18.12.11
25.11.11
love crunch
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20.11.11
sempre sul camminare
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15.11.11
e lo dico da uomo di sinistra
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14.11.11
quando diventerai partner
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9.11.11
la legge dello scappato di casa
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8.11.11
e lo chiamano autunno
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7.11.11
i frattali
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5.11.11
le memorie di esopo
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3.10.11
un giorno di sciopero alla stazione ostiense
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28.9.11
da quando fresta non gioca più
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27.9.11
lettere da una corriera
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24.8.11
present continuous
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20.8.11
sottotony
per una continua mal interpretazione degli avvenimenti,
per lo sfinimento dei luoghi della memoria,
per l'accanimento altrui sui dettagli della storia.
poi non seppi più il mio nome.
eppure continuavano a chiedere
chi fossi
ed il perché delle mie azioni.
difficile credere che
non c'era calcolo nel mio oblio
quanto la messa in pratica
di una necessaria tecnica di sopravvivenza.
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29.7.11
il canto degli irpini
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27.6.11
l'illuminazione del vallatrone
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22.6.11
lettera ad un amico mai nato
l’idea di destinare una lettera a qualcuno che non esiste, se non nello spazio intimo compreso tra il sé e il fuori da sé, è un passo compiuto verso la follia, alla maniera del personaggio di saul bellow, herzog, che scrive ossessivamente a dio o al presidente dell’america, perché non riesce ad accettare se stesso. eppure è un atto necessario per sfidare la nostra identità confusa, intrecciata alla nostra epoca confusionaria, malata. per anni, abbiamo covato tutto dentro, fedeli ad un’immagine di noi edificata nell’adolescenza, avvinti al senso di colpa che ne è derivato, per la mancanza di fatti concreti. immagine in base alla quale tutti gli uomini sono uguali, il genio e l’abbrutito. tutti hanno pari dignità; tutti, a confronto con il bisogno di trovare risposta al dubbio estremo di una vita, la morte eterna o l’aldilà, ammutoliscono o straparlano e spesso può accadere che proprio i dotti zittiscano mentre gli stolti siano infusi dal dono dello spirito santo, la parola di dio. in ragione di una sorta di egualitarismo ideologico, un miscuglio di lacerti di socialismo e cristianesimo, - come diceva ignazio silone, “un socialismo senza partito e un cristianesimo senza chiesa” – costruire la nostra identità attraverso scelte precise ed escludenti diveniva un errore da evitare, al più un proposito nascosto o sub-cosciente quanto invece era decisivo rafforzare l’idea secondo cui qualsiasi contesto pubblico fosse identico per noi fatta salva la difesa di un minimo orgoglio di classe. essendo la nostra classe, di estrazione bassa, in baldanzoso ma in fondo insicuro ingresso nella media. e dunque, doppiamente colpevole per aver lasciato qualcuno, e talvolta più di uno, dietro: vite derelitte, esposte al vento di aie nascoste tra colline arretrate, nel senso di ritratte di fronte al mostro della modernità, dell’appennino meridionale. eppure l’uomo adulto impara, o è costretto ad imparare, presto o tardi, che l’immagine di sé costruita nell’adolescenza, il ninnolo intoccabile posato per lustri sulla credenza della sala degli ospiti, non è altro che l’attaccamento inspiegabile ad un fronzolo pur di ritardare l’ingresso nel disordine della vita, in cui non sempre esistono i buoni e i cattivi a tavolino, dove la verità è spesso un caleidoscopio composto dai riflessi di cento occhi, il frastuono fatto dal clamore di cento voci, per non dire degli odori e dell’amaro in gola. l’uomo adulto impara, o è costretto ad imparare, suo malgrado, che la posta in palio non è mai l’avverarsi completo dei sogni della propria adolescenza quanto, e forse enfaticamente, difendere nell’età di mezzo la stessa facoltà di sognare, di progettare la vita, possibilmente con gli altri. le riflessioni di cui sopra vengono dopo che negli ultimi mesi, vicini nati, diversamente da te, e pasciuti, nei quali percepisco la medesima ansia di crescere, mi hanno fatto bersaglio del pietoso giudizio di fuggire codardamente da me stesso, condanna spuntata basta leggere il titolo del blog, vecchio sette anni e sette anni ancora. noi che condividiamo l’infanzia negli ottanta del disfacimento civile, dell’istupidimento collettivo, che due su tre soccombevano agli inflessibili dogmi del consumismo mediatico, nella cornice di un paese impaurito come mai, la cui proiezione geopolitica diveniva l’ombra colta nel momento in cui la fonte luminosa è sopra la testa, dove l’unico insegnamento trasmesso era mai fidarsi, se non dell’immagine a brutto muso di se stessi. la diseducazione di viverci insieme ovvero contro, serrati nell’egoismo del non mi voglio precludere niente, come a dire lasciarsi libera la possibilità di colpire duro il prossimo o di scappare per sempre per non farci mai più i conti, evitare a tutti i costi il conflitto con gli altri, con se stessi, verso la novità di esperienze che sono il riproporsi di logori panorami umani. in luoghi immunizzati dal pericolo della diversità, dell’integrazione del marginale, della convivenza al di là dei conflitti, spazi costruiti per disperdere non la violenza ma l’esprimersi stesso della vita urbana: ricchi vivono tra i ricchi, divertendosi da ricchi, oppressi dal timore di perdere il proprio status, i restanti tutti a tentare di imitarli, a prenotare, invece di fine settimana, una mezz’ora buona nel centro benessere fuori porta ma apparentemente non più fuori portata. nel progressivo depauperamento di contenuto della sfera pubblica dell’esistere, si cotona in maniera ipertrofica il centro centralissimo dell’ego, il mondo degli affetti privatissimi, per cui se cade un meteorite sulla testa sarà colpa dell’occhiolino irridente che un attimo prima ho fatto al cielo. insomma è questo uno sfogo urlato e pasticciato, illogico o smemorato, non perché abbia perso la fiducia o la speranza, ma perché sono consapevole che non ritornerà mai più la sconfinata fiducia o speranza di anni fa, ché l’umanità, a dirla in breve, se si salverà sarà ad opera di minoranze a favore di minoranze, non per l’attuarsi di un’ideologia messianica ma per migliaia di limitate opere di buona volontà. realizzate per lasciare un mondo un granello migliore a chi poi verrà.
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14.6.11
con quella faccia (sempre) un po' così
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10.6.11
mi sento fortunato
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6.6.11
la storia fatta con i sentimenti
nel cuore dei balcani leggiamo in controluce la nostra storia, recente o perenne, di disgregazione di una società che lì ha portato una guerra sanguinosa e a divisioni laceranti, qui sembrerebbe non produrre nulla se non un'impressionante trasformazione dei nostri corpi – altrove leggi mutazione antropologica – perché evidentemente noi la violenza la somatizziamo.
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1.6.11
24.5.11
lo stato italiano
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17.5.11
sono arrivati i marxiani
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16.5.11
11.5.11
morale del familismo immorale
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10.5.11
ragazzi in gambia
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8.5.11
latin over
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5.5.11
resisti dera'a
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2.5.11
troppo forte, incredibilmente vicino
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26.4.11
la cava del camorrista di fronte
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20.4.11
noi sud
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14.4.11
bisaccia addosso
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10.4.11
goodbye baiano
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8.4.11
il civil servant
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31.3.11
la fine della blogosfera italiana
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27.3.11
lo sprawl a roma
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26.3.11
i bui recessi della centrale idroelettrica
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23.3.11
aria di rivoluzione
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22.3.11
gheddafi: il figlio di preziosi
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20.3.11
un poeta di nome manolo calzati
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16.3.11
15.3.11
decalogo, a uso personale, di sentimenti morali
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13.3.11
cantonata scanzonata
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6.3.11
amor vacui
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1.3.11
poesiola delle sette ed un quarto
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27.2.11
sul napoletano errante
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26.2.11
via del casale galvani
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25.2.11
inspirare, ispirare
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22.2.11
grammar paradox
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14.2.11
del buonismo (indistinto)
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la libertà è una parola nel vento
il liberalismo, come movimento di idee da cui originano in europa e poi si diffondono nel mondo le attuali forme di democrazia, si impone a partire dalla seconda metà del seicento, in inghilterra, grazie a pensatori come giovanni locke, con opere quali due trattati sul governo (1690), in cui si contesta l’assolutismo del monarca, i suoi pretesi diritti (divini) a governare, mentre quegli stessi diritti (naturali) si reclamano per tutti gli uomini (il popolo), in particolare per il ceto borghese: sostituire la vita di corte con il parlamento. l’esistenza di una forma di governo democratica garantisce la salvaguardia dei diritti fondamentali: di pensiero e parola ed espressione, di uguaglianza, di giustizia, di religione.
trecento e passa anni dopo, in italia, è urgente abbattere il governo attuale, e accantonare il suo capo, presunto alfiere delle libertà, proprio perché totalmente alieno da qualsiasi nozione di seconda mano di cultura liberale: possiede, nel paese, la quota più cospicua di ricchezza, circostanza che lo accomuna ad un monarca moderno, ed una buona fetta della sua ricchezza gli deriva da un impero mediatico (la televisione, cattiva maestra, potere disumanizzante e potenziale rischio per la democrazia è una tesi di un altro filosofo liberale, carlo popper) che utilizza, fin dal primo giorno della discesa in campo, per fini politici e dunque di censura dell’avversario.
infine ama riprodurre nelle sue regge la vita di corte, con giovani donne, gratificate da doni milionari, e talvolta da cariche pubbliche così come accadeva per i privilegi concessi ai nobili delle passate monarchie. dunque un passaggio dalla nobiltà di sangue alla nobiltà da fiction televisiva. dunque, benché ciò che pensa sulla giustizia sia indicativo della sua concezione della democrazia e le pendenze giudiziarie che incombono sul suo capo, qualunque ne sia l’esito, rivelatrici del suo rapporto per lo meno spregiudicato con la legge, ciò che lo dovrebbe condannare in perpetuo all’irrilevanza politica è l’assoluta incompatibilità della sua figura con il liberalismo.
un potere assoluto che invece di discendere da dio, proviene dalla tv.
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12.2.11
la cura del sé
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5.2.11
qualcosa per l'introversione
per rifornirsi di sostanze che possano aiutarle
anche soltanto a chiacchierare
nel viaggio di ritorno
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18.1.11
duemilasettecento anni o poco più di ruby
viviamo in un paese che è in grave depressione perché non accetta di morire
Pubblicato da maynardo alle 10:54 0 (con)tributi