via corvisieri, 54
vi entrai poppante, sapore di latte in bocca, spaurito, opportunamente scortato da padre premuroso, e mi parve di esser rinchiuso, prima del tempo, senza colpe, in una prigione per cui, paradosso, pagavo persino una pigione. due stanzette identiche, servizi minimi, spazi economizzati, di un bilocale claustrofobico, in una città immensa, verso un futuro enigmatico, a cui, in ogni caso, per non urtarlo, nemmeno chiedevo. primo coinquilino, omone di s.mango sul calore, ad un passo dalla laurea in economia, perennemente in casa, perennemente sul letto su cui, mangiava, beveva, leggeva, studiava, guardava la tv, fino a morir dal ridere, o a indignarsi, mentre attentati alle torri e successive guerre al terrore impazzavano per il mondo, e noi attoniti, nemmeno provavamo a ficcare il naso fuori dell'uscio. al massimo, si compravano lasagne già pronte quando i troppi piatti da lavare ci impedivano di cucinare. fino ad alzare la testa, perché la donna lasciata a casa s'insubordinava, a ragione?, fino a esiti disastrosi, ancora sulla pelle, e quelle mura a raccoglier singhiozzi col silenziatore e botte in testa di disperazione. alzare la testa fino a quella prima, indimenticabile, passeggiata nomentana- piazza del popolo, di sabato sera, a metter in moto la testa, affrontare di petto un ragionare sopito, eppoi di pennarello, stender giù pensieri, occultati in cartellina verde sopravvissuta a mille nascondigli. un primo anno vissuto meno pericolosamente non si può, in filo diretto (you&me) con te che poco dopo frantumasti ogni speranza, coll'estate che ci colava fra le gambe, ripetute cadute da calvari, bare fin troppo pesanti. dopodiché tornare a roma, cambiare il san.manghese con coinquilino adeguatamente selezionato e poi mai sostituito, fu leggero come respirare. come imparare a conoscere il quartiere. le maschere che lo popolano. il norcino, salumiere gentilissimo, dalle gag involontarie, e dai tic nascosti. il pizzaiolo uno, che prima romanaccio stretto poi, resosi conto della nostra provenienza, si trasforma in fuoriuscito napoletano, che storpia dialetti e cadenze e spera di tornare a napoli un'ultima volta e solo dopo morire. la pizzaiola numero due, meglio detta "'a vecchia", tartaruga dell'impacchettamento, e dei conti col resto, col cambio euro-lira, mentre file chilometriche scalciano dietro e lasciano il locale per disperazione. il pizzaiolo numero tre, il sardo, servile come pochi e corriere dello sport munito (e questo vi farà capire quante centinaia di pasti abbiamo coperto con una pizza da asporto). il giornalaio mario, che a chiedergli il sole 24 ore, ti induce ad acquistare allegati di mesi addietro, come se nulla fosse ma pure deve svuotare quella cazzo di edicola. il barista macedone di nome ales, guru immortale, e moglie italiana iperreale. il librario comunista, mezz'orbo, tradito dalla cina e chissà da quanti altri, che sempre teme la delazione altrui. e mill'altre facce di donne etiopi, vecchi fascisti, giovani immigrati e fruttivendoli stanziali di un mercatino che non c'è più per via dei lavori della metro. vado via ma tornerò. perché dai luoghi dell'anima non si parte, banale questa, ma il peggio deve ancora venire: un trasloco non fa primavera!
1 commento:
a rigo quindici non ho trattenuto pianto a singhiozzo, motivo ignoto. meno di quanto sembri.
e la rondine?
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