26.7.07

piangere sull'epo versata

Peggio di noi non si può stare,
credimi!
L’alta marea ci porterà via,
contaci!
….
Seven! SEVEN!
È il numero degli alberi
Dio solo sa se questa città ha alberi


Canos – Verdena


Un lampo e m’accorgo che l’ombra cala nella mia stanzetta tropicale, e mi precipito alla finestra, e scorgo che la prima nuvolaglia del mese s’appresta a coprire finalmente il solleone. Nuvolaglia passeggera. Se giusto un attimo dopo i raggi m’accecano e sono costretto a distogliere lo sguardo, “la capa gira”, sbalzo di pressione, come un sacco tracollo sul letto. Sul comodino, fogli di giornale spandono il proprio odore di stampato, devo costringermi a scrivere, penso, o non imparerò mai a farlo. Ritorno a stamattina, quando ipnotizzato dalle immagini, quasi mi commuovevo alla visione delle prodezze di robybaggio, chissà se per immedesimazione. Ché ieri sera, a calcetto, ho segnato in rovesciata il goal della vita, cross lentissimo dalla sinistra, io in fuorigioco da mezz’ora, capisco che è la volta buona per provare, mi distendo a terra ad attenderlo, ne vien fuori un destro all’angolino, portiere sgomento, avversari e non basiti, degna esultanza stile “marcelo salas”. Non capiterà più. Di sport in sport, finisco col teleincollarmi alla cronaca di bulbarelli e cassani del tour de france. Mai stato un ciclista all’altezza, ne sono uno spettatore appassionato fin dai successi di indurain, accoppiata “giro&tour”. È il giorno dell’esclusione di Rasmussen, capoclassifica, non per l’ennesimo caso di positività, ma per aver nascosto alla sua squadra dove si allenava. Già ammonito dalla sua federazione e dall’UCI, per essersi sottratto, prima dell’inizio del Tour, a dei controlli antidoping, gli organizzatori della corsa hanno fatto pressioni sulla sua squadra perché si decidesse ad allontanarlo. A svelare l’errore del corridore danese è servita la testimonianza di Davide Cassani, che lo aveva visto allenarsi in Italia, sulla Marmolada (e non in Messico come aveva dichiarato). In telecronaca Cassani, ex corridore, sembra mortificato per l’accaduto e accenna ad una telefonata (con un fil di voce) di Rasmussen, ad esclusione consumata, che l’avrebbe fatto piangere. Spera che un giorno possano tornare a guardarsi negli occhi, a testa alta, senza rancore. La sua voce è alterata. Il quadro è devastante. La regia della tv francese s’attarda sui campi di girasole che voltano le spalle alla corsa dalla quale manca il giallo del primato. Non riesco a distogliere lo sguardo dal disfacimento. Peggio di noi non si può stare, credimi!

Molti mi chiedono cosa ci resto a fare, al Tour. Ci resto per raccontare quello che succede tutti i giorni, esattamente come i colleghi che in una guerra raccontano i danni collaterali, e nessuno gli chiede di andarsene dall’Afghanistan o dall’Iraq se per sbaglio è stata centrata una scuola o un mercato. Credo che questo sia il nostro lavoro, non è tornandomene che cambierei la situazione (gravissima) del ciclismo.
Se ne sentono tante, in questi giorni. Una spassosa l’ho letta su un giornale francese: “Bisognerà smettere di fare del ciclismo una metafora della vita”. Padronissimi, ma perché? Forse che nella vita non ci sono imbroglioni che vincono a mani basse? Nella vita va sempre bene agli onesti? Nella vita la competizione è leale, senza trucchi, senza raccomandazioni, senza spinte chimiche o politiche, senza complicità diffuse? Questo ciclismo è perfetto, come metafora della vita. Infatti è malato, come può ammalarsi (o drogarsi) un amico o un parente. Proprio per questo ha bisogno di presenza (di attenzione, di vigilanza) e non di lontananza.
Secondo me, nel 2008 mezzo gruppo sarà disoccupato, e anche questo è un prezzo da pagare. Ecco perché non me ne vado e spero di esserci, a Brest, nel 2008. Perché il ciclismo pulito può essere, a seconda dei punti di vista, un’utopia, una speranza, un affare, una barzelletta, o più semplicemente molte cose da raccontare. Di una giornata come quella di ieri, tanto per dire, non ci si può lamentare.

Gianni Mura, su Repubblica di oggi

1 commento:

Orazio ha detto...

Bel pezzo, complimenti! E' vero: il ciclismo è oggi più che mai metafora della vita, di com'è e non di come vorremmo che fosse.