Il migliore
maniaco dell’occhiuto ego-surfing stentavo a rintracciarvi da quasi dieci anni, dunque ben prima dell’ego surfing, quando su sedie a dondolo instancabili nascevano amori estivi, come mai, gli 883?, e il falsetto della parola “psicologia” strappava sorrisi beoti. quando, poiché erano ancora lontani i baci, un autografo della preferita lo si conservava nel diario, nella pagina migliore, forse la centrale. ora, invece, divenute più pingui o soltanto più porche, vi ritrovo, confinate al ruolo di virgolette, iniziale e finale, del viaggio. ognuno ha la sua strada. guardami negli occhi e ascolta il fruscio delle pagine che tornano dietro nel tempo, che strano effetto!
l’aereo romba e s’alza in volo. c’è una bomboletta d’ossigeno qualora ce ne fosse bisogno. roma che diventa, in breve, minuscola. chi vi sarà mai in quel puntino d’auto che scorre leggera? il colore del mare non è il blu. le montagne, talvolta, sono piatte. le nuvole, perforabili. atterra oltralpe, tra orologi di precisione di cui si fa a meno e banche d’affari in cui ci si fa un sacco. così le ambulanze sfrecciano tra i pedoni e medici d’assalto soccorrono infartuati in doppio petto. la guerra quotidiana dove regna la pace.
alla frontiera, si alzano le mani provocatoriamente e si mostrano carte d’identità che tardano a diventare tessere e si guadagnano l’ennesimo espatrio. gendarme che sorridi, sai indicarmi sul mappamondo schengen? ti ruberei il lavoro solo per ballare in equilibrio sulla linea immaginaria del confine e per poter requisire barattoli di marmellata. proseguire per stramangiare carni assortite e vedute notturne di temporali lontani, ginocchia rannicchiate, per i tormentoni sguaiati.
colpi così arrivano implacabili persino quando annunciati da sguardi preoccupati e improvvisi silenzi. la pietra raccoglie bene le lacrime fino a scalfirsi. passi muti su strade deserte, quando pure avere la testa alta conforta. uno in meno, costretto a rientrare. si continua perché il contesto lo esige. mi ritaglio un ruolo ulteriore perché non si nasce eroe e c’è sempre posto per camminare in testa al gruppo, quando i passi si fanno pesanti.
le città sfilano. le categorie con cui le giudichi restano immutabili. c’è un lungo inverno di letargo per assestare colpi alla coscienza. musei annichilenti. più vicino al codice da vinci che a leonardo, nonostante quello che si dice in giro (non su di me). piazze splendenti, palazzi che suonano, palazzi che gemono. barboni al vento, eleganza dimessa, per contro riluce nostra provenienza. ogni luogo comune conserva una radice verde. ogni luogo comune va sfatato.
corre il treno, corre. paesaggi da classica del nord. sul pavé della roubaix, scatterei oltre il dolore fisico. invece, quello tenue che origina dai rapporti umani sterili, finiti prima di iniziare, o che iniziano da una fine, prosegue infarcito di divertissement, avvertiti dal gingle della sncf, ed ha gli occhi disperati e il sorriso gratuito della puttana tolosana di colore che chiede tre euro per una bottiglia d’acqua.
l’aereo romba e s’alza in volo. c’è una bomboletta d’ossigeno qualora ce ne fosse bisogno. roma che diventa, in breve, minuscola. chi vi sarà mai in quel puntino d’auto che scorre leggera? il colore del mare non è il blu. le montagne, talvolta, sono piatte. le nuvole, perforabili. atterra oltralpe, tra orologi di precisione di cui si fa a meno e banche d’affari in cui ci si fa un sacco. così le ambulanze sfrecciano tra i pedoni e medici d’assalto soccorrono infartuati in doppio petto. la guerra quotidiana dove regna la pace.
alla frontiera, si alzano le mani provocatoriamente e si mostrano carte d’identità che tardano a diventare tessere e si guadagnano l’ennesimo espatrio. gendarme che sorridi, sai indicarmi sul mappamondo schengen? ti ruberei il lavoro solo per ballare in equilibrio sulla linea immaginaria del confine e per poter requisire barattoli di marmellata. proseguire per stramangiare carni assortite e vedute notturne di temporali lontani, ginocchia rannicchiate, per i tormentoni sguaiati.
colpi così arrivano implacabili persino quando annunciati da sguardi preoccupati e improvvisi silenzi. la pietra raccoglie bene le lacrime fino a scalfirsi. passi muti su strade deserte, quando pure avere la testa alta conforta. uno in meno, costretto a rientrare. si continua perché il contesto lo esige. mi ritaglio un ruolo ulteriore perché non si nasce eroe e c’è sempre posto per camminare in testa al gruppo, quando i passi si fanno pesanti.
le città sfilano. le categorie con cui le giudichi restano immutabili. c’è un lungo inverno di letargo per assestare colpi alla coscienza. musei annichilenti. più vicino al codice da vinci che a leonardo, nonostante quello che si dice in giro (non su di me). piazze splendenti, palazzi che suonano, palazzi che gemono. barboni al vento, eleganza dimessa, per contro riluce nostra provenienza. ogni luogo comune conserva una radice verde. ogni luogo comune va sfatato.
corre il treno, corre. paesaggi da classica del nord. sul pavé della roubaix, scatterei oltre il dolore fisico. invece, quello tenue che origina dai rapporti umani sterili, finiti prima di iniziare, o che iniziano da una fine, prosegue infarcito di divertissement, avvertiti dal gingle della sncf, ed ha gli occhi disperati e il sorriso gratuito della puttana tolosana di colore che chiede tre euro per una bottiglia d’acqua.
"ad appagarlo bastava il fatto di viaggiare, che lo rilassava, riducendo i moti intimi, quelli che non lo portavano da nessuna parte, dove stava lui e lei non c’era, oppure dove stavano le sue ambizioni e lui non era ancora arrivato."
Bernard Malamud
1 commento:
bel diario di viaggio
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