5.11.06

specchio, specchio delle mie trame

A guardare con occhi distaccati (ma è possibile?) l'Italia di oggi viene in mente uno specchio rotto. Tanti specchi rotti e ridotti in frammenti che riflettono, ciascuno, un'immagine parziale e deformata della società. Un effetto di rifrazione.
In quella molteplicità di immagini si specchia una moltitudine di gruppi sociali grandi e piccoli; nei frammenti di minime dimensioni si specchiano singoli individui. Ciascun - gruppi e individui - guarda se stesso e se ne compiace, ma non c'è la visione di insieme. Si parla molto spesso di identità condivisa, di valori e di obiettivi condivisi, senza comprendere che la condivisione è diventata impossibile. Ci vorrebbe uno specchio unico per avere un'identità collettiva unica, ma è proprio questo che manca. Come è potuto accadere? E quando è accaduto?
(digressione storica: calata di Carlo VIII, Guicciardini, l'annessione piemontese voluta da Cavour tra cattolici coi portoni chiusi e listati a lutto, massoni miscredenti, contadiname, galantuomini, latifondisti, piccola borghesia degli impieghi, mafia, camorra. Poi, fascismo e nuova rottura dello specchio: 8 settembre 1943)...
Non è tuttavia di queste varie rotture che qui vogliamo parlare, non è questa la realtà di oggi anche se molti retaggi, positivi e negativi, confluiscono in essa. Faccio soltanto osservare che le rotture del passato furono provocate e gestite da gruppi egemoni in una società povera di risorse e in grave ritardo sull'evoluzione delle altre nazioni europee.
Noi qui vogliamo parlare di quanto è avvenuto in una società sostanzialmente opulenta o quanto meno abbiente, nella quale l'identità è andata in pezzi in assenza di gruppi che avessero una visione chiara del bene comune, diversa da una concezione puramente mercantile.
Quando il denaro diventa il valore esclusivo e insieme ad esso il potere che procura denaro; quando il sentimento morale si riduce ad una maschera o addirittura ad un ipocrita luogo comune, allora l'identità condivisa va in pezzi, le corporazioni si disputano le risorse, ciascuno difende il suo e cerca cupidamente di appropriarsi dell'altrui, tutti comunque cospirano contro il bene comune e l'interesse generale con tanto più vigore quanto meno l'interesse generale e il bene comune sono percepiti come realtà e come obiettivi individuabili e condivisibili. Questo è ciò che sta accadendo sotto i nostri occhi sgomenti.
Si dà la colpa di quanto accade ai politici. In particolare al governo. È diventato un tiro al piccione, uno sport condiviso - questo sì - e un gioco di società. Ma la colpa non è del governo né dei politici: quando le redini del cavallo sono rotte la colpa non è del fantino...
Il vero ammalato è infatti proprio quella società civile che si propone in teoria come medico terapeuta. Guardate: gli impiegati dello Stato sono odiati e sbeffeggiati dai lavoratori di tutti gli altri settori; i titolari di partite Iva odiano e sono odiati dai lavoratori dipendenti; le piccole e piccolissime imprese detestano la politica ed anche la stessa Confindustria che li rappresenta, ma chiedono d'interloquire dopo aver gridato che l'interlocutore non è credibile; i giornalisti sono ritenuti responsabili di tutti i fraintendimenti di quanto viene detto pubblicamente e anche questo è diventato un gioco di società. Le banche sono guardate con rancoroso sospetto dagli imprenditori. Perfino la camorra non ha più un'immagine univoca e condivisa di se stessa: si è spezzato lo specchio anche lì, nel cuore della criminalità; i piccoli camorristi si sono messi in proprio, ciascuno ha recinto e blindato il proprio territorio, le sparatorie si ripetono ogni giorno.
Per fortuna non tutto è nero pece. Ci sono aspetti positivi, alcuni addirittura di eccellenza, in questo paese...Non mancano risorse d'intelligenza, di moralità, di capacità organizzativa, anzi questo paese ne è ricco. Manca la fraternità italiana. Il rispetto reciproco. L'esempio proveniente dall'alto. Credo poco a chi spera e propugna che l'esempio venga dal basso e si propaghi. Non è così. Non è mai stato così. L'esempio capace di diffondersi e di configurare una comunità è sempre venuto dall'alto, dalla classe dirigente nel senso ampio del termine. Spetta alla classe dirigente fornire i modelli, i progetti, il canone...Il governo è composto da una settantina di persone e da tre o quattromila collaboratori a vario titolo. Troppi, ma pochissimi rispetto alla classe dirigente nel suo complesso, che si compone di tre-quattro milioni di persone, più o meno il 10 per cento della comunità nazionale. È da lì che può venire la rigenerazione del paese o la sua caduta nell'anarchia.
Lo specchio si è rotto. Occorre ricostruirlo. Oppure retrocederemo ad un "volgo che nome non ha".

Fratelli d'Italia, lo specchio s'è rotto
di EUGENIO SCALFARI



2 commenti:

keigo ha detto...

Ho sempre detto che il virus è nella società. E' il senso di "furbizia", di cultura del raggiro, il più grande male di questa italia.

maynardo ha detto...

mai come ora, (credo) sia meglio non sparare (sulla croce rossa) e rimboccarsi le maniche, tra l'altro sono così evidenti le ragioni dei "mali" che affligono noi per primi che potremmo autoimmunizzarci!