16.6.10

un discorso vecchio

a sbrindellati come noi leggono negli occhi una presunta superiorità intellettuale che è solo nostalgia di un tempo andato in cui si poteva affondare nello specialismo e viverne dignitosamente. qui, invece, tocca barcamenarsi in uno spazio pieno di musiche arabe e cibi esotici, colori sgargianti e vestiti vintage, che a volte ne segue un gran mal di testa. tanto che la conversazione con l’interlocutore aggiornato, per niente a disagio con i ritmi della modernità, s’incaglia, perché egli infierisce, voce monocorde, con una mitragliata di citazioni ipertestuali, dalle fiction americane ai personaggi minori di romanzi che non avrai mai il tempo di leggere ma per cui sono disponibili infelici trasposizioni su pellicola. i commentatori più occhiuti rimproverano alla sinistra un odioso senso di alterità nei confronti della modernità, per non dire il disgusto per le stupefacenti forme che essa assume nella quotidianità italiana. tuttavia, non si tratta soltanto di conservatorismo, di una inconcepibile attrazione per il passato che non ritorna, benché sia innegabile che certi processi siano sfilati di mano. piuttosto è l’indecisione di chi prova ad aggiornarsi alle nuove tecnologie restando ancorato ai vecchi valori quando probabilmente si tratterebbe di disidratare i valori per come è cambiato l’uomo. ovviamente, questa è una conclusione cui molti sono pervenuti e tuttavia molti se ne oppongono perché troppo scomoda da affrontare. cos’è la libertà senza spazio pubblico? l’uguaglianza se ognuno si sente unico? la solidarietà se ci si rinchiude in un gruppo di pari?

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