falla o una arma. In ogni caso, dovremmo ringraziare per sempre, le maschere che hanno allietato le nostre lunghe giornate: l’usciere rauco e l’usciere capellone, il vigilantes capo e il vigilantes scemo, il professore in bermuda e il professore balbuziente, la bibliotecaria assillante e la bibliotecaria ammiccante, infine, posterina, per l’ispirazione.
Ore nove e un quarto: preciso come uno svizzero. A sei giorni dalla discussione, devo presentare il lavoro, rilegato, al professore sgusciante. Prima, vado a prelevare il suo assistente, che, fedelmente, o finto tale, mi ha seguito in questi mesi, e che arriva, in ritardo, già trafelato. È bell’in tiro. Non vorrei che, come l’altra volta, fosse, in presenza del professore, più a disagio di me, fino a biascicare le frasi, a dimenticare l’essenziale. Mi offre subito un caffè, mentre sputa fango sulle amministrazioni regionali. Poi, prendiamo di corsa un taxi a via delle province. Dobbiamo raggiungere il Professore, che ha un consiglio di amministrazione al quartiere Parioli. L’assistente comincia ad armeggiare col contenuto della sua borsa, in cerca di un foglietto su cui ha appuntato la scaletta della mia tesi e altre informazioni preliminari da presentare al cospetto del Professore. Comincia a sudare. Di buona volontà, gli dico che potremmo riscrivere il tutto e, tremolante per gli scossoni dell’andatura, stilo l’elenco. Nel frattempo, il taxista, intruppatosi nel traffico, chiede la strada ad un rom, di turno al semaforo. Ne ottiene una scrollata di spalle dispiaciuta. Fortunosamente arrivati a destinazione, si fa ironia sui prezzi degli attici in zona. Dopodiché con manovra repentina, l’assistente mi lascia giù ad aspettare, perché non è il caso, perché non ce n’è bisogno. Finisco per passeggiare nervosamente, superando vecchiette smancerose con cani e giovani uomini impettiti. L’assistente scende dopo cinquanta minuti, colla battuta pronta: “trovato qualche appartamentino interessante?”. Scende pure con una fame dannata, si sbafa tre tramezzini in pochi secondi, poi si conversa di letteratura, di egitto e di Lisbona, di kharma personale e di vino locale. Scopro che ha una manciata di cognati. Entra nel tram e paga il biglietto. Io glielo timbro ma proseguo nella corsa da portoghese. Se salisse il controllore, mi pagherebbe la multa? Dalle parti di villa torlonia, mi lascia ripetere il discorsetto, e, conveniamo, che l’affanno si compensi coll’emozione del giorno a venire. Lo convinco, ma credo basti poco. Di nuovo, sotto casa sua, mi strattona con presa da basket player u.s.a., e mi incita, “spaccagli il culo, a questi, vecchi, rincoglioniti ed eterni!”. C’avrei provato, non m’hanno dato nemmeno il tempo. Si accomodi, grazie!
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