7.2.07

ultras: unico orgoglio della città!... (e noi, zitti, accanto)

Se vogliono risolvere i mille problemi che tutt’ad un tratto (no, da sempre) affliggono il pallone, scambino i provvedimenti urgenti, le norme nuove di buon senso e le regole riciclate perché bellamente inapplicate, con un solo, semplice, obbligo valido per tutti i tifosi, ogniqualvolta entrano allo stadio: guardate la partita! Perché il marcio viene proprio dall’emergere prepotente e, per certi versi irriguardoso nei confronti della bellezza del gioco, di uno spettacolo nello spettacolo, quello delle curve irreggimentate, che cantano come un sol uomo, delle coreografie multicolori e superdecantate, dei pochi striscioni intelligenti e dei miliardi di idioti. perché il marcio viene dal progressivo conflitto tra le due rappresentazioni, quella in campo e quella sugli spalti, in cui se la prima è noiosa, talvolta deprimente, ci si accontenta dello show della curva, della festa di giovani che continuano a sputar cori fino al novantesimo, che, a dirla tutta, smarriscono persino l’occasione dell’insulto più antico e dunque neutro, arbitro cornuto, perché, semplicemente, non seguono le fasi della partita. Così il capo-ultras dà le spalle al gioco e dirige migliaia di teste attente solo ai suoi ordini, un’orchestra frastornante, e fomenta gli animi, e insulta pesantemente non solo gli sbirri ma persino i poveretti che, follia delle follie, vorrebbero tranquillamente assistere ai ventidue che si disputano un pallone. Chi frequenti qualsiasi stadio, quelli di A con (o senza) i tornelli, a scendere fino ai campi polverosi dei dilettanti, e viva la giornata con un minimo di distacco, conosce bene il disorientamento che si prova a non capire dove volgere lo sguardo e la voce, se ai fatti rappresentati in curva (nelle due curve, quando sono presenti gli ultras ospiti, lo spettacolo è decisamente più appetitoso) o a quelli, meccanici e ripetitivi della gara. Come se si fosse perduto il senso della partecipazione ad un evento sportivo e con violenza (questa sì, primitiva), alcuni degli spettatori tentassero di rubare la scena, di ritagliarsi un ruolo, di strappare un grammo di notorietà ai calciatori strapagati e infatti quante volte si dice che i campioni passano, i tifosi restano (poi i capi-ultras, quelli arroganti e duceschi resistono ancora di più)? Tutto quello che segue, il morto la domenica, l’odio per le forze dell’ordine, lo spaventoso giro d’affari che ruota intorno al mondo ultras (biglietti omaggio, gestione trasferte, gadget, servizi d’ordine), viene dopo. D’altronde, perché negare l’ingresso gratis ai veri artefici dello show: si è mai visto uno sbirro manganellare totti o del piero perché non avessero il biglietto? La logica perversa di questi ruba-scena esige che gli onori siano giustamente divisi tra i due spettacoli in scena la domenica e di fatto, i giocatori, al termine della partita, vanno ad applaudire le gesta dei tifosi e non sempre accade il contrario. E giornalisti ultras esaltano la bravura dei tifosi organizzati, a partire da “questa tifoseria non merita la serie…” , per finire al “si gioca come in casa” per elogiare i trasferisti coraggiosi; esultano sguaiatamente, curvescamente, dopo le vittorie mentre sparano su allenatori, giocatori, dirigenti, peggio degli ultras più beceri, dopo le sconfitte, piegandosi a cassa di risonanza di un fenomeno che non sanno raccontare con oggettività (vale a dire da giornalisti). ora, dir colpevoli tutti è facile, ma forse è più facile guarire il gioco tramortito, ex più bello del mondo. se, d’ora in poi, allo stadio, non ci distraiamo, isoliamo chi vuole abbaiare alla luna, guardiamo la partita e accontentiamoci solo di quella.

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