29.8.07

scritto sulla tolleranza che spenga diffidenza

Un giorno, mentre erano assieme sul treno che porta da Cambridge a Londra, “Sraffa fece un gesto, familiare ai napoletani, e indicante qualcosa di simile a disgusto o disprezzo, consistente nello sfiorare la parte inferiore del mento con un rapido movimento verso l’esterno delle punte delle dita di una mano”. Tale gesto può trovare un significato solo nel contesto in cui viene effettuato; non può quindi accordarsi con l’idea di Wittgenstein per cui ogni proposizione deve trovare un posto preciso nell’ordine assiomatico del linguaggio razionale, indipendentemente dal contesto in cui, volta per volta viene usata.
In seguito a questa critica, nelle Ricerche filosofiche Wittgenstein elabora una nuova teoria del linguaggio e dei rapporti fra il linguaggio e il mondo che esso descrive. Non esiste un solo tipo di linguaggio, dice Wittgenstein, ma “innumerevoli: innumerevoli tipi differenti di impiego di tutto ciò che chiamiamo “segni”, “parole”, “proposizioni”.

da La ricchezza delle idee. Alessandro Roncaglia


Un diffuso senso di sfinimento si spande prima che mi prenda il desiderio di buttare giù qualcosa. Forse mi lascio convincere, o istupidire, dal solito motto “ora o mai più”, come se poi scrivere fosse dominare l’attimo che viene, e non, come leggevo da qualche parte, essere da esso posseduto, e tutto per via dell’infinitesimo ma decisivo istante che trascorre tra il momento in cui compiamo una azione e quello in cui ne diventiamo consapevoli. Ed effettivamente qui arriva prima la scrittura e poi il pensiero. Intanto si succedono giornate in cui i benefici della socialità si contrappongono ai danni permanenti di passati isolamenti, come ricorda la vita agra dell’intellettuale di monteforte, che così quando incontra per strada chi immagina possa ascoltarlo, si lancia in infinite divagazioni, perifrasi, continue citazioni che spaventano l’interlocutore fino a costringere quest’ultimo alla fuga. Probabilmente avremmo dovuto meglio vigilare sulle sue idiosincrasie, su come metteva assieme i pomeriggi. Condivideremo, se non oggi domani, il suo fallimento. Ciò che rovina questa terra, a tratti confusa, a tratti disperata, è l’atavica diffidenza della sua gente. Gli avi ci hanno tramandato un inarrivabile gusto nel diffondere maldicenze sul vicino di cortile e una ostinata incapacità a comprendere le sue ragioni. Le due deficienze combinate sottraggono ampi spazi di discussione, di socialità, di solidarietà. Ora poi che il mondo stesso è diventato il cortile di casa, per quanto si sono accorciate le distanze, (lì dove potenzialmente sono mescolabili le differenze), questa diffidenza è il peggior passaporto del nostro carattere. Chi, qui come altrove, si sforza, ad ogni modo, di preservare l’identità dimentica troppo spesso che questa è composta anche di tratti oscuri, sorpassati, inadeguati ad un ideale felice di umanità. Il progresso civile sfida continuamente le vecchie credenze, dei tenaci conservatorismi; le sue battaglie si giocano certo su temi contingenti, ma la sua conquista finale è la completa liberazione dell’uomo. Chi può dare una mano?

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