autoironia di un samaritano metropolitano
c’è una vecchia storiella che racconta di un operaio sospettato di rubare:
ogni sera, quando lascia la fabbrica, la carriola che spinge davanti a sé
subisce un’accurata ispezione.
i guardiani non trovano niente.
è sempre vuota.
alla fine la verità viene fuori:
ciò che l’operaio ruba sono le carriole…
Slavoj Zizek, incipit de La violenza Invisibile
ogni sera, quando lascia la fabbrica, la carriola che spinge davanti a sé
subisce un’accurata ispezione.
i guardiani non trovano niente.
è sempre vuota.
alla fine la verità viene fuori:
ciò che l’operaio ruba sono le carriole…
Slavoj Zizek, incipit de La violenza Invisibile
affastello sul comodino volumi, anche smilzi per carità, di cui leggo soltanto le prime pagine, o altrimenti, tutti d’un fiato, eccetto le ultime dieci, per un vezzo che costa caro solo alla statistica anobii, ma lascia un senso di sospensione, un lampo di sregolatezza nell’ingranaggio di minutaggi nel quale si è trasformata la mia vita.
a volte, sui mezzi pubblici, penso di essere un ammutinato; succede quando sfondo con rapidi movimenti il muro di diffidenza, l’atteggiamento blasé che sbianca gli animi delle megalopoli: cedo il posto alla vecchina, lascio il reggimano alla ragazza, fornisco indicazioni stradali ai rumeni dai capelli di cenere e dalle mani nodose. d’un tratto una donna di mezz’eta, scalpitante già in partenza, erompe in imprecazioni da vignetta col teschio, soltanto per un rallentamento del traffico causa lavori, rompendo un incanto: l’umanità di un buono è in fretta oscurata dall’intolleranza di un nevrotico. colpa dei tempi o sua soltanto?
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