21.3.05

esercizio

Tre, due, uno…dolore…azione. Se ora ridessi, non scriverei. Non c’è nulla da fare. Soffro la mancanza di un vocabolario consistente che mi permetta di costruire pensieri sensati. Vago per la città in cerca di un progetto di vita, l’assenza del quale, periodicamente, mi provoca un leggero fastidio intercostale. Anche qualora trovassi un posto dignitoso, sarebbe interessante capire quanto ha inciso il fatto di essere nato come secondo. Nel frattempo un fitto scambio di e-mail lascia presagire futuri appuntamenti con una vecchia fiamma, così il mio cervello, invaghito, mi lascia (spero solo momentaneamente) e parte per una vacanza ristoratrice (al mare). Diversamente da qualche mese fa, rinuncio a fare riscontri con il mio passato recente. Dall’estate duemiladue con inaspettata dedizione segno su una agenda le date reputate di snodo in questa esistenza sfilacciata. Il crollo verticale dei giorni percepiti come clou, peraltro parallelo all’apertura del blog, può sancire l’apertura di una stagione nuova. Coincidente con la chiusura definitiva di una porta parecchio cigolante. Inerme mi affaccio alla blogosfera sprovvisto dei requisiti essenziali per un blog, non solo di successo, ma quantomeno di godibile lettura. Saltare di palo in frasca, disattivare il controllo ortografico, evitare di andare a capo quando il periodo è bello e concluso, sicuramente offrirà l’occasione per biasimare questo miserrimo post-tentativo. E poi la totale mancanza di argomenti, snervante, estenuante, deprimente. (E’ probabile che utilizzare i sinonimi suggeriti da word estenda le mie capacità scribacchine e naturalmente inganni sulle mie qualità). Affermare che attendo con ansia l’uscita dell’ultimo di coe e degli afterhours mi scoraggia come la vista di un pescatore (al laghetto artificiale) che lancia l’amo alla ricerca della trota guardinga. Ma poi mi dico: “è naturale che questo post non venga mai letto da alcuno”. Ho solo tentato di scrivere più del solito, per consolidare l’opinione oramai prevalente che, nonostante ci veda renitenti all’atto, invoca la chiusura (o quantomeno l’allontanamento temporaneo) da questo non-luogo a cui costantemente ritorno e la cui apertura ha, forse, segnato per sempre il mio incerto incedere.

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