lo spazio della repubblica
la figura del servitore dello stato, il civil servant d’importazione anglosassone, per come ce la rappresentavamo sui banchi della scuola di eccellenza della pubblica amministrazione che ci è sempre mancata, era quella di un freddo interprete della legge, un esecutore scrupoloso di politiche, dal giudizio indipendente dalla politica, il cui profilo mai si stagliava dall’amministrazione nella quale operava, perché il nome dell’istituzione resta mentre gli uomini si avvicendano, perché la decisione dell’amministrazione è la sintesi complessa di un ambiente complesso che è la democrazia. da qui la bolsa rappresentazione del grigio tecnocrate, irraggiungibile nel labirinto burocratico in cui s’è asserragliato, che non comunica con l’esterno, i cittadini che dovrebbe servire, se non per il tramite di atti incomprensibili: minuziosi regolamenti sull’allevamento degli stoccafissi e vuoti normativi sul diritto a staccare la spina.
poi la figura del servitore dello stato, in italia, è profondamente mutata come il senso di molte delle parole che riempiono lo spazio pubblico. la fortuna ha arriso all’amministratore tuttofare, iperattivo, egomaniaco che può permettersi finanche di piegare la legge, di ignorarla, per perseguire interessi pubblico-privati poco limpidi, per favorire reti relazionali fameliche, per assecondare la smania di una personalità avida solo di sé. ovviamente, il simbolo di questa genia è guido bertolaso. da efficiente capo della protezione civile si trasforma, negli anni dell’emergenza permanente, in strumento onnipresente del governo del fare che stacca l’amministrazione dai lacci della procedura legislativa ordinaria, costretta dal rito lungo del controllo parlamentare e si muove sempre d’urgenza per battere il tempo e l’immagine di chi non fa. sostituirsi ad una macchina burocratica mal funzionante come un sol uomo, una democrazia s.p.a. (o meglio, una s.r.l. monopersonale).
ora, giusto per abbozzare un ragionamento, nella moderna democrazia in cui crediamo di vivere (o aspiriamo a vivere), occorre sì fare, ma possibilmente fare bene e auspicabilmente mai fare da soli. se esiste, come esiste, un’evidente necessità di ammodernamento della pubblica amministrazione, come dice scalfari, non è un problema di bertolaso e non si può esternalizzare l’inefficienza fuori dall’ordinamento. dipende, più probabilmente, dalla poliarchia istituzionale che impedisce l’assunzione di qualsiasi decisione consapevole e dalla classe politica che non affronta il problema per incapacità sue o acquisite rendite di posizione. chi ha a cuore lo stato della nostra democrazia non deve per forza passare attraverso i ragionamenti di bertolaso sulla evidente afasia italiana per riconoscere il problema che ci affligge né ritenere che la dittatura emergenziale di bertolaso sia bene perché gli altri peggio. lo fa solamente chi crede che lo spazio della politica sia modificato solamente dalle posizioni assunte dai leader-attori e non dalla esclusiva forza delle idee. il futuro dell’italia si gioca su quelle, poi inevitabilmente verranno anche i politici che se ne faranno portavoce. se l'unico retaggio dell'evo di b. sarà l'imprescindibilità della Personalità nella politica nostrana, non guariremo mai dai nostri antichi mali.
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